Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21947 - pubb. 11/01/2019

Diritto del curatore alla consegna della copia della documentazione dei rapporti bancari

Cassazione civile, sez. I, 19 Ottobre 1999, n. 11733. Est. Papa.


Trasparenza delle condizioni contrattuali ex D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 - Diritto del cliente alla consegna di copia della documentazione ex quarto comma dell'art. 119 di detto D.Lgs. - Natura "finale" e non "strumentale" - Conseguente irrilevanza dell'utilizzazione della documentazione - Fallimento del cliente - Trasmissione del diritto al curatore - Anche a seguito di scioglimento del contratto di conto corrente - Fondamento - Esercizio del diritto da parte del curatore - Intenzione del curatore di utilizzare la documentazione per l'esercizio di revocatorie - Rifiuto della banca - Legittimità - Esclusione - Pretesa della banca ad un'esclusione di quella utilizzazione in sede di riconoscimento giudiziale del diritto alla consegna - Inammissibilità



Il diritto del cliente di ottenere dall'istituto bancario la consegna di copia della documentazione relativa alle operazioni dell'ultimo decennio, previsto dal quarto comma dell'art. 119 del D.Lgs. n. 385 del 1993, si configura come un diritto sostanziale la cui tutela è riconosciuta come situazione giuridica "finale" e non strumentale, onde per il suo riconoscimento non assume alcun rilievo l'utilizzazione che il cliente intende fare della documentazione, una volta ottenuta la e deve escludersi, in particolare, che tale utilizzazione debba essere necessariamente funzionale all'esercizio di diritti inerenti il rapporto contrattuale corrente con l'istituto di credito (ben potendo, ad esempio, essere finalizzata a far emergere un illecito, anche non civilistico, di un terzo soggetto o di un dipendente della banca). Nel caso di fallimento del cliente il suddetto diritto si trasmette al curatore, posto che questi subentra - ai sensi dell'art. 31 della legge fallimentare - nell'amministrazione del patrimonio del fallito sotto la direzione del giudice delegato e considerato che detto diritto è una componente di quel patrimonio. In ragione della natura "finale" del diritto in questione, l'istituto bancario, richiesto dal curatore della consegna della copia della documentazione, non può rifiutarla adducendo l'intenzione del curatore di utilizzare la documentazione in funzione dell'esercizio di eventuali azioni revocatorie e nemmeno può pretendere che, a seguito di esercizio da parte del curatore in sede giudiziale del diritto alla consegna, la sentenza che riconosca tale diritto escluda quella utilizzazione (la Suprema Corte ha anche osservato che lo scioglimento automatico, ex art. 78 della legge fallimentare, del contratto di conto corrente - cui nella specie si correlava il diritto alla consegna della copia della documentazione - non toglie che il diritto ex art. 119 citato, configurandosi anche dopo la cessazione del rapporto, si trasmetta al curatore). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Mario CORDA Presidente
Dott. Giovanni LOSAVIO Consigliere
Dott. Enrico PAPA Cons. relatore
Dott. Enrico ALTIERI Consigliere
Dott. Giuseppe Maria BERRUTI Consigliere
ha pronunciato la seguente

 

S E N T E N Z A

sul ricorso iscritto al n. 3509 R.G. 1998, proposto

da

BANCA DI ROMA S.P.A., nelle persone dei legali rappresentanti "pro tempore", rappresentata e difesa, giusta procura autenticata dal notaio A.M. Z. il 9 febbraio 1998 (rep. n. 60972), dall'avv. prof. Giuseppe A., domiciliatario in Roma alla via Oslavia 6;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO PRO.MA. S.R.L., in persona del Curatore dott. Domenico P.;

- intimato -

per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Napoli del 6 novembre 1997, depositata col n. 2754 il 18 dicembre 1997. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 maggio 1999 dal Consigliere Dott. Enrico Papa;
Udito l'avv. Giuseppe A., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo Nardi, che ha concluso per il rigetto.


