Diritto della Famiglia e dei Minori


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20169 - pubb. 14/07/2018

Il giudice amministrativo difetta di giurisdizione sui matrimoni same-sex celebrati all’estero: cassato il Consiglio di Stato

Cassazione Sez. Un. Civili, 27 Giugno 2018, n. 16957. Est. Petitti.


Matrimonio tra persone dello stesso sesso conclusi all’estero – Trascrizione nei registri dello Stato Civile – Controversia – Giurisdizione – Giurisdizione ordinaria – Decisioni sullo Status – Riserva di giurisdizione del G.O. – Sussiste



La questione se un matrimonio contratto all’estero da persone dello stesso sesso possa o no essere trascritto nell’ordinamento italiano, è questione che, attenendo allo status delle persone, deve essere sottoposta all’esame del giudice ordinario. Invero, pur venendo in rilievo il provvedimento di annullamento adottato dal prefetto, che le ricorrenti assumono essere lesivo del proprio diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, l’effetto che esse effettivamente intendono conseguire altro non è che il riconoscimento nell’ordinamento nazionale del matrimonio contratto in altro Stato: riconoscimento che, ovviamente, postula la validità di un tale matrimonio. La domanda, dunque, avrebbe deve essere proposta dinnanzi al giudice ordinario, il quale può esaminare, in via incidentale e ai fini della sua eventuale disapplicazione l’atto amministrativo. In ogni caso, il giudice amministrativo, ove adito, viola l’art. 8, comma 2, cod. proc. amm., ove si pronunci sulla inesistenza, invalidità o inefficacia, nell’ordinamento interno, di matrimoni celebrati all’estero da persone dello stesso sesso (La Corte di Cassazione cassa con rinvio la decisione n. 4897/2015 del Consiglio di Stato). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


Fatti di causa

1. - In data (*) il Sindaco di Roma Capitale provvedeva alla trascrizione nel registro dei matrimoni presso l’ufficio di stato civile del comune del matrimonio contratto dalle ricorrenti a Barcellona il (*).

Con decreto del 31 ottobre 2014, adottato sulla base della circolare del Ministero dell’interno n. 10863 del 7 ottobre 2014, il Prefetto di Roma disponeva l’annullamento della trascrizione del matrimonio contratto da persone dello stesso sesso, dando ordine all’ufficiale di stato civile del Comune di Roma di provvedere a tutti i conseguenti adempimenti, compresa l’annotazione del decreto stesso. Successivamente, non avendo il Sindaco adempiuto all’ordine, incaricava il viceprefetto di operare l’annotazione del suddetto decreto nei registri di stato civile.

2. - Le interessate proponevano allora ricorso al TAR Lazio chiedendo la dichiarazione di nullità dei predetti atti ai sensi dell’art. 31, comma 4, cod. proc. amm. in combinato disposto con l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, per difetto di attribuzione e incompetenza assoluta, ovvero, in subordine, l’annullamento degli stessi in quanto illegittimi.

Il TAR Lazio, dopo aver riconosciuto l’insussistenza di qualsivoglia diritto alla trascrizione negli atti dello stato civile di matrimoni tra coppie omosessuali celebrati all’estero (e, di conseguenza, la legittimità della circolare in data 7 ottobre 2014 con cui il Ministro dell’interno ne aveva stabilito l’intrascrivibilità in Italia), ha, nondimeno, giudicato illegittimi (annullandoli, in parziale accoglimento del ricorso di primo grado) sia il provvedimento con cui il Prefetto di Roma aveva decretato l’annullamento delle trascrizioni dei matrimoni celebrati all’estero dalle ricorrenti, sia la presupposta circolare (nella parte in cui invitava i Prefetti ad annullare dette trascrizioni), sulla base dell’assorbente rilievo per cui la rettifica o la cancellazione degli atti dello stato civile resta riservata in via esclusiva all’autorità giudiziaria ordinaria.

3. - Avverso tale decisione proponeva appello il Ministero dell’interno.

