Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20824 - pubb. 23/11/2018

Sulla legittimazione diretta del fallito all'azione di responsabilità ex art. 38 l. fall. contro il curatore revocato

Cassazione civile, sez. II, 15 Ottobre 2018, n. 25687. Est. Scarpa.


Azione di responsabilità contro il curatore revocato ex art. 38 l. fall. - Legittimazione processuale del curatore - Esclusività - Limiti - Inerzia dell'amministrazione fallimentare - Conseguenze - Legittimazione del fallito - Azione extracontrattuale di risarcimento danni contro il curatore - Ammissibilità - Prescrizione - Sospensione durante la pendenza della procedura fallimentare - Esclusione - Fondamento - Fattispecie



La legittimazione diretta del fallito alla proposizione dell'azione ex art. 38 l. fall. contro il curatore revocato è configurabile solo nel caso di ingiustificata inerzia del nuovo curatore, essendo di regola legittimata a tale azione solo la massa dei creditori. Nei confronti del curatore, anche non revocato, il fallito è tuttavia sempre legittimato a richiedere, per fatti illeciti che non incidano sul patrimonio fallimentare, il risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., il cui termine prescrizionale decorre dalla produzione del danno e non resta sospeso ai sensi dell'art. 2941 n. 6 c.c., poiché tale disposizione si riferisce a fattispecie di responsabilità nascente dall'amministrazione del patrimonio altrui, non applicabile al rapporto in questione non compreso nell'attività fallimentare. (Nella specie la S.C., ha confermato la decisione della corte d'appello che, ritenuta improponibile l'azione ex art. 38 l. fall. da parte del fallito nei confronti del curatore revocato, non avendo ravvisato inerzia da parte del nuovo curatore - che aveva assunto tale decisione dopo avere valutato le risultanze di un parere legale - diversamente qualificando l'azione proposta quale domanda ex art. 2043 c.c., ne aveva dichiarato la prescrizione, ritenendo non applicabile alla specie l'ipotesi di sospensione prevista dall'art. 2941 n. 6 c.c.). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo - Presidente -

Dott. SABATO Raffaele - Consigliere -

Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere -

Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere -

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

D.N.G., INDUSTRIA S. di D.N.A. E PI. & C. SAS, D.V.O., NUOVA D.N. SRL IN LIQUIDAZIONE, D.N.P. e D.N.A. propongono ricorso articolato in otto motivi (di cui alcuni suddivisi a loro volta in autonome e distinte censure) avverso la sentenza n. 1643/2014 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/07/2014.

Resistono con distinti controricorsi P.P.R., P.S.M. e P.N.M., nonchè la IMMOBILIARE D. SPA, mentre rimangono intimati senza svolgere attività difensive la S.FICIO S. DI B.A. & C SNC e D.R.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c.

La Corte d'Appello di Venezia ha rigettato l'impugnazione avanzata contro la sentenza n. 332/2010 del Tribunale di Vicenza, pronunciata in ordine a due procedimenti riuniti, che aveva, in particolare, respinto le domande formulate da D.V.O. nei confronti dell'aggiudicataria S.FICIO S., e così affermato che anche il diritto di usufrutto legale dalla medesima vantato sui beni rientranti nella successione del marito ex art. 581 c.c. (nel testo previgente alla L. n. 151 del 1975) fosse stato oggetto di pignoramento e di espropriazione da parte della Cassa di Risparmio di Verona, avendo la creditrice notificato pure a D.V.O. l'atto di pignoramento, nella qualità altresì di socia accomandante della società INDUSTRIA S., proprietaria dell'immobile. Aggiungeva la Corte di Venezia che sia l'ordinanza di vendita del G.E. del (*) sia il decreto di trasferimento avevano correttamente ricompreso detto diritto di usufrutto, ed ogni questione al riguardo doveva perciò farsi valere con opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Circa l'azione ex art. 38 L. Fall., proposta nei confronti di F.G. (poi proseguita nei confronti dell'erede dello stesso, signora T.V., ovvero ancora degli eredi di quest'ultima) quale ex curatore del fallimento INDUSTRIA S.), i giudici di secondo grado hanno confermato che la stessa fosse improponibile, non essendovi stata inerzia al riguardo da parte del nuovo curatore, legittimato alla relativa azione. Prescritta invece veniva ritenuta la domanda ex art. 2043 c.c., non trovando applicazione l'ipotesi di sospensione ai sensi dell'art. 2941 c.c., n. 6. Ancora, la sentenza impugnata respingeva il motivo di gravame relativo alle domande proposte nei confronti della S.FICIO S. DI B.A. & C SNC., alla quale si era imputato di essersi appropriata di beni appartenenti al fallimento della INDUSTRIA S. SAS, mancando prova sia della proprietà di quest'ultima che dell'appropriazione della controparte.