Svolgimento del processo

La Curatela del Fallimento PRO.MA. S.r.l. convenne (con citazione notificata il 19 gennaio 1996) davanti al Tribunale di Napoli la Banca di Roma, Filiale di Napoli, per conseguirne la messa a disposizione della documentazione relativa al rapporto di conto corrente bancario n. 1431, intrattenuto con l'Istituto dalla Società (dichiarata fallita con sentenza del 16 luglio 1992), per gli anni 1991-92-93, oltre alla condanna generica della Banca al risarcimento dei danni. Si oppose la convenuta, assumendo l'inapplicabilità dell'art. 119 d.lgs. 385/1993, "ex adverso" invocato;
l'impossibilità di configurare un autonomo giudizio di esibizione;
l'incompatibilità della pretesa esibizione con la preannunciata azione revocatoria. Il Tribunale (con sentenza del 23 gennaio 1997) accolse la domanda. Il gravame della Banca risultava fondato sulle censure di:
1) inammissibilità di un autonomo giudizio per l'esibizione documentale; 2) mancata considerazione dell'incidenza, sulla fattispecie, dello scioglimento del rapporto "ex" art. 78 legge fall.;
3) inconciliabilità delle posizioni assunte dal curatore, di parte, in relazione alla disciplina dell'art. 119 cit., e di terzo, quale attore in revocatoria "ex" art. 67 legge fall.;
4) impossibilità di configurare un illecito (contrattuale od extracontrattuale) nel rifiuto opposto; esso è stato, sulla resistenza della Curatela, respinto dalla Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 6 novembre 1997, depositata col n. 2754 il 18 dicembre successivo.
La Corte ha, con riguardo ai singoli motivi di impugnazione, affermato: 1) l'ammissibilità dell'azione, di tipo "finale" -e non "strumentale"-, intesa pertanto alla tutela di un vero e proprio diritto "sostanziale" (e non puramente "processuale") al documento, fondato sull'art. 119 d.lgs. 385/1993; 2) l'impossibilità di considerare il curatore, ai fini proposti, successore del fallito o rappresentante dello stesso (o della massa), avendo tale organo agito per far valere un diritto proprio, derivante dagli artt. 27 segg. e 33 legge fall., rispetto a cui "sarebbe illogico e contrario alla "ratio" del testo legislativo" affermare "che egli non possa avvalersi delle norme sulla tutela delle operazioni bancarie, esercitando le facoltà concesse al fallito"; 3) il conseguenziale potere dello stesso organo di ottenere la documentazione in sostituzione del fallito, per utilizzarla poi nell'interesse della massa -restando rimesse al giudice delle singole revocatorie fallimentari le valutazioni circa l'utilizzabilità della documentazione, in tal modo acquisita-; 4) la configurabilità, infine, della responsabilità aquiliana della Banca, per avere, col proprio comportamento, violato le richiamate disposizioni di legge. Per la cassazione della sentenza ricorre l'Istituto bancario, con tre motivi, illustrati da memoria.
Non ha svolto attività difensiva la Curatela.


