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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21669 - pubb. 11/01/2019.

Ambito di applicazione dell’art. 80 l.f.


Cassazione civile, sez. I, 23 Aprile 1998. Est. Ferro.

Contratto di locazione risolto precedentemente alla dichiarazione di fallimento del conduttore - Permanenza della curatela nella detenzione dell'immobile - Credito del proprietario dell'immobile - Natura indennitaria - Esclusione - Natura obbligatoria da risarcimento del danno extracontrattuale - Configurabilità - Fattispecie


La disposizione del secondo comma dell'art. 80 legge fall. (a norma del quale, in caso di fallimento del conduttore, il curatore può in qualunque momento recedere dal contratto, corrispondendo al locatore un giusto compenso) è applicabile solo nel caso in cui, alla data della dichiarazione del fallimento, sia in vigore una locazione della quale il fallito sia parte e non nel caso in cui, in quello stesso momento, il rapporto risulti già caducato. In quest'ultima ipotesi, la protrazione della detenzione del bene da parte della curatela risulta carente di titolo giuridico e, quindi, fonte di responsabilità extracontrattuale (benché il verificarsi di siffatta situazione non sia imputabile a dolo o a colpa del curatore ma debba considerarsi dipendente da necessità contingenti o da prevalenti interessi della massa), sicché il credito del proprietario del bene ha natura integralmente riparatoria e non meramente indennitaria e l'obbligazione risarcitoria viene a carico del fallimento ai sensi dall'art. 111, n. 1, legge fall. (nella specie, il contratto di locazione era stato dichiarato risolto per inadempimento del conduttore prima ancora che quest'ultimo fosse dichiarato fallito e la curatela era rimasta nella detenzione dell'immobile per tutto il tempo necessario alla redazione dell'inventario ed all'espletamento delle operazioni di vendita. La S.C. ha cassato il provvedimento del tribunale fallimentare con il quale era stato liquidato al proprietario dell'immobile un mero compenso, sull'erroneo presupposto che nella fattispecie non ricorressero ipotesi di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e che il proprietario dell'immobile fosse un beneficiario privilegiato del risultato utile delle operazioni fallimentari espletate sui beni mobili contenuti nell'immobile medesimo). (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. Mario CORDA Presidente
Dott. Giovanni LOSAVIO Consigliere
Dott. Giammarco CAPPUCCIO Consigliere
Dott. Vincenzo FERRO Cons. Relatore
Dott. Salvatore DI PALMA Consigliere
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto dalla
DO.RE.LI. s.n.c. di D. Renzo e C. avente sede in San Giovanni al Natisone, in persona del socio amministratore D. Renzo, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro B. e presso lo stesso elettivamente domiciliata in Udine, via G. V., n. x come da procura a margine del ricorso,

- ricorrente -

contro il

FALLIMENTO della POLLONI s.n.c. di M. Claudio e C., in persona de Curatore rag. Umberto R., autorizzato al presente giudizio con provvedimento del giudice delegato 16 febbraio 1996, rappresentato e difese dall'avv. Sandro S. del foro di Udine, elettivamente domiciliato in Roma, via M. Z. x, presso l'avv. Saverio U., come da procura a margine del controricorso,