Deve dichiararsi innanzitutto inammissibile l'"atto di riassunzione ex art. 303 c.p.c. nel giudizio interrotto a seguito del fallimento di Salumificio San Carlo snc", depositato dai ricorrenti il 30 agosto 2016, in quanto, com'è noto, una volta instauratosi il giudizio di cassazione con la notifica e il deposito del ricorso, lo stesso, poichè per sua natura procede per impulso d'ufficio, non rimane soggetto agli eventi della morte o della perdita della capacità della parte, di cui agli artt. 299 e ss c.p.c., sicchè non si produce l'effetto interruttivo di cui all'art. 300 c.p.c., nè può in tale sede trovare applicazione il disposto del successivo art. 302 c.p.c. circa le modalità di riassunzione ad istanza di parte.

Va ancora disattesa l'eccezione dei controricorrenti P.P.R., P.S.M. e P.N.M., che assumono l'inammissibilità del ricorso per mancanza, nella procura conferita a margine di esso, della data e dell'indicazione della sentenza da impugnare. La procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione, ex art. 365 c.p.c., deve certamente essere conferita in epoca anteriore alla notificazione dello stesso, investire espressamente il difensore del potere di proporre il ricorso suddetto ed essere rilasciata in data successiva alla sentenza oggetto dell'impugnazione. Tuttavia, il mandato apposto a margine (come nella specie) al ricorso per cassazione, prima della relazione di notifica, è per sua natura mandato speciale, formando esso materialmente corpo con il ricorso al quale inerisce, e perciò risultando, in tal caso, irrilevante la mancata indicazione della data o la mancata specificazione della sentenza da impugnare, non essendo tali requisiti neppure previsti a pena di nullità (arg. da Cass. Sez. L, 09/05/2007, n. 10539; Cass. Sez. 3, 20/12/2005, n. 28227; Cass. Sez. 1, 26/03/1964, n. 678).

Il primo motivo - prima censura di ricorso denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 555 c.p.c. e l'illogicità della motivazione, osservando che l'atto di pignoramento notificato il 9 settembre 1982 dalla Cassa di Risparmio di Verona avrebbe dovuto indicare sia il diritto di proprietà sul compendio immobiliare del 40% spettante alla INDUSTRIA S. SAS, sia l'usufrutto uxorio sul rimanente 60% spettante a D.V.O.

Il primo motivo - seconda censura denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 5, "l'erroneo omesso riconoscimento in sentenza di atto processuale abnorme e come tale inesistente: erroneo mancato riconoscimento in sentenza della assenza della causa negoziale del trasferimento coattivo per espropriazione". L'assunto è che l'inesistenza del pignoramento dell'usufrutto della D.V. rende altresì inesistente "l'ordinanza di trasferimento".

Il secondo motivo di ricorso allega l'erronea interpretazione e falsa applicazione dell'art. 617 c.p.c.: i vizi della mancata indicazione nell'atto di pignoramento del diritto di usufrutto e del trasferimento coattivo ingiustificato dello stesso sono insanabili. Il terzo motivo denuncia l'erronea interpretazione e falsa applicazione dell'art. 38 L. Fall. e l'erronea limitazione della responsabilità del dottor F. alla disciplina ex art. 2043 c.c. anzichè anche ex art. 1218 c.c., nonchè l'erronea applicazione ed interpretazione degli artt. 2043 e 2941 c.c., n. 6.

Il quarto motivo di ricorso deduce l'omessa pronuncia sulle censure relative alla legittimità dell'intervento dei terzi ( D.N.G., NUOVA D.N. SRL e D.N.A.), ritenuti dal primo giudice non legittimati a far valere l'asserita lesione del diritto di usufrutto, giacchè spettante soltanto D.V.O., senza che la Corte d'Appello abbia poi pronunciato sulla critica che evidenziava il loro interesse a recuperare comunque la proprietà del bene.

Il quinto motivo di ricorso denuncia l'omesso esame del motivo di appello che sottolineava l'errore in cui era incorso il Tribunale, in quanto l'azione risarcitoria spiegata in questo procedimento contro il S.FICIO S. SNC attiene a beni distinti da quelli oggetto della sentenza n. 1342/2003 del Tribunale di Vicenza, la quale aveva riguardo a macchinari della Nuova D.N. s.r.l.