Motivi della decisione

Denunzia la Banca di Roma, col primo mezzo di cassazione, violazione degli artt. 119 d.lgs. 385/1993 e 78 legge fall., e collegato vizio di motivazione. Quello disciplinato dal cit. art. 119 -ribadisce l'Istituto- "ha la natura di diritto soggettivo relativo che può essere fatto valere dal cliente nei confronti della Banca in funzione di trasparenza della operatività bancaria e del, controllo della correttezza delle modalità esecutive del rapporto con la stessa", onde, da un lato, è "soggettivamente riferibile al cliente" e, dall'altro, "si identifica con una situazione giuridica finale", nel senso che risulta realizzato col conseguimento della documentazione: d'altronde, anche a volerlo intendere quale situazione giuridica soltanto "strumentale", risulterebbe, comunque, preordinato all'esercizio di azioni di responsabilità contrattuale. In relazione a tanto, il giudice "a quo", pure riconoscendo la natura "finale" del diritto, ha omesso di considerare la sottesa finalizzazione alla individuazione di rimesse sul conto, revocabili in danno della Banca (azione revocatoria in effetti proposta, in connessione con la preordinazione reale a fini di prova, tanto che - come documentato- la Curatela era giunta a chiedere la sospensione del relativo giudizio in attesa della definizione di quello presente), limitandosi ad affermare la neutralità e l'indifferenza dell'uso, in ciò facendo forse consistere il carattere "finale" del diritto azionato. Un orientamento siffatto rivela un ulteriore errore di diritto, poiché, dovendo la posizione, di carattere relativo (o contrattuale) del cliente essere ragguagliata al rapporto in corso (secondo il paradigma dell'art. 1713 c.c. sul mandato, alla cui causa va ricondotto, a mente dell'art. 1856, il contratto di conto corrente bancario), l'utilizzazione della documentazione deve restare limitata nell'ambito della responsabilità contrattuale, con esclusione di ogni connotazione pubblicistica dall'interesse alla documentazione "ex" art. 119 d.lgs. 385/1993 cit. -nella cui prospettiva vengono impiegati argomenti di riscontro tratti dall'art. 2422 c.c., sul diritto dei soci all'esame della documentazione sociale-. Se ciò conferma che il carattere finale non può comportare indifferenza dell'utilizzazione della documentazione così conseguita, a non diverse conclusioni si perviene, del resto, supponendo il carattere solo "strumentale" della situazione giuridica considerata: dovendosi rapportare infatti la strumentalità ai "rimedi attinenti il contratto con la Banca ed alle azioni che spettano al cliente contro la stessa Banca" il curatore fallimentare, per effetto dello scioglimento del contratto di conto corrente bancario "ex" art. 78 legge fall., potrà richiedere la documentazione ai fini del diritto al rendiconto, in particolare, che può affermarsi sopravvivere alla estinzione del rapporto, senza poterla invece rapportare ad eventuali azioni revocatorie, materia in ordine a cui "l'uso della documentazione bancaria non è istituzionale".
Attraverso il secondo motivo, la ricorrente si duole della violazione del cit. art. 119, in relazione agli artt. 30 e 33 legge fall., e del connesso vizio di motivazione: spostando l'esame sulla posizione del curatore rispetto al diritto fissato nell'art. 119, e ribadendo la propria posizione difensiva -che ritiene non superata dall'impostazione offerta dal giudice "a quo"-, contesta, la Banca, la possibilità di individuare un diritto proprio del curatore (col contenuto indicato), sia sotto il profilo dell'art. 30 legge fall.. - attinente alla qualità di pubblico ufficiale di lui- sia sotto quello del successivo art. 33 -riguardante l'obbligo della relazione al giudice delegato-, richiamando su tali punti i contrari rilievi di Cass. 4598/1997, per sottolineare -con riferimento all'art. 42 legge fall.