Resistevano le originarie ricorrenti, contestando la fondatezza dell’appello, difendendo la correttezza del giudizio di illegittimità formulato dai giudici di prima istanza, impugnando, in via incidentale, la statuizione relativa alla illegittimità della trascrizione in Italia di matrimoni tra coppie omosessuali contratti all’estero (ed insistendo nel rivendicare il relativo diritto) e concludendo per la reiezione dell’appello principale del Ministero e per la parziale riforma della decisione impugnata, in accoglimento del proprio appello incidentale.

Resisteva anche Roma Capitale, contestando la fondatezza dell’appello del Ministero e concludendo per la sua reiezione.

4. - Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4897 del 2015, respingeva l’appello incidentale, accoglieva l’appello principale e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava il ricorso originario.

4.1. - Rilevato che la diversità di sesso dei nubendi è condizione di validità e di efficacia del matrimonio nell’ordinamento italiano, potendo un siffatto matrimonio essere ritenuto inesistente per mancanza di un elemento essenziale, e quindi inidoneo, nel vigente sistema di regole, a costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi), ed affermata la non trascrivibilità di siffatti matrimoni - ancorché non contrastanti con l’ordine pubblico - nei registri dello stato civile, il Consiglio di Stato ha altresì escluso che il diritto alla trascrizione del matrimonio omosessuale rivendicato dalle appellate potesse trovare fondamento in principi costituzionali ovvero nel diritto convenzionale Europeo e sovranazionale, nella sua esegesi ad opera delle Corti istituzionalmente incaricate della loro interpretazione, sicché il divieto dell’ordinamento nazionale di equiparazione del matrimonio omosessuale a quello eterosessuale non poteva ritenersi confliggente con i vincoli contratti dall’Italia a livello Europeo o internazionale.

4.2. - Quanto all’appello principale, il Consiglio di Stato, all’esito della ricognizione dei caratteri della relazione interorganica tra Prefetto e Sindaco in materia di stato civile, riteneva che il potere gerarchico di sovraordinazione del Prefetto al Sindaco, quale ufficiale di governo delegato alla tenuta dei registri di stato civile, comprenda, in sé, anche quello (generale) di autotutela sugli atti adottati contra legem dall’organo subordinato. Invero, posto che tra le materie affidate alla cura del Sindaco quale ufficiale di governo è compresa anche la tenuta dei registri di stato civile, ad esso attribuita dall’art. 54, comma 3, d.lgs. 18 ottobre 2000, n.267, che la titolarità della funzione resta intestata all’amministrazione centrale (e, segnatamente, al Ministero dell’interno) e che il Sindaco la esercita solo quale organo delegato dalla legge, deve ritenersi che il Sindaco resti soggetto, nell’esercizio delle pertinenti funzioni, alle istruzioni impartite dal Ministero dell’interno, alle quali è tenuto a conformarsi (art. 54, comma 12, d.lgs. n. 267 del 2000 e art. 9, comma 1, d.P.R. n. 396 del 2000); con l’ulteriore conseguenza che la potestà di sovraordinazione dell’Amministrazione centrale sull’organo per legge delegato all’esercizio di una sua funzione si esplica per mezzo dell’assegnazione al Prefetto, che esercita istituzionalmente l’autorità del Ministero dell’interno sul territorio, dei poteri di vigilanza sulla tenuta degli atti dello stato civile (art. 9, comma 2, d.P.R. cit.) e di sostituzione al Sindaco, in caso di sua inerzia nell’esercizio di taluni compiti (art. 54, comma 11, d.lgs. cit.).

In sostanza, osservava il Consiglio di Stato, le disposizioni citate delineano la relazione interorganica in questione come di subordinazione del Sindaco al Ministero dell’interno, e, per esso, al Prefetto, e assoggettano, quindi, il primo ai poteri di direttiva e di vigilanza del secondo; il che risponde, inoltre, all’esigenza di assicurare l’uniformità di indirizzo nella tenuta dei registri dello stato civile su tutto il territorio nazionale, che resterebbe vanificata se ogni Sindaco potesse decidere autonomamente sulle regole generali di amministrazione della funzione o, peggio, se potesse disattendere, senza meccanismi correttivi interni all’apparato amministrativo, le istruzioni ministeriali impartite al riguardo.