Il sesto motivo di ricorso denuncia l'omesso esame di fatto decisivo e l'assenza di motivazione, quanto al punto della sentenza impugnata che ha negato la prova del danno come anche l'ammissione di una CTU esplorativa, richiamando la documentazione prodotta in primo grado sul valore dei macchinari.

Il settimo motivo - prima censura di ricorso allega l'omesso esame di fatto decisivo, la violazione e falsa applicazione dell'art. 97 c.p.c. e la contraddittorietà della motivazione quanto alla condanna solidale degli intervenuti alle spese di lite, che la Corte di Venezia ha giustificato sul presupposto del comune interesse dei soccombenti a far valere l'invalidità della procedura esecutiva.

Il settimo motivo di ricorso - seconda censura contesta l'omessa statuizione della Corte d'Appello sul motivo di censura attinente alla "spropositata ed eccessiva" somma liquidata a titolo di spese processuali dal primo giudice. Al riguardo, la Corte d'Appello ha affermato che la quantificazione delle spese disposta dal Tribunale "risulta corretta sulla base dello scaglione di valore della causa".

L'ottavo motivo di ricorso censura l'"assoluta carenza istruttoria nelle cause riunite", non avendo "il giudicante" proceduto "all'espletamento della istruttoria richiesta dagli attori e dagli intervenuti".

1. Va premesso che il primo motivo - seconda censura, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo presentano analoghi profili di inammissibilità, giacchè denunciano vizi di "illogicità" o di "contraddittorietà" della motivazione, oppure di "omesso esame", senza conformarsi al parametro di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, il quale ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). I ricorrenti, invero, espongono censure di assunta illogicità o contraddittorietà della motivazione, che sono estranee al nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e che neppure sopravvivono come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4); oppure richiamano in ricorso circostanze senza rispettare la previsione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e cioè non indicando il "dato", testuale o extratestuale, da cui esse risultino esistenti, nè il "come" e il "quando" tali circostanze siano state oggetto di discussione processuale tra le parti (ovvero l'atto dei pregressi gradi di merito ove sia stata svolta la relativa allegazione), nè la rispettiva "decisività"; o, ancora, deducono l'omesso esame di elementi istruttori, il che nemmeno integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053); ancor più spesso, le censure portate alla sentenza della Corte d'Appello di Venezia richiedono a questa Corte di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, di individuare fonti di convincimento diverse da quelle prescelte dai giudici di secondo grado, di rivalutare le prove e ricontrollarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute dai ricorrenti maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, compiti tutti esulanti dal proprium del giudizio di legittimità.

2. Il primo motivo (nelle sue due censure) ed il secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono in ogni caso infondati. La Corte di Venezia ha inteso sottoposti a pignoramento non soltanto la nuda proprietà degli immobili, ma anche il diritto di usufrutto vantato da D.V.O., cui l'atto era stato notificato, con la conseguenza che altresì il medesimo usufrutto dovesse intendersi compreso nell'ordinanza di vendita e nel decreto di trasferimento. Trova, pertanto, applicazione il principio che nell'espropriazione immobiliare oggetto del trasferimento è il bene descritto nell'ordinanza di vendita. Nella specie, essendo pacifico che l'ordinanza di vendita del 12 dicembre 1988 menzionava anche il diritto di usufrutto per tutti i lotti in vendita (pag. 22 della sentenza impugnata), i ricorrenti non possono pretendere di recuperare con il presente giudizio quanto avrebbero dovuto far valere con opposizione agli atti esecutivi contro la stessa ordinanza di vendita (arg. da Cass. Sez. 3, 25/08/2006, n. 18492). In materia di esecuzione forzata, il decreto di trasferimento di cui all'art. 586 c.p.c., ancorchè abbia avuto ad oggetto un bene in tutto o in parte diverso da quello pignorato (come per tutte le situazioni invalidanti che si producano nella fase conclusa dall'ordinanza di autorizzazione della vendita e che, comunque, non impediscano che esso consegua il risultato dell'espropriazione del bene pignorato come mezzo per la soddisfazione dei creditori), non è inesistente, ma solo affetto da invalidità, da contestare, appunto, con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi nei termini di cui all'art. 617 c.p.c. (Cass. Sez. U, 27/10/1995, n. 11178; Cass. Sez. 3, 13/03/2014, n. 5796).