- come la posizione del curatore non possa eludere l'alternativa di rappresentante o di sostituto, e così concludere che "l'esercizio del diritto alla consegna della documentazione bancaria da parte del curatore è necessariamente mediato dalla circostanza che egli agisce sostituendosi al cliente fallito nel rapporto con la Banca", sicché "potrà utilizzare la documentazione ottenuta per le stesse finalità che il cliente avrebbe potuto perseguire se non fosse intervenuta la dichiarazione di fallimento". In tale contesto, negando la possibilità di "commistione" delle posizioni di parte (sostituto) e di terzo (ai fini dell'azione revocatoria fallimentare) del curatore medesimo, sottolinea il vizio logico della motivazione, consistito nel negare ogni anomalia fra il riconoscimento, del diritto alla documentazione "in sostituzione del fallito" e l'utilizzabilità della stessa per l'esercizio di azioni revocatorie "a favore della massa dei creditori". Si duole pertanto, espressamente denunziando l'omessa pronuncia "ex" artt. 112 e 360 n. 3 c.p.c., che la corte territoriale non abbia ritenuto di esprimersi sulla utilizzabilità di una documentazione in tal guisa ottenuta, perché quella offerta al giudice della revocatoria "è una prova atipica, in quanto si forma al di fuori del giudizio in cui viene prodotta, secondo una modalità di acquisizione che la Banca assume essere illegittima". Dedica lo spunto finale -con sotteso riferimento a Cass. 4598/1997, ad altri fini come sopra richiamata- alla impossibilità di ricondurre l'obbligo della banca al principio di buona fede contrattuale "ex" art. 1375 c.c., osservando che il principio medesimo va inteso nel senso della reciproca salvaguardia dell'interesse contrattuale delle parti, senza contrapposto apprezzabile sacrificio, per inferirne che, nel caso presente, mentre manca l'utilità contrattuale della controparte -poiché quella perseguita riguarda in realtà un terzo, vale a dire la massa dei creditori-, il sacrificio per la banca si rivela ingiustificato -per risultare, il principio considerato, "strumentalizzato in via esclusiva dal curatore all'esercizio dell'azione revocatoria"-. Con l'ultimo mezzo di cassazione deduce infine, l'Istituto, violazione dell'art. 2043 c.c. e correlato vizio di motivazione: sia col contrastare la ritenuta illegittimità del diniego di consegna, da considerarsi invece in rapporto all'abusiva utilizzazione cui la documentazione era finalizzata; sia con l'osservare la mancata individuazione del. preteso danno, essendo stata frattanto proposta la revocatoria fallimentare.
Conclude, la ricorrente, sollecitando la cassazione della sentenza impugnata, con decisione nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., in via subordinata chiedendo dichiararsi "che la
documentazione ottenuta "ex" art. 119 t.u. 385/93 non può essere prodotta dal curatore, ne' assumere efficacia probatoria, nel giudizio di revocatoria fallimentare pendente tra le parti". Il ricorso si rivela infondato e deve dunque essere respinto. Il diritto sostanziale alla consegna dei documenti, del quale si discute, trae fondamento dall'art. 119 d. lgs. 385/1993 (il cui comma 4, per quanto direttamente interessa, stabilisce che "il cliente ha diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine, e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni") secondo la formulazione della domanda originaria, le statuizioni del giudice di merito, e l'espressa adesione - della ricorrente, che perviene a conclusioni opposte, nel caso concreto, sulla base di complessi e talora penetranti rilievi. Ed, in realtà, la questione attiene alla individuazione di tale posizione di natura sostanziale, intesa come pretesa alla consegna di (copia di) documenti, che -secondo una comprensibile linea di "chiusura" degli istituti bancariviene negata al curatore fallimentare, per la documentazione relativa a rapporti ormai esauriti con il cliente fallito.
Il diritto medesimo è stato da Cass. 4598/1997 ricollegato al principio di buona fede non solo in sede d'interpretazione del contratto, a norma degli artt. 1366 e 1375 c.c., ma anche quale fonte d'integrazione della stessa regolamentazione contrattuale, secondo quel che si desume dall'art. 1374, affermandolo,' applicabile anche con riguardo alle obbligazioni che sopravvivono allo scioglimento del contratto, ma pur sempre da esso traggono origine: esso risulta ormai "codificato" dal cit. art. 119, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Difatti, le censure articolate attraverso i primi due motivi - unificate dal profilo comune della falsa applicazione di tale disposizione- non apportano valide ragioni di critica per quanto attiene alle