Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20960 - pubb. 19/12/2018

Atti di frode e revoca del concordato preventivo: profili oggettivo e soggettivo

Cassazione civile, sez. I, 23 Marzo 2018, n. 7379. Est. Campese.


Concordato preventivo – Atti di frode – Caratteristiche oggettive

Concordato preventivo – Atti di frode – Caratteristiche soggettive

Concordato preventivo – Atti di frode – Occultamento o di dissimulazione dell'attivo



Gli atti di frode vanno intesi, sul piano oggettivo, come "le condotte volte ad "occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l'idoneità a pregiudicare il consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, e che non si identificano con quelle di cui alla L. Fall., artt. 64 e ss., inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza ed integrale rilevanza a fronte di una evidenziazione precedente del tutto inadeguata" (Cass. 29 luglio 2014, n. 17191, con riguardo all'esistenza di un credito di rilevante importo non dichiarato dalla società debitrice nelle sue scritture contabili).

Si intende, dunque, che gli atti di frode devono essere "accertati" dal commissario giudiziale: locuzione che è riferibile o al fatto successivamente scoperto, in quanto in precedenza ignoto ai creditori nella sua materialità; o al fatto comunque non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato ed allegati (Cass. 18 aprile 2014, n. 9050). In entrambi i casi, si tratta di comportamenti del debitore che hanno una valenza decettiva, onde pregiudicano il consenso informato dei creditori (Cass. 15 ottobre 2013, n. 23387; 5 agosto 2011, n. 17038)" (cfr. Cass. n. 3409 del 2016. In senso sostanzialmente analogo, si vedano anche le più recenti Cass. n. 5689 del 2017 e Cass. n. 26429 del 2017).

Può, peraltro, precisarsi che "rientrano tra gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell'ammissione alla predetta procedura, ai sensi della L. Fall., art. 173, anche i fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta concordataria o nei suoi allegati, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza, e, quindi, anche ove questi ultimi siano stati resi edotti di quell'accertamento" (cfr. Cass. n. 25165 del 2016; Cass. n. 26429 del 2017). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Sul piano soggettivo, il comportamento del debitore in ordine agli atti di frode di cui all’art. 173 lgge fall. deve essere stato assunto con dolo, inteso come volontarietà del fatto (così ancora Cass. n. 23387/2013 e n. 17038/2011), consistente anche nella mera consapevolezza di aver taciuto nella proposta circostanze rilevanti ai fini dell'informazione dei creditori (cfr. Cass. n. 10778 del 2014; Cass. n. 9027 del 2016; Cass. n. 26429 del 2017).

In definitiva, gli atti di frode rilevanti ai fini della disciplina in discorso presuppongono: a) l'esistenza di un dato di fatto occultato afferente il patrimonio del debitore tale da alterare la percezione dei creditori, risultando una divergenza tra la situazione patrimoniale dell'impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale; b) il carattere doloso di detta divergenza, quale volontarietà del fatto. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

In definitiva, l'accertamento di atti di occultamento o di dissimulazione dell'attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell'esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina in sè - alla stregua dei principi finora esposti - la revoca dell'ammissione al concordato, e prescinde anche dal voto espresso dai creditori in adunanza ovvero dal fatto che questi ultimi siano stati poi resi edotti di quell'accertamento (cfr. Cass. 5689 del 2017; Cass. n. 25165 del 2016; Cass. n. 14552 del 2014). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria - Presidente -

Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -

Dott. PAZZI Alberto - Consigliere -

Dott. CAMPESE Eduardo - rel. Consigliere -

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

1. A seguito di segnalazione del commissario giudiziale ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 1, il Tribunale di Firenze, con decreto del 24 aprile/6 maggio 2013, revocò l'ammissione alla procedura di concordato preventivo della (*) s.r.l. in liquidazione, e, con contestuale sentenza n. 111 del 2013, ritenuta la sussistenza delle condizioni di legge, ne dichiarò il fallimento.