3. Da ciò discende anche l'inammissibilità e comunque la manifesta infondatezza del quarto motivo di ricorso.

I ricorrenti, volendo lamentare l'omessa pronuncia sulla seconda censura del loro appello (riportata a pagg. 33 e 34 del ricorso) da parte dell'impugnata sentenza, dovevano denunciare la violazione dell'art. 112 c.p.c., con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 o quanto meno fare univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, e non allegare il vizio di omessa motivazione, o di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell'appello (cfr. Cass. Sez. U, 24/07/2013, n. 17931; Cass. Sez. 6 - 3, 16/03/2017, n. 6835). A ciò si aggiunga che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell'art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, la questione di diritto posta con il suddetto motivo di appello risulta comunque del tutto infondata, in quanto i terzi D.N.G., D.N.A. e NUOVA D.N. SRL, ove intendessero far accertare la proprietà od altro diritto reale degli opponenti sui beni pignorati, potevano proporre l'opposizione di terzo all'esecuzione, disciplinata dagli artt. 619 e ss. c.p.c., mentre, non essendo essi parte del processo esecutivo, non erano comunque legittimati ad eccepire i vizi della relativa procedura (Cass. Sez. 3, 07/04/2009, n. 8397; Cass. Sez. 3, 12/08/2000, n. 10810).

4. Il terzo motivo di ricorso, attinente all'azione risarcitoria intentata dal fallito D.N.P. contro il curatore, è parimenti del tutto privo di fondamento, sulla base del consolidato orientamento interpretativo di questa Corte.

Al riguardo, i giudici di appello hanno ribadito la decisione di primo grado, negando la legittimazione di D.N.P. all'azione ex art. 38 L. Fall., in quanto non vi fu inerzia ad agire nei confronti del dottor F. da parte del nuovo curatore, il quale richiese sul punto un parere di un legale e decise perciò di non procedere. L'azione proposta, altrimenti qualificata come domanda ex art. 2043 c.c., è stata poi ritenuta prescritta, non operando la sospensione ai sensi dell'art. 2941 c.c., n. 6.

Fermi i limiti propri del giudizio di cassazione, che non può procedere ad una diversa valutazione dei fatti apprezzati dal giudice di merito (in ordine a quello che i ricorrenti definiscono coloritamente il "contegno ponziopilatesco" del nuovo curatore, il quale avrebbe autorizzato il D.N. a procedere contro il primo curatore "anche ai sensi dell'art. 38 L. Fall."), se non opponendo che il percorso argomentativo da quello adoperato abbia travisato l'informazione probatoria su un punto decisivo, la decisione della Corte di Venezia trova comunque conferma nell'interpretazione costante delle invocate norme di legge offerta dalla Corte di cassazione.

L'azione di responsabilità contro il curatore revocato durante il fallimento, prevista dall'art. 38 L. Fall. e ricollegabile alla violazione degli obblighi posti dalla legge a carico del curatore, spetta esclusivamente alla massa dei creditori. Tale azione è soggetta all'ordinario termine di prescrizione decennale in considerazione della natura del rapporto, equiparabile al mandato, e decorre a far data dal giorno della sostituzione del curatore revocato. Il termine prescrizionale decorre anche nei confronti del fallito, il quale è legittimato in ogni caso a proporre l'azione di responsabilità del curatore revocato dopo la chiusura del fallimento, purchè la stessa non sia prescritta, giacchè la prescrizione non rimane sospesa nei suoi confronti durante la procedura fallimentare, per l'inapplicabilità al caso di specie della disposizione contenuta nell'art. 2941 c.c., n. 6. Il fallito può, invero, agire per la tutela di diritti strettamente personali, o anche patrimoniali rispetto ai quali esista, tuttavia, assoluto disinteresse degli organi fallimentari, la cui funzione tende proprio alla difesa dei "beni" costituenti de iure la massa patrimoniale attiva del fallimento. Tale disinteresse del nuovo curatore per la tutela dei diritti patrimoniali del fallito D.N. nei confronti del precedente curatore è stato negato dalla Corte d'Appello di Venezia, avendo gli organi fallimentari valutato e poi escluso la praticabilità di una proficua iniziativa processuale nell'interesse della massa dei creditori. Diversa è l'azione di risarcimento dei danni nei confronti del curatore del fallimento, derivante da fatti illeciti che non incidano sul patrimonio fallimentare, ma danneggino direttamente beni del fallito rimasti estranei alla procedura concorsuale, e perciò indipendente dalle obbligazioni poste dalla legge a carico del curatore; questa azione è fondata sull'art. 2043 c.c., è esercitabile anche dal fallito, non è subordinata alla revoca dell'incarico, ma soggiace alla disciplina generale dell'azione aquiliana, anche in ordine al termine di prescrizione, il quale decorre dalla produzione del danno e non è soggetto a sospensione ai sensi dell'art. 2941 c.c., n. 6: tale disposizione, infatti, riferendosi alle fattispecie di responsabilità nascente dall'amministrazione di patrimoni altrui, non è applicabile al rapporto in questione, non compreso nell'attivo fallimentare (cfr. Cass. Sez. 1, 23/07/2007, n. 16214; Cass. Sez. 1, 05/04/2001, n. 5044).

