Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19975 - pubb. 11/01/2018

È nulla la clausola compromissoria dello statuto che deferisca le controversie tra società e soci ad un collegio arbitrale formato dai sindaci della società

Cassazione civile, sez. I, 21 Giugno 1996, n. 5778. Est. Borrè.


Sindaci - Clausola statutaria che deferisca ad un collegio arbitrale, composto dai sindaci la risoluzione delle controversie tra la società e i soci - Violazione del principio d'imparzialità degli arbitri - Sussistenza - Conseguenze - Nullità della clausola



È nulla la clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società cooperativa, che deferisca le controversie tra la società e i soci ad un collegio arbitrale formato dai sindaci della società, per difetto del requisito dell'imparzialità degli arbitri (essenziale tanto nel caso di arbitrato rituale, quanto in quello di arbitrato libero), in quanto i sindaci, oltre alla funzione di controllo - che, peraltro, rappresenta anch'essa un aspetto dell'amministrazione dell'ente societario -, hanno un potere di iniziativa analogo a quello degli amministratori, o in sostituzione o in unione con essi, di modo che il collegio sindacale assume una importante partecipazione nella vita societaria e nell'elaborazione del relativo indirizzo, il che rende oggettivamente incompatibile, da parte dei componenti di tale organo, l'esercizio di una funzione "terza", quale quella di giudicare le predette controversie. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Antonio SENSALE Presidente

Giuseppe BORRE' Rel. Consigliere

Giovanni LO SAVIO

Ugo Riccardo PANEBIANCO

Luigi ROVELLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 22 gennaio 1990 Rolando S., socio della C.I.T.- Compagnia internazionale trasporti soc. coop. a r.l., impugnò innanzi alla Corte d'appello de L'Aquila la sentenza arbitrale del 27 dicembre 1989 con cui il collegio dei probiviri, identificantesi, per statuto, nel collegio sindacale, aveva confermato la sua esclusone da socio deliberata dal consiglio di Amministrazione. Sostenne il S. che il lodo era stato emesso da un collegio giudicante non imparziale, in quanto organo della società, ed in violazione delle regole del contraddittorio e del diritto di difesa, non essendogli stato concesso termine, ai sensi dell'art. 816, comma 3, c.p.c. per articolare mezzi istruttori e svolgere adeguatamente le proprie argomentazioni.

Con sentenza del 29 dicembre 1992 la Corte rigettò l'impugnazione, rilevando che non sussisteva violazione del principio d'imparzialità per essere il collegio arbitrale costituito dall'organo sindacale della società, essendo i sindaci persone estranee alla compagine sociale, elette dai soci, fra cui lo stesso S., il quale, come socio fondatore, aveva contribuito a porre la norma statutaria che attribuisce ai sindaci funzioni di probiviri per la risoluzione delle controversie fra soci e società. Aggiunse la Corte che, non avendo la società presentato nel giudizio arbitrale alcuna difesa o istanza istruttoria, non concretava violazione del contraddittorio la mancata assegnazione al S. di un termine per memorie e repliche.

Contro tale sentenza il S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La C.I.T. ha resistito con controricorso. Entrambe le par ti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

1. Va preliminarmente rilevato che la C.I.T. ha sostenuto, per la prima volta in memoria, la natura irrituale dell'arbitrato in questione, da una parte richiamando l'art. 38 dello Statuto che fa salvo, dopo l'emanazione del lodo, il ricorso all'autorità giudiziaria, dall'altra invocando il principio di conservazione contratto di cui all'art. 1367 c.c., nel senso che, se si trattasse di arbitrato rituale esso sarebbe esposto a nullità per non imparzialità del collegio decidente, in quanto, costituente anche un organo della società, mentre tale conseguenza non si porrebbe in caso di irritualità del lodo, donde la preferibilità di quest'ultima ipotesi interpretativa.

La novità della questione non esonera la Corte dall'esaminarla, stante la sua rilevabilità di ufficio in quanto incidente sulla ammissibilità dell'impugnazione del lodo. Gli argomenti suggeriti dalla controricorrente sono però tutt'altro che significativi. Quanto all'art. 38 dello Statuto, non può certo affermarsi che la possibilità di adire il giudice ordinario dopo la pronuncia del lodo sia elemento che escluda la ritualità dell'arbitrato. Quanto poi all'argomento che si pretende trarre dall'art. 1367 c.c. (il che fra l'altro presuppone l'accoglimento della tesi di merito della controparte) è sufficiente ricordare che questa Corte ha espressamente esteso al lodo irrituale la nullità derivante da modi di investitura degli arbitri che non ne garantiscano l'imparzialità nella lite fra società e sodi (sent. 7 giugno 1985, n. 3394).

2. Per la sua pregiudizialità va data precedenza all'esame del secondo motivo del ricorso, con cui il S. deduce violazione dell'art. 806 c.p.c. in relazione al principio di imparzialità, nonché omesso esame di un punto decisivo della controversia. Egli si duole che la Corte di appello non abbia adeguatamente considerato la circostanza che, per previsione statutaria, il collegio arbitrale nella specie coincida con il collegio sindacale, vale a dire con un organo della società che è parte della lite. Tale elemento sarebbe di per sé assorbente e toglierebbe rilievo alle caratteristiche (nomina anteriore alla lite, partecipazione del socio litigante alla nomina, insussistenza di concrete conflittualità) alle quali suol essere condizionata la legittimità di organismi arbitrali istituita all'interno della società per la risoluzione delle controversie fra la stessa e i soci.

La censura è fondata.

Questa Corte ha già affrontato in termini la questione con la sentenza 3 maggio 1984, n. 2680 e l'ha risolta nel senso della nullità della clausola compromissoria, anche in quel caso contenuta nello statuto, di una società cooperativa.

Si osserva in tale sentenza che i sindaci oltre alla funzione di controllo, hanno un potere di iniziativa analogo a quello degli amministratori (per es. in tema di impugnazioni di delibere) o in sostituzione di essi (artt. 2406, 2386, ultimo comma, c.c.) o in unione con essi (artt. 2426 e 2427 c.c.); che i sindaci assistono, oltreché alle assemblee, anche alle sedute del consiglio di amministrazione (art. 2405 c.c.); e che in definitiva la funzione di controllo altro non è che un aspetto dell'amministrazione della società. Tale panorama normativo (richiamato per le società cooperative dall'art. 2516 c.c.) innegabilmente testimonia una importante partecipazione del collegio sindacale alla vita societaria ed all'elaborazione del relativo indirizzo, il che rende oggettivamente incompatibile l'esercizio di una funzione "terza" come è quella dì giudicare le controversie fra società e soci.

A diversa conclusione non può giungersi accentuando il profilo di controllo della funzione dei sindaci e l'indipendenza che essa implica, essendo ben noto che l'imparzialità del giudicare (propria anche dell'arbitro rituale) sovrasta ogni figura in qualche modo analoga, come l'imparzialità della pubblica amministrazione o quella dei cd. poteri indipendenti o neutra. La Corte ritiene dunque di confermare, sul punto, la propria giurisprudenza e conseguentemente di accogliere il secondo motivo del ricorso del S. Resta assorbito il primo motivo, con il quale egli si duole della violazione dell'art. 816, comma 3, c.p.c. in relazione alla mancata concessione di termine per memoria e deduzioni.

La sentenza impugnata va cassata e la causa rimessa ad altro giudice, che si designa nella Corte di appello di Roma. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma il 17 gennaio 1996.

Depositata in cancelleria il 21 giugno 1996.