- controricorrente -

avverso il decreto del Tribunale di Udine 16 novembre /11 dicembre 1995;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 novembre 1997 dal Relatore Cons. dott. Vincenzo Ferro;
Udito l'avv. Sandro S. per la parte resistente; Udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. Giovanni Lo Cascio, il quale ha concluso per la dichiarazione dell'inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con contratto 30 gennaio 1991 la DO.RE.LI. s.n.c. di D. Renzo e C. concedeva in locazione alla Polloni s.n.c. un capannone ad uso industriale sito in San Giovanni al Natisone per il canone mensile di lire 3.200.000 mensili oltre I.V.A. Tale contratto subiva risoluzione per inadempimento della conduttrice come da ordinanza di convalida di sfratto per morosità emessa dal Pretore il 15 dicembre 1994. Successivamente la Polloni s.n.c. veniva dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Udine 9/14 marzo 1995. La Curatela continuava la detenzione dell'immobile fino al 1^ ottobre 1995. Con decreto 20 ottobre 1995 il giudice delegato, provvedendo sull'istanza della società proprietaria volta ad ottenere un corrispettivo per l'occupazione nella misura di lire 3.500.000 mensili, determinava nella minor somma di lire 1.500.000 mensili (oltre I.V.A.) l'equo compenso di cui all'art. 80 R.D. 16 marzo 1942 n. 267. Il reclamo proposto dalla DO.RE.LI. s.n.c. di D. Renzo e C. veniva respinto dal Tribunale di Udine con decreto pronunciato il 16 novembre 1995, depositato il giorno 11 dicembre 1995. Avverso quest'ultimo provvedimento la DO.RE.LI. s.n.c. di D. Renzo e C. propone il presente ricorso per cassazione con deduzione di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e con richiesta che "la Suprema Corte di Cassazione, cassato il decreto impugnato, voglia disporre che la curatela del fallimento Polloni s.n.c. liquidi alla DO.RE.LI. s.n.c. a titolo di risarcimento del danno per l'occupazione del capannone la complessiva somma di lire 22.750.000 o in subordine di lire 20.800.000 (oltre I.V.A., in prededuzione ex art. 111 L.F. In subordine, voglia enunciare il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve informarsi." La Curatela del fallimento resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Devesi anzitutto rilevare la infondatezza della eccezione, prospettata dalla Curatela controricorrente e condivisa dal rappresentante del Pubblico Ministero, di inammissibilità del ricorso come sopra proposto, sulla base dell'assunto secondo cui la tutela giurisdizionale invocata dall'istante di un proprio diritto che asserisce venuto in essere dopo la dichiarazione del fallimento e in relazione di mera occasionalità con la procedura concorsuale sarebbe estranea alla cognizione del Tribunale fallimentare la cui vis attrattiva non si estende alle controversie indipendenti nella loro genesi dalla instaurazione della procedura fallimentare: la causa petendi della domanda proposta dalla DO.RE.LI. s.n.c. - in se stessa considerata, a prescindere della valutazione che sarà fatta della fondatezza o meno della domanda- configura una ipotesi riconducibile all'ambito dei "debiti contratti per l'amministrazione del fallimento e per la continuazione dell'esercizio dell'impresa" di cui all'art. 111 c. I n.1 della legge fallimentare, il cui secondo comma stabilisce che "i prelevamenti indicati al n. 1 sono determinati con decreto del giudice delegato"; il decreto al riguardo pronunciato dal giudice delegato è suscettibile di reclamo, a norma dell'art. 26 della stessa legge fallimentare i al Tribunale, i cui provvedimenti sono ritenuti -secondo i noti principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità (v. da ultimo Cass. 22 maggio 1997 n. 4590)- impugnabili mediante ricorso per cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art. 111 Cost., se ed in quanto caratterizzati da contenuto incidente su posizioni di diritto soggettivo con effetto di definitività. Tale sistema di accertamento e di soddisfacimento, mediante la cosiddetta prededuzione, dei crediti insorgenti a favore di terzi (eventualmente identificabili soggettivamente negli stessi creditori concorsuali, ma ad altro titolo) nei diretti confronti della massa -non riconducibili, come tali, a differenza di quelli indicati nei n. 2 e 3 del primo comma dello stesso art. 111, allo speciale procedimento di formazione dello stato passivo avente ad oggetto i crediti pregressi destinati al soddisfacimento nella misura consentita dalla falcidia concorsuale, al quale inerisce il peculiare strumento impugnatorio dell'opposizione di cui all'art. 98 della legge fallimentare- implica per tal modo una adeguata forma endofallimentare di tutela giurisdizionale, la cui operatività non potrebbe ritenersi esclusa dalla possibilità, altre volte prospettata in giurisprudenza e in dottrina, di accesso ad altre forme di tutela, quali la stessa ammissione al passivo analoga a quella prevista per i crediti concorsuali o l'azione diretta di condanna nei confronti della Curatela. Non può quindi negarsi, ogniqualvolta -come nel caso in esame- l'istanza della parte, e le determinazionì su di essa assunte dagli organi fallimentari I risultino inquadrate nel sistema processuale di cui all'art. 26, il controllo di legittimità, relativamente e limitatamente alla ipotesi di violazione di legge, ai sensi dell'art. 111 Cost., in ordine a un provvedimento suscettibile di condizionare definitivamente, sul piano endofallimentare, il soddisfacimento del diritto dell'istante.