2. La sentenza fu reclamata dalla società, che focalizzò la propria impugnazione esclusivamente sui motivi che avevano condotto alla revoca della sua ammissione al concordato, mentre nessuna contestazione mosse circa l'esistenza dei presupposti per la sua sottoposizione alla procedura concorsuale maggiore.

2.1. La Corte d'appello di Firenze, nel contraddittorio con la curatela fallimentare, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze e con l'intervento del Procuratore Generale presso la medesima corte, con sentenza del 4/17 settembre 2013, rigettò il reclamo, condannando la (*) s.r.l. in liquidazione al pagamento delle spese processuali.

2.2. Nello specifico e per quanto ancora rileva in questa sede, quella corte, premessa la reclamabilità, anche per motivi attinenti alla revoca dell'ammissione al concordato preventivo, della sentenza dichiarativa di fallimento resa in esito alla revoca stessa: 1) respinse il primo motivo (erronea qualificazione in termini di "atto in frode" della omessa indicazione della causa promossa dal Comune di Bologna contro (*) s.r.l. senza valutazione dell'elemento soggettivo e nonostante il comprovato giudizio di presumibile infondatezza della pretesa creditoria avanzata dal comune), assumendo che "...la divergenza tra la situazione patrimoniale dell'impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale,... che non può essere inquadrata in alcuna delle ipotesi specificatamente tipizzate nella prima parte della L. Fall., art. 173, comma 1 (accertamento o dissimulazione di parte dell'attivo, omessa dolosa denuncia di uno o più crediti, esposizioni di passività inesistenti), rientra nell'ipotesi residuale e generica degli "altri atti di frode", con la conseguenza che occorre accertare il carattere doloso di detta divergenza, non essendo concepibile un atto fraudolento, che non sia sorretto da una precisa intenzione di compierlo (cfr. Cass., Sez. 1, 5.8.2011 n. 17038). Ciò posto, a giudizio di questa Corte l'integrazione della fattispecie richiede, tuttavia, per usare le categorie proprie del diritto penale utilizzate dal legislatore fallimentare, il dolo generico, id est la consapevolezza e volontà della omissione, e non anche, come sostenuto dall'opponente, il dolo specifico, e cioè anche la volontà di arrecare un pregiudizio ai creditori.... Ne consegue che la omessa indicazione nella proposta concordataria della prestazione di fideiussione a favore del Comune di Bologna a garanzia del debito di Sala Borsa s.r.l. e del contenzioso pendente per la sua escussione integra gli estremi dell'atto in frode ai creditori, che giustifica la revoca della ammissione al concordato..."; 2) disattese il secondo motivo (erroneità della qualificazione di "atto di frode" della mancata indicazione del contratto di leasing dell'autovettura Audi A6, senza valutazione dell'atteggiamento soggettivo della proponente), ritenendo rientrare "... a pieno titolo tra gli atti in frode anche l'altro individuato dal Tribunale fallimentare con riferimento alla esistenza di un contratto di leasing avente ad oggetto una autovettura di cui, peraltro, nemmeno in questa sede è stato indicato l'effettivo utilizzatore. Si tratta, infatti, anche in questo caso, della violazione del principio di verità della rappresentazione della situazione patrimoniale dell'impresa, suscettibile di pregiudicare il diritto dei creditori ad una corretta informazione ai fini della espressione di un altrettanto informato consenso o dissenso sulla proposta..."; 3) considerò' assorbito il terzo motivo (erroneità dell'attribuzione di rilevanza, L. Fall., ex art. 173, comma 1, alla circostanza della omessa esplicitazione della fonte dell'indebitamento nei confronti della società PDE S.p.A.).

3. Avverso detta pronuncia ricorre la (*) s.r.l. in liquidazione, sulla base di due ulteriormente illustrato da memoria curatela fallimentare.