premesse sia di carattere oggettivo, inerenti cioè alla struttura del contestato diritto alla documentazione, sia di rilevanza soggettiva, vale a dire attinenti alla posizione del cliente rispetto alla banca, poiché i dati sottolineati non inducono alla auspicata negazione che quel diritto possa passare dal cliente fallito al curatore fallimentare. Il fulcro dell'ampia prospettazione può essere individuato nelle affermazioni (ricorso, p. 7): "il diritto di cui all'art. 119 t.u. 385/93 ha la natura di diritto soggettivo relativo che può essere fatto valere dal cliente nei confronti della Banca in funzione della trasparenza della operatività bancaria e del controllo della correttezza delle modalità esecutive del rapporto con la stessa. L'interesse primario che è sotteso alla norma citata è, dunque, soggettivamente riferibile al cliente della Banca ed oggettivamente rivolto alla trasparenza dell'attività bancaria"; il riflesso oggettivo risulta ribadito nel -non controverso- carattere di situazione giuridica "finale" di quel diritto, che indurrebbe a negare la "neutralità" dell'uso della documentazione così ottenuta (ivi, p. 13), mentre all'aspetto soggettivo va collegata l'osservazione -pure se nell'ottica del carattere solo "strumentalè" della situazione medesima- che "tale strumentalità sussiste solo ed esclusivamente rispetto ad un giudizio di responsabilità contrattuale della Banca, posto che il diritto inerisce ai rapporti contrattuali con essa intrattenutì" (ivi, p. 8).
Le premesse appaiono tuttavia impiegate, spesso attraverso una Sorta di eccesso nella dimostrazione, per pervenire a conclusioni contrastanti con lo stesso punto di partenza. Difatti, l'indiscusso carattere "finale" della tutela non è rapportabile a considerazioni - più o meno valide- di carattere logico, ma soltanto al rilievo della espressa predisposizione normativa della forma di protezione giuridica. Il riconoscimento, infatti, di un diritto di carattere "relativo", in capo al cliente, sta unicamente a denotare la genesi contrattuale di esso, non anche -sotto un profilo evidentemente "strumentale"- l'esclusiva possibilità di indirizzare la documentazione all'affermazione di diritti di natura contrattuale (basti pensare alla verifica, attraverso la documentazione, di un illecito di rilevanza non soltanto privatistica, addebitabile ad un terzo ovvero ad un dipendente dell'istituto). Ed, a ben vedere, l'equivoco di fondo delle complesse censure consiste nel privilegiare proprio considerazioni di carattere "strumentale" (o, forse più esattamente, "finalistico" della forma di protezione accordata), estranee invece -come ha ritenuto la corte di merito- alla tutela, una volta che essa risulti espressamente accordata. Da tutto ciò discende, con riguardo al primo motivo, la possibilità di chiedere la documentazione, relativamente all'ultimo decennio (e la corrispondenza con il termine prescrizionale ordinario ne risulta palese), per singole operazioni, senza possibilità di far valere, nei confronti del cliente, alcuna questione circa l'utilizzabilità della documentazione in tal maniera conseguita. Il problema relativo alla trasferibilità della posizione in capo al curatore, come ben s'intende, se risolto affermativamente, preclude ogni rilevanza di questo aspetto, posto che della medesima posizione giuridica deve trattarsi. E così -per concludere, per il momento,:
circa il primo mezzo- del tutto irrilevante risulta lo scioglimento del contratto di conto corrente, in applicazione dell'art. 78 legge fall., dal momento che il curatore, come subito si dirà, subentra nella stessa posizione del cliente.
Il secondo motivo, attraverso la denunzia di falsa applicazione degli artt. 30 e 33 legge fall., poggia sulla irrilevanza della qualità di pubblico ufficiale del curatore nell'esercizio delle sue funzioni e degli obblighi su tale organo incombenti, con particolare riguardo alla relazione al giudice delegato. Ed effettivamente tali richiami, nella sentenza impugnata, non appaiono puntuali, giacché - come si legge in Cass. 4598/1997 cit.