Sulla base di tali premesse e dei criteri ermeneutici sistematico e teleologico, il Consiglio di Stato riteneva che nelle funzioni di direzione, sostituzione e vigilanza attribuite al prefetto dall’ordinamento nella materia in discussione, fosse senz’altro compresa, ancorché implicitamente, quella di annullare le trascrizioni in questione; il che escludeva che fosse necessario invocare l’art. 21-nonies legge 7 agosto 1990, n. 241 a fondamento del potere di autotutela controverso. Con la precisazione, peraltro, che non vi sarebbero comunque ostacoli all’applicazione della predetta, generale disposizione alla fattispecie in esame, là dove attribuisce il potere di annullare d’ufficio un atto illegittimo non solo all’organo che lo ha emanato, ma anche "ad altro organo previsto dalla legge", dovendosi ritenere ammesso l’annullamento d’ufficio di un atto illegittimo da parte di un organo diverso da quello che lo ha emanato in tutte le ipotesi in cui una disposizione legislativa attribuisce al primo una potestà di controllo e, in generale, di sovraordinazione gerarchica che implica univocamente anche l’esercizio di poteri di autotutela.

Il Consiglio di Stato escludeva poi che il sistema di regole che assegna al giudice civile i poteri di controllo, rettificazione e cancellazione degli atti dello stato civile (e integrato dal combinato disposto degli artt. 95 d.P.R. cit. e 453 cod. civ.) costituisca un limite o, addirittura, una preclusione al suo esercizio. In proposito, il Consiglio di Stato osservava che l’apparato regolatorio relativo alla giurisdizione del giudice ordinario postula, per la sua applicazione, l’esistenza di atti astrattamente idonei a costituire o a modificare lo stato delle persone, sicché sarebbero estranei al suo ambito applicativo gli atti radicalmente inefficaci, quali le trascrizioni in parola, e, quindi, del tutto incapaci di assegnare alle persone menzionate nell’atto lo stato giuridico di coniugato. Il sistema di regole in esame, inoltre, risulterebbe costruito come funzionale (unicamente) alla tutela dei diritti e degli interessi delle persone fisiche contemplate (o pretermesse) nell’atto, e non anche alla protezione di interessi pubblici, tanto che l’art. 95, comma 2, d.P.R. cit., assegna al Procuratore della Repubblica una iniziativa meramente facoltativa. In particolare, poi, l’art. 453 cod. civ., per la sua univoca formulazione testuale, doveva intendersi limitato all’affidamento al giudice ordinario dei soli poteri di annotazione, non potendo, quindi, ritenersi ostativo all’esercizio dei (diversi) poteri di eliminazione dell’atto da parte dell’autorità amministrativa titolare della funzione di tenuta dei registri dello stato civile.

D’altra parte, proseguiva il Consiglio di Stato, l’inefficacia degli atti in questione priverebbe di significato l’intervento di autotutela in questione, posto che, al contrario, proprio la permanenza di un’apparenza di atto, che, ancorché inefficace, potrebbe legittimare (finché materialmente esistente) richieste ed istanze alla pubblica amministrazione di prestazioni connesse allo stato civile di coniugato (con conseguenti complicazioni burocratiche e, probabilmente, ulteriori contenziosi), impone la sua eliminazione dal mondo del diritto. Esigenza, questa, soddisfatta solo dall’identificazione di uno strumento (anche) amministrativo (e non necessariamente giurisdizionale) di correzione di atti dello stato civile abnormi ed eseguiti in difformità dalle istruzioni impartite dall’autorità statale titolare della funzione. E solo gli interventi dei Prefetti in autotutela gerarchica valgono, in effetti, a rimuovere, con garanzie di uniformità su tutto il territorio nazionale, un’apparenza di atto e, quindi, in definitiva, ad assicurare la certezza del diritto connessa a questioni relative allo stato delle persone, non risultando la medesima esigenza garantita dalla riserva in via esclusiva del potere di cancellazione delle trascrizioni al giudice ordinario che, proprio per il carattere diffuso e indipendente della sua attività, rischia di vanificare, con interpretazioni diverse e contrastanti, l’esigenza di uniformità di indirizzo su una questione così delicata.

