Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22132 - pubb. 11/01/2019

Azienda commerciale inventariata tra le attività del fallimento e presa in consegna dal curatore

Cassazione civile, sez. I, 03 Novembre 1994, n. 9046. Est. Proto.


Azienda commerciale - Acquisizione al fallimento - Terzo cessionario dell'azienda prima della instaurazione della procedura concorsuale - Tutela esperibile



Con riguardo ad azienda commerciale, che sia stata inventariata tra le attività del fallimento e presa in consegna dal curatore (art. 88 legge fall.) - il quale è immesso "ope legis" nel possesso dei beni detenuti dal fallito - il terzo, che assuma di essersi reso cessionario dell'azienda medesima prima dell'instaurazione della procedura concorsuale, trova tutela nel procedimento di verificazione dello stato passivo, nei modi e nei termini contemplati dall'art. 103 legge fall. per la rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili possedute dal fallito, salva l'autonoma tutela esperibile dal terzo stesso in sede di cognizione, in relazione ad eventuali provvedimenti abnormi di acquisizione dei beni in questione alla massa. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Francesco E. ROSSI Presidente
" M. Rosario VIGNALE Consigliere
" Vincenzo PROTO Rel. "
" Luigi ROVELLI "
" Ugo VITRONE "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

S.R.L. VIP CATERING, in persona dell'Amm.re unico p.t., elett.te domiciliata in Roma Corso Francia 221 presso l'avv. Mario Santaroni che la rapp.ta e difende giusta delega in calce al ricorso.

Ricorrente

contro

FALLIMENTO CASINA VALADIER S.R.L., in persona del curatore Mario Della Rocca, elett.te domiciliato in Roma via Asmara 58 presso l'avv. Ferdinando Lomanno che lo rapp.ta e difende giusta delega a margine del controricorso.

Controricorrente

e contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE SOCIALE - INPS - in persona del Presidente e legale rapp.te p.t., elett. dom.to in Roma via della Frezza 17 presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappr.to e difeso dagli avv.ti Gerardo Piciché, Leonardo Lironcurti, Antonio Salafia giusta procura speciale per Notaio Franco Lupo di Roma rep. 19224 del 13.6.1991.

Resistente

Avverso il decreto del Trib. di Roma - Sez. Fallimentare del 13.2.1991. È presente per il ricorrente l'avv. Santaroni che chiede l'accoglimento del ricorso.
Sono presenti per i resistenti l'avv. Lironcurti (per l'INPS) e l'avv. Lomanno (per il fallimento) che chiedono il rigetto del ricorso.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6.4.1994 dal Cons. Rel. Dott. Proto.
Udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Lo Cascio che conclude per l'accoglimento del 1 motivo del ricorso e l'assorbimento degli altri motivi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 25 ottobre 1990 il tribunale di Roma dichiarò il fallimento della s.r.l. "Casina Valadier". Il curatore si recò presso l'omonima azienda di ristorazione per procedere all'inventario. Il responsabile dell'esercizio comunicò al curatore che l'azienda era stata ceduta alla società "VIP Catering" s.r.l., ma non potè esibire alcuna documentazione a sostegno di tale dichiarazione. Pertanto, il curatore prese in consegna l'azienda, ai sensi dell'art. 88 l. fall. Il 3 novembre 1990 l'azienda fu ceduta in affitto dal fallimento alla "VIP Catering", per trenta giorni.
Con istanza in data 1 dicembre 1990 la società chiese al giudice delegato di autorizzare il curatore ad incassare la somma di lire 1.050.000.000, quale "pagamento del saldo prezzo" dovuto dalla società fallita per la vendita dell'azienda "Casina Valadier" alla VIP Catering", e produsse, a sostegno della richiesta, un "atto di cessazione di azienda" stipulato dalla società "Casina Valadier" e dal Gruppo Italfin 80 s.p.a. con firme autenticate dal notaio Di Ciommo il 12 ottobre 1990.
Con decreto 3 dicembre 1990 il giudice delegato autorizzò il curatore ad incassare "il saldo prezzo", stabilendo le modalità del pagamento, e dispose che l'azienda "rimaneva" alla s.r.l. "VIP Catering", "salvi tutti i diritti ed azioni del fallimento". Con atto depositato il 18 gennaio 1991 l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale propose reclamo avverso questo provvedimento e - premesso di essere venuto a conoscenza in quella stessa data del decreto impugnato - ne eccepì la nullità, per contrasto con le disposizioni dell'art. 103 l. fall. Con decreto depositato il 13 febbraio 1991 il tribunale accolse il reclamo e revocò il provvedimento del giudice delegato. Osservò che il ricorso era tempestivo, in quanto il provvedimento reclamato non era mai stato comunicato all'INPS; che il decreto stesso era stato adottato in violazione delle modalità procedimentali poste a garanzia dei terzi e del principio del contraddittorio; infine, che la possibilità, ex art. 26 ult. comma, l. fall., di eseguire il decreto, malgrado il reclamo, ne comportava implicitamente la sindacabilità, da parte del tribunale, anche se esso aveva già avuto esecuzione.
Avverso questo provvedimento la "VIP Catering" ha proposto ricorso per cassazione in base a quattro motivi, illustrato con memorie. La curatela fallimentare ha resistito con controricorso.


MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 26 l. fall. La ricorrente deduce: a) la tardività del reclamo al tribunale, avendo l'I.N.P.S. impugnato il provvedimento depositato dal giudice delegato il 3 dicembre 1990, soltanto il 18 gennaio 1991 e, osserva che il principio secondo cui il termine decorre dalla comunicazione della decisione varrebbe per le parti del procedimento e non per i terzi, nei cui confronti conterebbe, invece, la data del deposito; b) la inammissibilità del procedimento, ex art. 26 l. fall., allorché si verta, come nella specie, in
situazioni di diritti soggettivi, in cui occorrerebbe introdurre una ordinaria azione di accertamento per far valere l'illegittimità del decreto, c) la inammissibilità del reclamo che incida su un provvedimento già eseguito, in quanto l'avvenuta esecuzione costituirebbe il limite logico al rimedio previsto, limitato ai soli casi di reclamo proposto prima della sua esecuzione. 2. Il motivo è infondato in tutte le sue articolazioni. Ai sensi dell'art. 26 l. fall., contro i decreti del giudice delegato è previsto il reclamo al tribunale da chiunque vi abbia interesse. Nella elaborazione giurisprudenziale della disposizione, seguita ai vari interventi della corte costituzionale in materia (sent. 23 marzo 1981 n. 42, 22 novembre 1985 n. 303, 24 marzo 1986 n. 55, 27 giugno 1986 n. 156), è prevalso l'orientamento, costituente, ormai, ius receptum, secondo cui l'esperibilità del reclamo al tribunale fallimentare, quale strumento di tutela endofallimentare, relativamente ai provvedimenti di natura decisoria emessi dal giudice delegato, non è stata eliminata dal sistema, avendo le declaratorie di illegittimità investito le sole modalità procedimentali contemplate dall'art. 26, in relazione ai principi della garanzia del contraddittorio, dell'obbligo della motivazione e della congruità del termine di impugnazione, anche in relazione al regime del dies a quo. In linea con le decisioni della corte costituzionale, contemperando le esigenze proprie della procedura fallimentare col principio di effettività della tutela giurisdizionale, questa corte, con interpretazione consolidata, ritiene applicabili alla fattispecie le disposizioni generali del rito camerale (artt. 737 e seg. c.p.c.);
e, in particolare, la norma relativa al termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo al tribunale (mentre resta applicabile il termine di tre giorni per il reclamo contro i provvedimenti ordinatori), con decorrenza dalla data della comunicazione del provvedimento (cfr., ex plurimis, Cass. 11 dicembre 1987 n. 9212;
Cass. 3 febbraio 1987 n. 954; Cass. 26 gennaio 1987 n. 716). In questo quadro il termine per il reclamo contro i decreti del giudice delegato decorre, dunque, necessariamente, dalla comunicazione, anziché dal deposito del provvedimento, non essendo quest'ultima forma di pubblicità idonea a realizzare, secondo il giudice delle leggi (cfr., in particolare, con riferimento alle impugnazioni dei crediti ammessi, sent. 22 aprile 1986 n. 102 e 14 dicembre 1990 n. 538), una legittima presunzione legale di conoscenza. Da questo sistema discende che, laddove - per la
inidentificabilità a priori dei vari interessati che, potendo essere pregiudicati anche indirettamente dal provvedimento, sarebbero legittimati al reclamo - la prescritta comunicazione non sia stata effettuata, l'impugnativa che, ciò malgrado, sia stato proposta, deve essere considerata ancora in termini. La tesi del tribunale, che si è attenuto ai suennunciati criteri interpretativi, merita, quindi, l'adesione del Collegio. E occorre anche rilevare che difficoltà di ordine materiale (come quelle relative alla determinabilità dei possibili interessati, specie se numerosi, al reclamo) e le esigenze di snellezza proprie delle procedure concorsuale non possono, comunque, pregiudicare garanzie costituzionalmente tutelate ovvero far pretermettere specifiche funzioni pubbliche attribuite dalla legge, quali sono quelle del cancelliere, cui è demandata l'attività di comunicazione degli atti processuali e dei provvedimenti del giudice (artt. 58 e 136 c.p.c.), ciò, segnatamente, nelle ipotesi in cui, come nella specie, il giorno del compimento della comunicazione è assunto dal legislatore come dies a quo per la decorrenza di termini perentori (Cass. 14 aprile 1994 n. 3509). Sub c), la inconsistenza della censura emerge, palese, dalla stessa lettura della norma, secondo cui "il ricorso non sospende l'esecuzione del decreto" (terzo comma). È noto, infatti, che, a salvaguardi delle esigenze di celerità e di speditezza della procedura fallimentare, gli effetti del provvedimento si producono fin dal deposito del provvedimento. La disposizione sarebbe, perciò, priva di significato, ove si accogliesse la tesi della società ricorrente.
3. Col secondo motivo si deduce che il tribunale ha respinto, senza adeguata motivazione, la tesi della VIP Catering, secondo cui alla fattispecie sarebbe applicabile la disciplina prevista nell'art. 72, quarto comma, l. fall.
La censura è inammissibile.
Sulle questioni di puro diritto (come quella prospettata) non è, infatti, ammissibile il ricorso per cassazione per carenza di motivazione, in quanto il sindacato di legittimità è limitato al controllo della esattezza giuridica della statuizione in ordine alla soluzione adottata, mentre i vizi di motivazione, deducibili a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c., sono limitati all'accertamento e alla valutazione di punti di fatto rilevanti per la decisione. Si aggiunga che il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 della costituzione, con riguardo ai vizi afferenti alla motivazione, è proponibile soltanto per denunciare difetti che si risolvono in un motivo di nullità della sentenza impugnata, e non già per far valere omissioni riconducibili allo schema dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. 16 settembre 1992 n. 10598).