- "non basta che un soggetto sia portatore di un interesse venato di caratteri pubblicistici per affermare un suo diritto di supremazia nei confronti dei terzi, ove manchi qualsiasi specifico appiglio normativo in tal senso"; ma va osservato che la sentenza impugnata, pure affermando che il curatore ha agito per sentirsi riconoscere un diritto suo proprio, da un lato (p. 10) espressamente richiama gli artt. 27 segg. legge fall., e, dall'altro, non può sottrarsi alla affermazione conclusiva secondo cui, "ritenere che egli (scil.: il curatore) non possa avvalersi delle norme sulla tutela della trasparenza delle operazioni bancarie, esercitando le facoltà concesse al fallito, sarebbe illogico e contrario alla -"ratio" del testo legislativo". Ed, in realtà, la fonte del potere del curatore, qui in discussione, si trae dall'art.31 legge fall., secondo cui egli "ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato" (sul punto, cfr. anche Cass. 4598/1997 cit.), giacché, seguendo una delle stesse premesse della ricorrente, non è dato contestare che il "diritto soggettivo relativo", spettante al cliente della banca, poi fallito, per conseguire la documentazione delle operazioni infradecennali, si trasmetta di per sè al curatore, quale componente dello stesso patrimonio da amministrare, con irrilevanza degli approfondimenti - prevalentemente di carattere dottrinale- circa la posizione di tale organo quale rappresentante o sostituto del fallito ovvero della massa dei creditori. Onde anche il secondo motivo resta superato. La connotazione comune ai mezzi di impugnazione è quella circa l'utilizzabilità, in concreto, della documentazione in tal guisa ottenuta dal curatore, argomento che costituisce la vera ragione di opposizione della banca, sia col negare la possibilità di impiego al di fuori dell'azione di rendiconto, sia col sostenere che, nei rapporti con la curatela, la pretesa alla documentazione travalicherebbe i limiti della buona fede e della solidarietà individuati dalla ripetuta Cass. 4958/1997, il tutto per ribadire che, nel presente giudizio -secondo la richiesta subordinata formulata nel ricorso-, va negata l'utilizzabilità della documentazione medesima in sede di revocatoria fallimentare. In realtà, entrambe le critiche si pongono, ancora una volta, in contrasto con l'affermata natura "finale" della tutela apprestata attraverso l'art. 119 cit. La prima, negando all o stesso cliente l'impiego dei documenti a fini diversi dall'azione di rendiconto (in particolare, ricorso, p. 14 seg.), che individuerebbe il limite di "permanenza del rapporto" dopo lo scioglimento, indurrebbe a concludere che, anche al cliente, sarebbe consentita la sola tutela - di carattere evidentemente "strumentale"- riconducibile agli artt. 263 segg. c.p.c. e regolata, sul piano probatorio (in caso di mancato deferimento di giuramento), dall'art. 116 comma 2 c.p.c. (cfr. Cass. 485/1981); la seconda, analogamente, perverrebbe a risultati di ben scarso rilievo, nei confronti del curatore. Sulla prima prospettazione, non pare necessario soffermarsi ulteriormente -alla stregua della già svolte considerazioni-, mentre la seconda richiede una puntualizzazione ulteriore.
Riesce in via di principio difficile affermare che, per l'attuazione della tutela di tipo "finale", si debba previamente valutare l'impiego che, della documentazione, sarà per essere realizzato: difatti, sotto il profilo logico-giuridico, una impostazione siffatta indurrebbe, essa pure, a negare il carattere autonomo ed autosufficiente della protezione accordata; e, con riguardo alla posizione del curatore -ed, in sostanza, alla finalità, perseguita dall'ufficio, di verificare la revocabilità delle rimesse sul conto corrente nel periodo sospetto-, i rilievi, pur nella loro precisa formulazione, finiscono per rivelare ragioni di intima contraddizione, le quali non consentono di prestarvi adesione. In primo luogo, la denunziata "commistione" delle posizioni di parte (cui è legata l'applicabilità dell'art. 119 cit.) e di terzo - quale indiscutibilmente il curatore si pone, rispetto all'azione revocatoria fallimentare- introduce nel dibattito un elemento di valutazione del tutto estrinseco, non idoneo ad incidere sulla tutela in esame. Se la pretesa alla documentazione del curatore deriva dalla posizione di lui, di amministrazione del patrimonio fallimentare, e se in tale patrimonio trovasi già ricompreso il diritto sostanziale alla documentazione, non è dato sostenere che