5. - Per la cassazione di questa sentenza, le ricorrenti in epigrafe indicate hanno proposto ricorso affidato a due motivi.

Resiste, con controricorso, il Ministero dell’interno.

Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.

 

Ragioni della decisione

1. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per violazione dell’art. 8, comma 2, cod. proc. amm., sul rilievo che la sentenza impugnata avrebbe pronunciato sullo status matrimoniale delle ricorrenti, ponendo altresì la questione a fondamento della decisione. Si osserva, infatti, che le affermazioni contenute nella sentenza impugnata - secondo cui il matrimonio contratto all’estero dalle ricorrenti e trascritto dal sindaco di Roma non sarebbe produttivo di effetti, trattandosi di atto inidoneo a costituire lo stato delle persone ivi contemplate, e non sarebbe quindi assoggettato al controllo giurisdizionale ma ad una "soluzione" amministrativa - costituiscono, per esplicita precisazione del medesimo Consiglio di Stato, antecedente logico necessario della decisione relativa alla sussistenza del potere esercitato dal Prefetto di Roma. Si sarebbe, pertanto, in presenza di una cognizione incidentale sullo status delle ricorrenti da intendersi quale la posizione soggettiva dell’individuo come cittadino o nell’ambito della comunità civile o familiare - del tutto preclusa dall’art. 8, comma 2, cod. proc. amm., a tenore del quale "restano riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso".

2. - Con il secondo motivo si deduce il vizio di eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore. Nel rilevare l’assenza di una norma che attribuisca al prefetto il potere di annullare una trascrizione operata dall’ufficiale di stato civile e nell’affermare, invece, l’esistenza di un potere prefettizio e di una limitazione del potere giurisdizionale in via asseritamente interpretativa, il Consiglio di Stato avrebbe creato la norma, affermando l’esistenza di un potere non previsto dall’ordinamento e anzi chiaramente escluso per la pubblica amministrazione ed invece attribuito alla giurisdizione ordinaria. In sostanza, il Consiglio di Stato sarebbe incorso nel vizio di eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore, che si verifica quando il giudice applichi non la norma esistente, ma una norma da lui stesso creata.

L’ordinamento dello stato civile, si osserva, costituisce un sistema chiuso e tassativo, con puntuali strumenti non derogabili né quanto al procedimento, né quanto alla competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria. In particolare, la cancellazione di un atto indebitamente trascritto trova la propria disciplina negli artt. 453 cod. civ. e 95 del d.P.R. n. 396 del 2000, sicché l’affermazione del Consiglio di Stato, secondo cui solo gli interventi dei prefetti in autotutela gerarchica valgono a rimuovere, con garanzia di uniformità su tutto il territorio nazionale, un’apparenza di atto e ad assicurare la certezza del diritto connessa a questioni relative allo stato delle persone, integra una sovrapposizione della visione dell’organo di giustizia amministrativa a quella prescritta dalla legge e voluta invece dal legislatore, finendo con l’attribuire alla pubblica amministrazione un potere ad essa sottratto per legge.

3. - Occorre premettere che la questione oggetto del presente giudizio, e cioè se un matrimonio contratto all’estero da persone dello stesso sesso possa o no essere trascritto nell’ordinamento italiano, è questione che, attenendo allo status delle persone, avrebbe dovuto essere sottoposta all’esame del giudice ordinario. Invero, pur venendo in rilievo il provvedimento di annullamento adottato dal prefetto, che le ricorrenti assumono essere lesivo del proprio diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, l’effetto che esse effettivamente intendono conseguire altro non è che il riconoscimento nell’ordinamento nazionale del matrimonio contratto a Barcellona: riconoscimento che, ovviamente, postula la validità di un tale matrimonio.

La domanda, dunque, avrebbe dovuto essere proposta dinnanzi al giudice ordinario, il quale avrebbe potuto esaminare, in via incidentale e ai fini della sua eventuale disapplicazione, l’atto che le ricorrenti hanno impugnato dinnanzi al giudice amministrativo.