4. Col terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 72 l. fall. Premesso che, in caso di fallimento del venditore il curatore non può sciogliersi se al momento della sentenza dichiarativa la proprietà era già passata al compratore, e che nella fattispecie, giusta la scrittura privata del 12 ottobre 1990 redatta dalle parti, si era già verificato tale effetto traslativo, la ricorrente deduce che con l'istanza del 3 dicembre 1990 al giudice delegato la società VIP Catering si era limitata ad offrire di eseguire la propria controprestazione prevista contrattualmente e che, pertanto, la fattispecie era inquadrabile nell'ambito della specifica disciplina dell'art. 72, anziché, come erroneamente ritenuto dal tribunale, nell'ambito dell'art. 103 l. fall. Col quarto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 103 l. fall., deduce che nella fattispecie sarebbe inapplicabile l'art. 103 l. fall., in quanto la VIP Catering e la società Casina Valadier" erano legate da un contratto le cui prestazioni non erano state ancora completate. Non si trattava, quindi, di riacquistare la disponibilità di un bene la cui proprietà fosse in capo al rivendicante.
5. I due motivi, che, contenendo una sola censura, devono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Il tribunale, in sede di reclamo, ha accertato che l'azienda "Casina Valadier", dopo la dichiarazione di fallimento, era stata presa in consegna dal curatore, a norma dell'art. 88 l. fall., e che, pertanto, si era proceduto all'inventario dei relativi beni, non avendo la VIP Catering esibito alcun documento a dimostrazione della titolarità dell'azienda. Muovendo da tale premessa, ha ritenuto che la "restituzione" dell'azienda già acquisita al fallimento avrebbe dovuto essere richiesta dalla società interessata mediante lo speciale procedimento di verificazione dello stato passivo previsto per le cose mobili dall'art. 103 l. fall., nell'ambito del quale la pretesa cessionaria avrebbe potuto far valere, nel contraddittorio degli interessati e secondo le modalità procedimentali prescritte, le proprie pretese. Ha, quindi, ritenuto fuorviante il richiamo all'art. 72 l. fall., in quanto, stabilita l'applicabilità alla fattispecie delle disposizioni sulla verificazione, ogni ulteriore questione circa la proprietà dell'azienda ed il subentro o meno del curatore nel contratto che si assumeva stipulato prima della declaratoria fallimentare costituivano momenti successivi, la cui soluzione non poteva incidere sulla inderogabilità del procedimento da seguire, a tutela dei diritti primari dei soggetti coinvolti nella procedura.
La tesi del tribunale è corretta, perché conforme ai principi e trova riscontro anche nell'orientamento espresso da questa corte in analoga fattispecie (cfr. Cass. 18 luglio 1986 n. 4629). Essa, infatti, muove dalla corretta considerazione che il curatore è immesso ope legis nel possesso dei beni detenuti dal fallito, e che, una volta inventariati, la posizione del terzo che assuma di averne acquistato la proprietà prima della instaurazione della procedura concorsuale, trova tutela nell'ambito fallimentare, nei modi e nei termini contemplati dall'art. 103 l. fall. per la rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili possedute dal fallito;
salva l'autonoma tutela cognitiva del terzo per i provvedimenti di acquisizione abnormi.
Possesso che nella fattispecie era stato pacificamente riconosciuto dalla stessa VIP Catering, che (come risulta dallo "svolgimento del processo") aveva chiesto ed ottenuto la cessione in affitto dell'azienda, domandandone, poi, alla scadenza, con istanza al giudice delegato, la restituzione, previo "pagamento del saldo". 6. In conclusione, va dichiarato inammissibile il secondo motivo e, non sussistendo le violazioni di legge denunciate, devono essere rigettati il primo, il terzo ed il quarto motivo. Il ricorso deve essere, dunque, respinto.
Consegue la condanna della società soccombente al pagamento delle spese processuali relative a questa fase del giudizio.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto dalla società VIP Catering e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore della curatela fallimentare in complessive lire 8.155.000, di cui lire ottomilioni per onorario e in favore dell'I.N.P.S. in complessive lire 5.007.200, di cui lire cinquemilioni per onorario.
Così deciso il 6 aprile 1994 in Roma, nella camera di consiglio della prima Sezione civile.