4. Con il primo motivo, si denuncia del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 173, comma 1, da parte della Corte d'Appello, laddove ha ritenuto che la mancata rappresentazione al ceto creditorio della fideiussione rilasciata da (*) in favore del Comune di Bologna, per l'importo di Euro 2.000.000,00 (e della consequenziale causa passiva), concretasse un "atto di frode" in virtù della mera volontarietà dell'omissione informativa da parte della società proponente il concordato (secondo lo schema del dolo generico), senza attribuire alcun rilievo all'intento concretamente perseguito dalla proponente medesima, nonostante fosse pacificamente privo di qualsivoglia portata decettiva".

4.1. Con il secondo motivo, si lamenta "Violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 173, comma 1, avendo la Corte d'Appello attribuito rilevanza, agli effetti della revoca del concordato e della contestuale dichiarazione di fallimento, alla mancata indicazione di un contratto di leasing relativo ad un'autovettura, omettendo in tal modo di considerare la portata modestissima della posta in questione e - ancora una volta - l'insussistenza del dolo in capo alla ricorrente".

5. Entrambi i motivi, scrutinabili congiuntamente perché da decidersi mediante applicazione di principi analoghi, sono, benché ammissibili (certamente potendosi considerare rispettato dalla ricorrente, diversamente da quanto eccepito dalla curatela, lo specifico obbligo gravante sulla prima ex art. 366 c.p.c., n. 6, e art. 369 c.p.c., n. 4), infondati.

5.1. Le già riportate affermazioni contenute nella sentenza impugnata, infatti, denotano l'avvenuta corretta applicazione del disposto di cui alla L. Fall., art. 173, - nella formulazione, applicabile ratione temporis, derivata dal correttivo di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007 - che prevede ipotesi ben precise per le quali si può addivenire al provvedimento di revoca dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo: ipotesi distinte tra commi 1 e 3, a seconda che le condotte ivi previste siano state commesse anteriormente al decreto di ammissione alla procedura ovvero nel corso della procedura medesima. In particolare, con riferimento alle condotte poste in essere ante decreto di ammissione, come nel caso di specie, il comma 1 stabilisce che "il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d'ufficio il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori".

5.2. Come ha già avuto modo di sostenere la giurisprudenza di legittimità, gli atti di frode vanno intesi, sul piano oggettivo, come "le condotte volte ad "occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l'idoneità a pregiudicare il consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, e che non si identificano con quelle di cui alla L. Fall., artt. 64 e ss., inizialmente ignorate dagli organi della procedura e dai creditori e successivamente accertate nella loro sussistenza o anche solo nella loro completezza ed integrale rilevanza a fronte di una evidenziazione precedente del tutto inadeguata" (Cass. 29 luglio 2014, n. 17191, con riguardo all'esistenza di un credito di rilevante importo non dichiarato dalla società debitrice nelle sue scritture contabili). Si intende, dunque, che gli atti di frode devono essere "accertati" dal commissario giudiziale: locuzione che è riferibile o al fatto successivamente scoperto, in quanto in precedenza ignoto ai creditori nella sua materialità; o al fatto comunque non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato ed allegati (Cass. 18 aprile 2014, n. 9050). In entrambi i casi, si tratta di comportamenti del debitore che hanno una valenza decettiva, onde pregiudicano il consenso informato dei creditori (Cass. 15 ottobre 2013, n. 23387; 5 agosto 2011, n. 17038)" (cfr. Cass. n. 3409 del 2016. In senso sostanzialmente analogo, si vedano anche le più recenti Cass. n. 5689 del 2017 e Cass. n. 26429 del 2017).

5.2.1. Può, peraltro, precisarsi che "rientrano tra gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell'ammissione alla predetta procedura, ai sensi della L. Fall., art. 173, anche i fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta concordataria o nei suoi allegati, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza, e, quindi, anche ove questi ultimi siano stati resi edotti di quell'accertamento" (cfr. Cass. n. 25165 del 2016; Cass. n. 26429 del 2017).