Il Ministero dell’interno, pur premettendo nel proprio controricorso che ai fini della decisione della presente controversia non può prescindersi "dall’esame della configurabilità nel nostro ordinamento della pretesa sostanziale delle ricorrenti volta ad ottenere la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero", ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sul duplice rilievo che le ricorrenti, avendo introdotto il giudizio dinnanzi al giudice amministrativo, non potrebbero più porre in discussione la giurisdizione dello stesso giudice da loro adito e che, ai sensi dell’art. 9 cod. proc. amm., mentre in primo grado il difetto di giurisdizione è rilevato anche d’ufficio, nei giudizi di impugnazione è rilevato solo se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione.

L’osservazione del controricorrente, se può essere condivisa in linea generale, avendo queste Sezioni Unite di recente affermato il principio per cui "l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione" (Cass., S.U., n. 21260 del 2016; Cass., S.U., n. 1309 del 2017), con la conseguenza che quel difetto non può neanche essere fatto valere in sede di ricorso per cassazione, non pare tuttavia pienamente riferibile al caso di specie.

Le questioni che le ricorrenti hanno dedotto quali motivi di impugnazione, infatti, non mirano ad escludere la giurisdizione del giudice amministrativo, ma censurano il modo con il quale quel giudice ha esercitato la giurisdizione. Quanto al motivo concernente il denunciato vizio di eccesso di potere giurisdizionale, invero, è di tutta evidenza che alcuna preclusione può esservi per il fatto che sia stato adito il giudice amministrativo; quanto alla dedotta invasione della giurisdizione del giudice ordinario per effetto del denunciato esame in via incidentale di questione che avrebbe dovuto formare oggetto di accertamento in via principale, la insussistenza di ogni preclusione discende dal rilievo che si versa pur sempre nell’ambito di un limite interno della giurisdizione del giudice amministrativo.

4. - Tanto premesso, il Collegio ritiene che debba essere esaminato in via prioritaria il secondo motivo di ricorso, con il quale le ricorrenti deducono eccesso di potere giurisdizionale per avere il Consiglio di Stato invaso la sfera discrezionale riservata al legislatore.

Il motivo è infondato.

4.1. - Occorre premettere che queste Sezioni Unite hanno affermato essere chiara la implausibilità del tentativo di configurare un eccesso di potere a danni del legislatore rinvenendolo in una attività di individuazione interpretativa. È stata anche di recente affermata da queste Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 27341 del 2014; Cass., S.U., n. 20698 del 2013; Cass., S.U., n. 24411 del 2011; Cass., S.U., n. 2068 del 2011) la non configurabilità del preteso eccesso di potere le volte in cui il Giudice speciale od ordinario individui una regula juris facendo uso dei suoi poteri di rinvenimento della norma applicabile attraverso la consueta attività di interpretazione anche analogica del quadro delle norme. Si è in particolare ricordato che, con riguardo ai limiti al sindacato delle Sezioni Unite sulle decisioni del Consiglio di Stato, l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è figura di rilievo affatto teorico, in quanto - dovendosi ipotizzare che il giudice applichi, non già la norma esistente, ma una norma all’uopo creata - detto eccesso potrebbe ravvisarsi solo a condizione di poter distinguere un’attività di produzione normativa inammissibilmente esercitata dal giudice, da un’attività interpretativa; attività quest’ultima certamente non contenibile in una funzione meramente euristica, ma risolventesi in un’opera creativa della volontà della legge nel caso concreto (Cass., S.U., n. 27341 del 2014, cit.; Cass., S.U., n. 20698 del 2013, cit.).

Le ricorrenti chiede ora alla Corte di superare questo orientamento e di escludere la natura meramente teorica della figura dell’eccesso di potere legislativo; ciò, ovviamente, sul presupposto che la decisione del Consiglio di Stato qui impugnata, lungi dall’essersi limitata ad esercitare una consentita e doverosa attività di interpretazione della norma applicabile, abbia in realtà dato luogo alla creazione di una norma per l’innanzi inesistente.

La valutazione richiesta postula, quindi, che si definisca quale sia il limite della interpretazione, ovvero che si possa individuare il limite oltre il quale l’attività interpretativa trasmodi in attività creativa, e quindi in una invasione della sfera riservata al legislatore.