Ciò premesso, il ricorso merita accoglimento. La liquidazione da parte del giudice delegato dell'equo compenso per l'occupazione dell'immobile nella misura suindicata è stata effettuata dichiaratamente in applicazione dell'art. 80 della legge fallimentare il cui secondo comma stabilisce che "in caso di fallimento dei conduttore, il curatore può in qualunque momento recedere dal contratto, corrispondendo al locatore un giusto compenso, che nel dissenso fra le parti è determinato dal giudice delegato sentiti gli interessati". Tale riferimento normativo a sostegno della decisione è rimasto invariato, e risulta anzi implicitamente confermato nella motivazione del decreto del Tribunale di Udine, il quale ha affermato che la società istante "non può vantare nei confronti del fallimento ne' un titolo contrattuale (posto che il contratto di locazione in corso con la società poi fallita era già stato risolto, con sfratto esecutivo, prima della dichiarazione di fallimento) ne' un titolo extracontrattuale da fatto illecito, posto che gli organi della procedura, lungi dall'operare illecitamente, hanno occupato l'immobile per il tempo strettamente necessario all'adempimento dei doveri di redazione dell'inventario e di espletamento delle operazioni di vendita in modo da ottenere il maggior vantaggio possibile per l'intera classe creditoria", e che la i fini della valutazione della congruità dell'equo compenso comunque disposto si deve anche considerare che la stessa proprietaria dell'immobile è una beneficiaria privilegiata (art.2764 C.C.) del risultato utile delle operazioni fallimentari espletare sui beni mobili contenuti nell'immobile medesimo". Per tal modo, il giudice del merito ha operato un indebito stravolgimento del Petitum e della causa petendi che caratterizzavano la domanda a lui sottoposta, accedendo a una ricostruzione in termini indennitari di una fattispecie che la parte istante aveva correttamente qualificato in termini risarcitori, e incorrendo in errore nella individuazione delle norme e dei principi di diritto a cui la stessa doveva risultare riconducibile. Ed invero, l'art. 80 della legge fallimentare prevede, per il caso di fallimento del conduttore, un sistema volto ad attenuare il rigore del subentro del curatore nel contratto di locazione (al quale consegue l'assunzione, in capo alla massa, di tutte le situazioni obbligatorie attive e passive di cui già era titolare il contraente originario) con la previsione della facoltà, per il curatore, di recedere in ogni tempo, anticipatamente rispetto alla scadenza, dal contratto stipulato dal conduttore poi fallito, ogniqualvolta la prosecuzione della locazione risulti inutile o troppo onerosa per il fallimento, corrispondendo al locatore in bonis un compenso che costituisce indennizzo equitativo del pregiudizio correlato al -legittimo, ancorché unilaterale- esercizio di un diritto e non pieno risarcimento di un danno. Tale disposizione trova applicazione se ed in quanto alla data della dichiarazione del fallimento sia in vigore una locazione della quale il fallito sia parte, e non anche qualora in quel momento il rapporto risulti già caducato. In questa diversa ipotesi, la protrazione della detenzione del bene da parte della Curatela risulta, come risultava per il detentore prima del fallimento, carente di titolo giuridico e quindi, in quanto non compatibile col pieno godimento del bene medesimo da parte del proprietario, fonte di responsabilità extracontrattuale, quand'anche il verificarsi di siffatta situazione non sia imputabile a dolo o a colpa del curatore ma debba considerarsi dipendente da necessità contingenti o da prevalenti interessi della massa. Tale distinzione esplica i suoi riflessi sulla determinazione quantitativa del credito del proprietario che deve essere riferita a una esigenza integralmente riparatoria (ferma restando ovviamente la possibilità di liquidazione equitativa del risarcimento di un danno non precisamente dimostrabile nella sua entità, a norma del combinato disposto degli art. 1256 e 2056 C.C. e non alla discrezionale valutazione di una prestazione, ovviamente inferiore, meramente indennitaria, in vista di un ecuo contemperamento di posizioni contrapposte ma entrambe legittime. E l'obbligazione risarcitoria che così viene in essere a carico del Fallimento rientra nel novero di quelle di cui all'art. 111 n. 1 della legge fallimentare, la cui applicazione deve intendersi non già circoscritta - come potrebbe suggerire una interpretazione ingiustificatamente formalistica della locuzione "debiti contratti"- agli effetti dell'attività negoziale della Curatela, bensì estesa alle situazioni obbligatorie che di tale connotazione negoziale sono carenti, quali i fatti illeciti riferibili alla Curatela stessa e, più in generale, ogni altro atto o fatto idoneo a dar vita ad una obbligazione in conformità all'ordinamento giuridico (art. 1173 C.C.), purché si pongano in connessione di dipendenza causale dalla procedura concorsuale. Alla stregua di tali principi, si rende palese l'errore di diritto insito nel provvedimento denunciato, nel quale il Tribunale di Udine, pur dando atto della pregressa risoluzione del rapporto locatizio, non ha da ciò tratto congruenti conseguenze, valorizzando piuttosto ragioni che, pur rilevanti a giustificazione soggettiva dell'operato del curatore, non influiscono minimamente, come si è detto, sulla presente decisione.
Si accede pertanto all'accoglimento del ricorso e alla cassazione dell'impugnato decreto del Tribunale e friulano, il quale, come giudice di rinvio funzionalmente competente, provvederà - in diversa composizione- a nuovo esame della domanda della DO.RE.LI. alla luce dei criteri suindicati; non può essere invece soddisfatta l'aspirazione della ricorrente a conseguire in questa sede, ai sensi dell'art. 384 C.P.C. novellato, quella decisione, sostituiva d i quella cassata, che presuppone necessariamente l'esercizio di un potere di apprezzamento valutativo della fattispecie concreta riservato al giudice del merito.
Il giudice del rinvio viene investito altresì della statuizione sulle scese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

la Corte
accoglie il ricorso;
cassa l'impugnato decreto e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Udine, allo stesso riservando la decisione sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 1997.
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 1998