Esecuzione Forzata


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19928 - pubb. 12/06/2018

I provvedimenti resi dal giudice dell'esecuzione che illegittimamente risolvano una contesa tra le parti non sono mai appellabili, anche se contengono la liquidazione delle spese giudiziali

Cassazione civile, sez. III, 31 Ottobre 2017, n. 25847. Est. D'Arrigo.


Processo esecutivo - Ordinanza del G.E. che risolva contesa tra le parti - Natura di sentenza - Esclusione



L'ordinanza resa ai sensi dell'art. 612 c.p.c. che illegittimamente abbia risolto una contesa tra le parti, così esorbitando dal profilo funzionale proprio dell'istituto, non è mai considerabile come una sentenza in senso sostanziale, decisiva di un'opposizione ex art. 615 c.p.c., ma dà luogo, anche qualora contenga la liquidazione delle spese giudiziali, ad una decisione soltanto sommaria, in quanto da ritenersi conclusiva della fase sommaria di una opposizione all'esecuzione, rispetto alla quale la parte interessata può tutelarsi introducendo un giudizio di merito ex art. 616 c.p.c. (Sez. 3, Sentenza n. 15015 del 21/07/2016; Sez. 3, Sentenza n. 7402 del 23/03/2017).

Un tale provvedimento non può dunque acquisire mai natura sostanziale di sentenza e quindi non è in alcun caso appellabile.

[Nel caso di specie, la corte d'appello aveva ritenuto che l'ordinanza del giudice dell'esecuzione non fosse appellabile in quanto priva di carattere decisorio facendo applicazione dell'orientamento di legittimità più risalente, oramai definitivamente superato, in quanto, un tale provvedimento non può acquisire mai natura sostanziale di sentenza e quindi non è in alcun caso appellabile.] (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita - Presidente -

Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere -

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - Consigliere -

Dott. TANTANGELO Augusto - Consigliere -

Dott. D’ARRIGO Cosimo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

Il Condominio di (*), procedeva ad esecuzione forzata, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., degli obblighi di fare disposti dal Tribunale di Roma con sentenza n. 1939 del 2001, confermata in grado d'appello, a carico di X., L.V., B.E., B.G., B.W., B.R. e D.C.L. (le ultime tre quali eredi di B.L.).

Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza depositata il 15 maggio 2007, disponeva procedersi a c.t.u. per l'esatta individuazione delle opere da compiere.

Avverso tale ordinanza gli esecutati proponevano appello, ritenendone il carattere decisorio e l'autonoma impugnabilità.

La Corte d'Appello di Roma dichiarava inammissibile il gravame, sul rilievo della non decisorietà dell'ordinanza, ritenuta di carattere meramente interlocutorio.

Contro tale decisione gli esecutati propongono ricorso per cassazione, articolato in un unico motivo illustrato da successive memorie ex art. 378 c.p.c.

Resiste con controricorso il (*).

 

Motivi della decisione

La questione sottoposta all'attenzione del Collegio concerne l'appellabilità dell'ordinanza pronunciata dal giudice dell'esecuzione ex art. 612 c.p.c.

La giurisprudenza di questa Corte ha a lungo ritenuto che, in materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, ogni volta che il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza di cui all'art. 612 c.p.c., risolva contestazioni che non attengono alla determinazione delle modalità esecutive, bensì alla portata sostanziale del titolo esecutivo, tale provvedimento acquista natura di sentenza sul diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata e diviene, perciò, impugnabile con i mezzi ordinari anzichè con lo strumento dell'opposizione agli atti esecutivi, esperibile solo nei confronti dei singoli atti di esecuzione che, in quanto meramente ordinatori, sono privi di contenuto decisorio (da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 15727 del 18/07/2011, Rv. 619489; Sez. 3, Sentenza n. 24808 del 08/10/2008, Rv. 604894).

Più di recente, però, tale orientamento è stato sottoposto a revisione critica, giungendosi alla conclusione che l'ordinanza resa ai sensi dell'art. 612 c.p.c. che illegittimamente abbia risolto una contesa tra le parti, così esorbitando dal profilo funzionale proprio dell'istituto, non è mai considerabile come una sentenza in senso sostanziale, decisiva di un'opposizione ex art. 615 c.p.c., ma dà luogo, anche qualora contenga la liquidazione delle spese giudiziali, ad una decisione soltanto sommaria, in quanto da ritenersi conclusiva della fase sommaria di una opposizione all'esecuzione, rispetto alla quale la parte interessata può tutelarsi introducendo un giudizio di merito ex art. 616 c.p.c. (Sez. 3, Sentenza n. 15015 del 21/07/2016, Rv. 642689; Sez. 3, Sentenza n. 7402 del 23/03/2017, Rv. 643692).

Ciò posto, nella specie la corte d'appello ha ritenuto che l'ordinanza del giudice dell'esecuzione non fosse appellabile in quanto priva di carattere decisorio. Il giudice di merito, pertanto, ha fatto applicazione dell'orientamento di legittimità più risalente, oramai definitivamente superato dal citato revirement.

La questione del carattere decisorio o meno dell'ordinanza ex art. 612 c.p.c., tuttavia, ha perso oggigiorno ogni rilievo, dato che, secondo il mutato orientamento giurisprudenziale, un tale provvedimento non può acquisire mai natura sostanziale di sentenza e quindi non è in alcun caso appellabile.

Consegue che, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, le censure prospettate sono in radice manifestamente infondate e il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell'impugnante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017.