In questa ottica occorre ricordare che queste sezioni Unite hanno avuto modo di affermare (Cass., S.U., n. 15144 del 2011) che l’attività interpretativa è segnata dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale, nell’ambito del quale "la norma di volta in volta adegua il suo contenuto, in guisa da conformare il predisposto meccanismo di protezione alle nuove connotazioni, valenze e dimensioni che l’interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con contigui valori di rango superiore, a livello costituzionale o sovranazionale".

4.2. - Nel quadro di questi principi, deve escludersi la sussistenza del denunciato vizio.

Premesso che il giudice di primo grado aveva negato al prefetto il potere di annullare d’ufficio la trascrizione di matrimoni di persone dello stesso sesso contratti all’estero, ancorché aveva considerato i le trascrizioni stesse illegittime, e ciò sul rilievo che la potestà di annullamento sarebbe riservata in via esclusiva al giudice ordinario per effetto del combinato disposto degli artt. 95 del d.P.R. n. 396 del 2000 e dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, il Consiglio di Stato ha proceduto a verificare la fondatezza della tesi del Ministero appellante, per cui il potere gerarchico di sovraordinazione del prefetto al sindaco, quale ufficiale di governo delegato alla tenuta dei registri di stato civile comprenderebbe anche quello generale di autotutela sugli atti adottati contra legem dall’organo subordinato. E a tale quesito, sulla base di una ricostruzione normativa e sistematica variamente articolata, ha dato risposta affermativa.

Quella posta in essere dal Consiglio di Stato costituisce, ad avviso del Collegio, null’altro che attività interpretativa, alla quale è estranea la pretesa di sostituirsi al legislatore per creare una regula iuris da applicare in una fattispecie non regolamentata. In particolare, il giudice amministrativo ha preso le mosse dall’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 che, sotto la rubrica "Attribuzioni del sindaco in materia di competenza statale", al comma 3, dispone che "Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende, altresì, alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica" e al comma 12 che "Il Ministro dell’interno può adottare atti di indirizzo per l’esercizio delle funzioni previste dal presente articolo da parte del sindaco". Ha poi osservato che la potestà La potestà di sovraordinazione dell’Amministrazione centrale sull’organo per legge delegato all’esercizio di una sua funzione si esplica per mezzo dell’assegnazione al Prefetto, che esercita istituzionalmente l’autorità del Ministero dell’interno sul territorio, dei poteri di vigilanza sulla tenuta degli atti dello stato civile (art.9, comma 2, d.P.R. n. 396 del 2000) e di sostituzione al Sindaco, in caso di sua inerzia nell’esercizio di taluni compiti (art.54, comma 11, d.lgs. n. 267 del 2000).

Ne ha quindi desunto che si tratta di un sistema coerente e coordinato di disposizioni che configurano la relazione interorganica in questione come di subordinazione del sindaco al Ministero dell’interno, e, per esso, al prefetto, e che assoggettano, quindi, il primo ai poteri di direttiva e di vigilanza del secondo. Con l’ulteriore precisazione che il potere di annullamento di atti dello stato civile adottati dal sindaco trova il proprio fondamento nelle funzioni di direzione (art. 54, comma 12, cit.), sostituzione (art. 54, comma 11, cit.) e vigilanza (art. 9, comma 2, d.P.R. n. 396 del 2000), trattandosi di potestà necessariamente implicata in tali funzioni.

Orbene, pare al Collegio che il ragionamento sviluppato nella sentenza impugnata, lungi dal dare luogo alla creazione di una norma, con conseguente invasione della sfera di discrezionalità riservata al legislatore, integri esercizio di attività interpretativa che non deborda dall’ambito del potere attribuito al giudice. Altro profilo è quello concernente il merito della soluzione interpretativa data dal giudice amministrativo: ma ovviamente, la valutazione attiene alle modalità di esercizio della giurisdizione ed è quindi insuscettibile di sindacato ai sensi dell’art. 362 cod. proc. civ. o 110 cod. proc. amm.