5.2.2. Sul piano soggettivo, il comportamento deve essere stato assunto con dolo, inteso come volontarietà del fatto (così ancora Cass. n. 23387/2013 e n. 17038/2011), consistente anche nella mera consapevolezza di aver taciuto nella proposta circostanze rilevanti ai fini dell'informazione dei creditori (cfr. Cass. n. 10778 del 2014; Cass. n. 9027 del 2016; Cass. n. 26429 del 2017). E' stata, pertanto, disattesa l'assimilazione tra atti pregiudizievoli per i creditori ed atti di frode come definiti ai fini della norma di cui alla L. Fall., art. 173.

5.2.3. In definitiva, gli atti di frode rilevanti ai fini della disciplina in discorso presuppongono: a) l'esistenza di un dato di fatto occultato afferente il patrimonio del debitore tale da alterare la percezione dei creditori, risultando una divergenza tra la situazione patrimoniale dell'impresa prospettata con la proposta di concordato e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale; b) il carattere doloso di detta divergenza, quale volontarietà del fatto.

5.3. Nella odierna fattispecie, i fatti (omessa rappresentazione, in sede di proposta di concordato, della circostanza inerente la prestazione, da parte di (*) s.r.l., di una fidejussione a favore del Comune di Bologna per l'importo di Euro 2.000.000,00, a garanzia di un credito vantato dall'ente territoriale nei confronti della Sala Borse S.p.A.; pendenza di un contenzioso tra la proponente il concordato ed il suddetto comune per la riscossione dell'anzidetta garanzia, azionata con decreto ingiuntivo; mancata indicazione del contratto di leasing di un'autovettura Audi A6), peraltro assolutamente incontroversi, segnalati dal commissario giudiziale al giudice delegato alla procedura concordataria e considerati dal tribunale (come poi confermato dalla corte territoriale) decisivi ai fini della revoca dell'ammissione della ricorrente al concordato preventivo e della conseguente dichiarazione del suo fallimento, dimostrano palesemente l'esistenza di una divergenza tra la situazione patrimoniale dell'impresa prospettata con la proposta concordataria e quella effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale.

5.3.1. Si tratta di fatti che non rientrano in alcuna delle già descritte ipotesi specificatamente tipizzate nella L. Fall., art. 173, comma 1, sicché vanno ricondotti nell'ipotesi residuale e generica, ivi prevista, degli "altri atti di frode", imponendosi, conseguentemente, l'indagine circa il loro carattere doloso, non essendo concepibile un atto fraudolento che non sia sorretto da una precisa intenzione di compierlo (cfr. Cass. n. 17038 del 2011). Carattere doloso che, come si è già detto, può consistere anche nella mera consapevolezza di aver taciuto nella proposta circostanze rilevanti ai fini dell'informazione dei creditori (cfr. Cass. n. 10778 del 2014; Cass. n. 9027 del 2016; Cass. n. 26429 del 2017). Non è, invece, necessaria la dolosa preordinazione in vista dell'effetto decettivo, essendo sufficiente la intenzionalità dell'atto/omissione con valenza decettiva. La fraudolenza rileva, invero, non in termini di effettiva consumazione, ma di potenzialità decettiva nei riguardi dei creditori, come argomentato già da Cass. n. 23387 del 2013, atteso che la norma non richiede che, una volta accertata la presenza di atti di frode, venga dato spazio a successive valutazioni dei creditori.

5.3.2. In definitiva, l'accertamento di atti di occultamento o di dissimulazione dell'attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell'esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina in sè - alla stregua dei principi finora esposti - la revoca dell'ammissione al concordato, e prescinde anche dal voto espresso dai creditori in adunanza ovvero dal fatto che questi ultimi siano stati poi resi edotti di quell'accertamento (cfr. Cass. 5689 del 2017; Cass. n. 25165 del 2016; Cass. n. 14552 del 2014).

6. Le riportate affermazioni della corte fiorentina, pertanto, appaiono evidentemente immuni dagli errori oggi lamentati dalla ricorrente, da ciò conseguendone la conferma della sentenza oggi impugnata.

7. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese di questa fase regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, - in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) - della sussistenza dei presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell'impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest'ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) per il versamento, da parte dell'impugnante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione proposta.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 15 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2018.