egli non possa procurarsela o, in subordinata alternativa, che non possa utilizzarla nel giudizio di revocatoria fallimentare: per tale ultima evenienza, oltre tutto, non solo col degradare la tutela spettante a quella di ordine processuale, ma, addirittura, relegandola, sul piano dell'efficacia probatoria in caso di inosservanza dell'ordine di esibizione, al rango di quella apprestata con l'art. 116 c.p.c. cit. (memoria, p. 8). Il medesimo rilievo negativo si estende alle considerazioni ulteriori, circa i principi di buona fede e solidarietà ed in ordine alla presunta disparità di trattamento, in sede di revocatoria fallimentare, nel diritto alla documentazione, fra Banca ed altri creditori del fallito, che pure abbiano conseguito pagamenti nel periodo sospetto. Affermare che la tutela non competerebbe al curatore, per travalicare i limiti imposti a quei principi, significa non considerare che Cass. 4958/1997 ha affermato la configurabilità del diritto in esame, anteriormente alla legge 385/1993, in presenza delle medesime esigenze complessive, onde non è dato ricorrere agli argomenti, in essa impiegati, per giungere a conclusione opposta, tanto più sotto il regime sopravvenuto, circa la "trasparenza bancaria", che mal si presta a restringere la tutela già in precedenza riconosciuta. Ciò vale, in particolare, per il secondo rilievo (ampiamente approfondito nella memoria), alla stregua del quale risulterebbe al contrario difficile -muovendo dalle ragioni effettive della tutela- riconoscere al curatore la facoltà di utilizzazione, nell'azione revocatoria, della documentazione (sull'andamento del conto nel periodo sospetto) trovata in possesso del fallito, negandogliela poi in ordine a quella conseguita per la via dell'art. 119 cit. Non a caso, sul presupposto di scioglimento del contratto (art. 78 legge fall.), Cass. 4598/1997 ha affermato, per le obbligazioni persistenti -o, addirittura, nascenti dall'esaurimento del rapporto- la sussistenza delle corrispondenti posizioni di diritto sostanziale in capo all'altro contraente, aggiungendo che "se lo scioglimento è dipeso dal fallimento di uno dei contraenti, l'esercizio di tale diritto naturalmente compete al curatore (così come all'erede, nel caso di scioglimento del contratto per morte di una delle parti), negli stessi termini in cui competerebbe al contraente in presenza di una diversa causa di scioglimento del contratto".
Ne deriva il superamento della parte restante del primo mezzo, nonché della richiesta subordinata di cui si è detto, ribadendosi l'impostazione sul punto della sentenza impugnata, poiché, una volta accertata la tutela di tipo "finale" ormai ripetutamente ricordata, nessuna indagine è consentita in ordine all'impiego del materiale richiesto, da considerare, per definizione, nella sua mera oggettività, poiché si è al di fuori di una domanda di pura e semplice esibizione documentale e, quella dell'attore, si qualifica come vera e propria domanda di "consegna". Da ciò, ulteriormente, deriva che ogni valutazione di ammissibilità del materiale probatorio -in siffatta maniera conseguito dal curatore- esula esso stesso, per definizione, dal presente giudizio, perché la "neutralità" dell'uso non si identifica nel carattere finale della tutela -come rileva, in chiave critica, la ricorrente-, ma ne costituisce inevitabile premessa ideologica.
Il terzo motivo risulta infondato, quanto alla violazione di legge, sul rilievo che la condanna generica ai danni è stata resa in conseguenza della violazione dell'obbligo della Banca di fornire la documentazione richiesta, ai sensi del cit. art. 119; e, quanto al vizio di motivazione, sulla considerazione che l'eventuale mancanza di danno -affermata, appunto, dalla ricorrente, in quanto l'intervenuta consegna avrebbe consentito comunque la tempestiva proposizione della revocatoria fallimentare- andrà in concreto fatta valere nel giudizio sul "quantum", che, a sua volta, si prospetta solo come eventuale.
L'impugnazione deve essere pertanto respinta, anche nella formulazione subordinata.
Non vanno rese statuizioni in ordine alle spese, per l'assenza dal giudizio della Curatela intimata.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 1999.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 1999