Tale soluzione, del resto, lungi dall’essere smentita dalle successive decisioni del Consiglio di Stato n. 5047 e 5048 del 2016, risulta nella sostanza confermata. Con le menzionate decisioni, invero, il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimi sia la circolare del ministro dell’interno, che vietando la trascrizione degli atti di matrimonio contratti all’estero da persone dello stesso sesso, attribuisce al prefetto la competenza a procedere all’annullamento delle trascrizioni comunque effettuate dal sindaco, quale ufficiale di stato civile, sia il decreto prefettizio che, in ottemperanza a tale circolare, ha disposto tale annullamento, in quanto: a) nessuna disposizione di legge attribuisce tale potere al prefetto; b) non vi è un rapporto di gerarchia tra il prefetto e il sindaco quale ufficiale di stato civile; c) al riguardo può solo configurarsi la generale competenza del consiglio dei ministri di annullamento degli atti amministrativi illegittimi a tutela dell’unità dell’ordinamento. Tali decisioni, infatti, al pari di quella qui impugnata, che ha invece configurato l’esistenza di un potere prefettizio di annullamento anche di atti adottati dal sindaco quale ufficiale di stato civile, pervengono ad una diversa soluzione sulla base di un percorso argomentativo che ritiene inconfigurabile, nella specifica materia, il potere esercitato dal prefetto (e prima ancora del ministro dell’interno con la circolare del pari oggetto del giudizio amministrativo definito dalla impugnata sentenza). Tuttavia, la stessa decisione, nell’escludere il detto potere, ammette la possibilità di annullamento di atti del sindaco quale ufficiale di stato civile, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettera p), della legge n. 400 del 1988, e dell’art. 138, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, al governo nella sua collegialità, quale espressione di tutela dell’unità dell’ordinamento; con la conseguenza che, nei casi da quelle decisioni esaminati, i decreti di annullamento adottati dal prefetto sono stati ritenuti viziati da incompetenza relativa e non da difetto assoluto di attribuzione.

Risulta dunque evidente come la diversità di soluzioni cui sono pervenute la decisione qui impugnata e le successive pronunce del Consiglio di Stato rappresenti la riprova della insussistenza del denunciato vizio di eccesso di potere giurisdizionale ai danni del legislatore.

5. - È invece fondato il primo motivo di ricorso.

Nella decisione impugnata il Consiglio di Stato, dopo avere rilevato che le originarie ricorrenti reclamavano l’affermazione del diritto alla trascrizione in Italia di matrimoni omosessuali celebrati all’estero, ha proceduto ad una preliminare (e sintetica) ricognizione dei principi e delle regole che governano la trascrizione degli atti di matrimonio formati in un altro Paese. All’esito di tale disamina, il Consiglio di Stato, "a prescindere dalla catalogazione squisitamente dogmatica del vizio che affligge il matrimonio celebrato (all’estero) tra persone dello stesso sesso", è giunto alla conclusione che "secondo il sistema regolatorio di riferimento (...) un atto siffatto risulta sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento", aggiungendo che il matrimonio omossessuale, "che si tratti di atto radicalmente invalido (cioè nullo) o inesistente (che appare, tuttavia, la classificazione più appropriata, vertendosi in una situazione di un atto mancante di un elemento essenziale della sua stessa esistenza giuridica)", deve "intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio".

Quindi, "riscontrata l’inattitudine del matrimonio omossessuale contratto all’estero da cittadini italiani di produrre qualsivoglia effetto giuridico in Italia", il Consiglio di Stato ha proceduto alla disamina del regime positivo della sua trascrivibilità negli atti dello stato civile (artt. 64, 16 del d.P.R. n. 396 del 2000; art. 107 cod. civ.), accertando l’inesistenza, alla stregua dell’ordinamento positivo, di un diritto alla trascrizione dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero ed escludendo altresì che "il titolo rivendicato dalle originarie ricorrenti possa essere affermato in esito ad un’operazione ermeneutica imposta dal rispetto dei principi costituzionali o enunciati in convenzioni internazionali".