5. Il sesto motivo di ricorso è altresì inammissibile, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè privo di immediata riferibilità alla ratio decidendi dell'impugnata sentenza. La Corte di Venezia ha rigettato il motivo di appello relativo alle domande proposte nei confronti del S.FICIO S. DI B.A. & C SNC, al quale si imputava di essersi appropriato di beni appartenenti al fallimento della INDUSTRIA S. SAS, mancando prova sia dell'appartenenza dei beni rivendicati alla società fallita sia dell'appropriazione imputabile alla aggiudicataria. A tale argomentazione i ricorrenti replicano richiamando documenti che dimostrerebbero la prova del danno (idest, del valore dei macchinari), ma certamente non colmerebbero decisivamente la lacuna istruttoria circa l'appartenenza effettiva dei beni al patrimonio sociale della fallita e circa l'appropriazione consumata dal S.FICIO S. 6. Il settimo motivo, oltre che inammissibile perchè, come detto, strutturato quale omesso esame di fatto decisivo e contraddittorietà della motivazione in ordine a motivo di appello che è stato, peraltro, oggetto di pronuncia esplicita da parte della Corte di merito (la quale ha giustificato la condanna solidale degli attori alle spese di lite sul presupposto del comune interesse dei soccombenti a far valere l'invalidità della procedura esecutiva ed ha affermato che la quantificazione delle spese operata dal Tribunale risultava corretta sulla base dello scaglione di valore della causa), è comunque privo di fondamento.

La possibilità di porre le spese di lite solidalmente a carico di più parti soccombenti ex art. 97 c.p.c., comma 1, ove le stesse abbiano "interesse comune", costituisce esercizio di una facoltà discrezionale del giudice di merito, esercitabile non solo nei casi in cui il rapporto sostanziale sia solidale, indivisibile o comunque comune, ma pure in quelli nei quali vi sia una sostanziale convergenza di interessi, desumibile anche dalle condotte processuali e difensive in concreto osservate dalle parti, in base ad apprezzamento incensurabile in sede di legittimità in presenza, come nella specie, di congrua e logica motivazione (Cass. Sez. 2, 31/03/2005, n. 6761; Cass. Sez. 2, 12/08/2011, n. 17281).

D'altro canto, poichè è inammissibile per genericità la censura di "eccessiva onerosità delle spese di lite" che si limiti a considerare (come fatto nel quinto motivo di appello) il numero delle udienze tenute, senza specificare gli errori commessi dal giudice, senza precisare le voci della tabella dei compensi che si ritengono violate, nè individuare quale fosse l'effettivo valore della causa, al fine di dimostrare che la liquidazione compiuta abbia ecceduto i limiti della tariffa corrispondente a detto valore, neppure costituisce vizio della sentenza l'omessa pronuncia che cada su tale motivo di appello, nè può rilevare come motivo di ricorso per cassazione, in quanto alla proposizione di un motivo di appello inammissibile non consegue l'obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito.

7. L'ottavo motivo di ricorso è inammissibile.

La censura relativa al mancato "espletamento della istruttoria richiesta" è inammissibile, in quanto i ricorrenti non indicano quali fossero tali deduzioni istruttorie, quali i capitoli di prova e le persone da interrogare, nè allegano la tempestività e ritualità delle relative istanze di ammissione e la fase di merito a cui si riferiscono, elementi tutti necessari a valutare la decisività dei mezzi istruttori richiesti (Cass. Sez. 2, 23/04/2010, n. 9748).

8. Consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza in favore dei controricorrenti P.P.R., P.S.M. e P.N.M., nonchè IMMOBILIARE D. SPA, negli importi liquidati in dispositivo.

Non occorre regolare le spese del giudizio di cassazione con riferimento agli altri intimati S.FICIO S. DI B.A. & C SNC e D.R., i quali non hanno svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater - dell'obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti P.P.R., P.S.M. e P.N.M. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, nonchè a rimborsare alla controricorrente IMMOBILIARE D. SPA le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2018.