Alla luce di tali premesse, il Consiglio di Stato ha poi considerato i rimedi esperibili nel caso in cui atti inefficaci se non inesistenti, quali i matrimoni contratti all’estero da persone dello stesso sesso, siano tuttavia stati trascritti nei registri dello stato civile, e, pur dando atto che gli artt. 453 cod. civ. e 95 del d.P.R. n. 396 del 2000, paiono devolvere in via esclusiva al giudice ordinario i poteri di cognizione e di correzione degli atti dello stato civile, ha comunque affermato che "l’esigenza del controllo giurisdizionale (...) si rivela del tutto recessiva (se non inesistente), a fronte di atti inidonei a costituire lo stato delle persone ivi contemplate, dovendosi, quindi, ricercare, per la loro correzione, soluzioni e meccanismi anche diversi dalla verifica giudiziaria".

5.1. L’art. 8 cod. proc. amm. prevede, al comma 1, che "Il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale" e, al comma 2, che "Restano riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso".

Orbene, non pare dubbio al Collegio che la decisione impugnata abbia violato l’art. 8, comma 2, cod. proc. amm., atteso che tutto l’argomentare sopra sinteticamente richiamato, muove dalla premessa della inesistenza, invalidità o inefficacia, nell’ordinamento interno, di matrimoni celebrati all’estero da persone dello stesso sesso; muove, cioè, da una premessa che è insuscettibile di accertamento in via incidentale, a ciò ostando il chiaro dettato dell’art. 8, comma 2, citato.

La violazione di tale disposizione, del resto, è chiaramente sindacabile in questa sede, non costituendo un precedente contrario la sentenza di queste Sezioni Unite n. 7292 del 2016, secondo cui "in tema di sindacato delle Sezioni Unite sulle decisioni del Consiglio di Stato, la violazione dei limiti della cognizione incidentale stabiliti dall’art. 8 c.p.a. non configura un eccesso di potere giurisdizionale, ma solo un error in procedendo, commesso dal giudice amministrativo all’interno della sua giurisdizione". Il principio, infatti, è stato affermato con riguardo all’art. 8, comma 1, cod. proc. amm. e non è quindi applicabile alla differente ipotesi in cui il giudice amministrativo svolga la propria cognizione in via incidentale su una questione che ad esso è espressamente sottratta, attenendo allo stato delle persone, espressamente riservata alla giurisdizione ordinaria.

Del resto, come esattamente ricordato dalla difesa delle ricorrenti nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., la Corte costituzionale, nel decidere la questione di legittimità costituzionale concernente anche l’art. 8, comma 2, cod. proc. amm., nella parte in cui preclude al giudice amministrativo di accertare, anche solo incidentalmente, la falsità degli atti pubblici nel giudizio amministrativo in materia elettorale, nella sentenza n. 304 del 2011, ha affermato che "La ultracentenaria tradizione - in vario modo risalente al primo impianto codicistico postunitario, civile e di procedura civile, nonché alla stessa legge di unificazione amministrativa (legge 20 marzo 1865, n. 2248 e, in particolare, allegati E e D) ed espressamente proseguita, via via, con le normative di riforma del sistema e degli istituti di giustizia amministrativa degli anni 1889-1890, del 1907, del 1923-1924 e, dopo la Costituzione repubblicana, del 1971 - di riservare al giudice civile la risoluzione delle controversie sullo stato e la capacità delle persone, salvo la capacità di stare in giudizio, nonché la risoluzione dell’incidente di falso, in tema di atti muniti di fede privilegiata, risponde, come è noto, alla esigenza di assicurare in talune peculiari materie - rispetto alle quali maggiore è la necessità di una certezza erga omnes e sulle quali possa dunque formarsi anche un giudicato una sede e un modello processuale unitari: così da evitare, ad un tempo, il rischio di contrastanti pronunce - che minerebbero la fiducia verso determinati atti ovvero in ordine a condizioni e qualità personali di essenziale risalto agli effetti dei rapporti intersoggettivi - e il ricorso a modelli variegati di accertamento, dipendenti dalle specificità dei procedimenti all’interno dei quali simili questioni "pregiudicanti" possono intervenire".

6. In conclusione, rigettato il secondo motivo di ricorso, va accolto il primo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e con rinvio della causa al Consiglio di Stato, in diversa composizione.

In considerazione della novità delle questioni affrontate, le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate tra le parti.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il secondo motivo di ricorso, accoglie il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Consiglio di Stato, in diversa composizione; compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.