ilcaso.it
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19844 - pubb. 11/01/2018.

.


Cassazione civile, sez. I, 28 Novembre 1990. Est. Maltese.

Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - Azioni esecutive individuali - Preclusione - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza


È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle leggi n. 95 del 1979 e 544 del 1981, nella parte in cui, disciplinando l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, precludono, a seguito del provvedimento di assoggettamento a siffatta procedura, l'Esercizio di azioni esecutive individuali sul patrimonio dell'impresa, in quanto tale disciplina limitativa procede da coerente valutazione dei rilevanti interessi economici coinvolti dalla crisi di imprese delle suddette dimensioni e della connessa necessità di creare le condizioni idonee per un risanamento che si risolve in un vantaggio per gli stessi creditori, talché resta esclusa qualsiasi violazione dell'art. 3 cost., non meno che del successivo art. 41, attesa l'utilità sociale che, in tal guisa il legislatore intende perseguire; mentre l'impugnabilità, da parte dei creditori, del suddetto provvedimento ministeriale davanti al giudice amministrativo assicura a questi ultimi adeguata tutela giurisdizionale rispetto ad iniziative arbitrarie o comunque non legittime, nel pieno rispetto degli artt. 24 e 113 costituzionale. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giuseppe SCANZANO Presidente
" Domenico MALTESE Rel. Consigliere
" Mario CORDA "
" Giovanni OLLA "
" Giancarlo BIBOLINI "
ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

SALI ITALIANI S.P.A. in persona del suo pres. p.t. elett.te dom.to in Roma Lungotevere Michelangelo 9 c-o l'avv. Enrico Biamonti che lo rapp.ta e difende con l'avv. Adriano Vanzetti giusta delega in atti.

Ricorrente

contro

S.P.A. LIQUICHIMICA FERRANDINA in amm.ne straordinaria in persona del commissario elett.te dom.to in Roma, Vi Girolamo da Carpi 6 c-o l'avv. Giuseppe Niccolini che lo rapp.ta e difende con l'avv. Carlo Alberto Facchino giusta delega in atti.

Controricorrente

avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza del 11.6-4.9.1985;
Udita la rel. svolta dal Cons. Domenico Maltese.
Udito per il ric. l'avv. Luigi Biamonti con delega;
Udito il P.M. Dr. Ugo Donnarumma che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 19 marzo 1980 la Sali Italiana s.p.a. eseguì un pignoramento immobiliare a carico della liquichimica Ferrandina s.p.a. Con d.m. dell'11 aprile 1980 la Liquichimica Ferrandina fu posta in amministrazione straordinaria ai sensi della legge n. 95 del 1979. Il Commissario straordinario propose opposizione all'esecuzione, chiedendo che venisse dichiarato estinto il procedimento e inefficace il pignoramento immobiliare ai sensi degli artt. 51 della legge fallimentare e della l. n. 95 del 1979. La Sali Italiana eccepì l'illegittimità costituzionale della l. n. 95 del 1979. Il tribunale di Matera dichiarò improponibile l'azione esecutiva individuale, previo rigetto dell'eccezione di incostituzionalità sulla base di un giudizio negativo di rilevanza, in quanto, pur eliminando, in ipotesi, la normativa speciale, sarebbe comunque seguita la dichiarazione di fallimento della Liquichimica, che avrebbe impedito, ai sensi dell'art. 51 l. fall. la prosecuzione dell'esecuzione individuale in corso.
Contro tale sentenza propose appello principale la Sali Italiana, eccependo sotto vari profili la illegittimità della legge n. 95 del 1979, la cui dichiarazione, di incostituzionalità avrebbe rimosso anche il divieto di azioni esecutive individuali e precluso una pronuncia di inefficacia del pignoramento immobiliare. Il Commissario straordinario della Liquichimica Ferrandina propose appello incidentale, chiedendo che il pignoramento venisse dichiarato inefficace.
Con sentenza del 4 settembre 1985 la corte d'appello di Potenza, pur riconoscendo, contro le affermazioni del tribunale, che un'eventuale pronuncia di incostituzionalità avrebbe fatto venir meno il divieto dell'azione esecutiva immobiliare (salve gli effetti di una successive dichiarazione di fallimento, ritenne di dover formulare comunque un giudizio negativo di rilevanza, in quanto per risolvere la questione sottopostale non avrebbe potuto estendere l'indagine ad altri aspetti di illegittimità della normativa, essendo tenuta soltanto a giudicare nel ristretto ambito dell'art. 51 l. fall. - in relazione all'art. 1 della legge speciale - sul divieto delle azioni esecutive individuali a norma, in sè, pienamente legittima e operante nel caso concreto.
Concluse, pertanto, pronunciando sentenza di rigetto dell'appello principale e di accoglimento dell'incidentale.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la Sali Italiana s.p.a., ribadendo l'eccezione di illegittimità costituzionale e adducendo un unico motivo di censura, illustrato con successiva memoria. Resiste il Commissario della Liquichimica con controricorso e memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Sali Italiana s.p.a. chiese che, previa sospensione del processo, vengano rimessi gli atti, alla Corte costituzionale per decidere della questione di legittimità, già sollevata ed oggi riproposta, dalla legge n. 95 del 1979. Con l'unico mezzo desume la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 l. cost. n. 1 del 1948 e 23, 2 co., l. n. 87 del 1953. Eccepisce l'incostituzionalità degli artt. 1, 5 co., l. citata n.95 del 1979, e 4, 2 co. l. n. 544 del 1981, più in generale, dell'intera legge n. 95.
Sostiene che, nel formulare il giudizio di rilevanza, la corte d'appello si sarebbe contraddetta per avere arbitrariamente limitato all'art. 1 l. n. 95 del '79, in rel. all'art. 51 l. fall., l'ambito della questione di legittimita' costituzionale, pur ammettendo che la legge n. 95 ne era coinvolta nel suo complesso; e per avere altresì ignorato le difese dell'eccipiente che si riferivano in modo esplicito al pregiudizio derivante dall'applicazione della normativa in esame alla realizzazione immediata dei diritti dei creditori. Più precisamente, la legge impugnata sarebbe incostituzionale per: violazione dell'art. 24, 1 co. Cost., conseguente alla "eliminazione senza contropartita dell'azione esecutiva"; violazione dell'art. 3, 1 co. Cost., per disparità di trattamento fra i creditori della c.d. "grande impresa" e i creditori di qualunque altra impresa; violazione dell'art. 25, 1 co. Cost. per la sottrazione dei creditori al giudice precostituito "ex lege" (tribunale fallimentare) e la devoluzione della cura dei loro interessi ad un organo amministrativo - il commissario -, con ulteriore inosservanza dell'art. 118, 1 co. Cost., per la degradazione del diritto soggettivo dei creditori al rango di interesse legittimo; violazione, infine, dell'art. 42, 3 co. Cost., per la sostanziale espropriazione senza indennizzo del diritto dei creditori.
Ritiene il Collegio di dover disattendere, nei vari profili testè delineati, l'eccezione di incostituzionalità della legge per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e, con essa, il motivo unico di impugnazione.
Bisogna premettere che, contrariamente a quanto afferma la sentenza impugnata, non può non essere formulato in termini positivi il giudizio di rilevanza su detta eccezione.
Invero, il procedimento in corso ha per oggetto l'inefficacia del pignoramento immobiliare nell'ambito dell'amministrazione straordinario; onde appare evidente la diretta influenza su di esso della contestazione, involgente in ogni sua parte la legge in esame, secondo cui il legislatore speciale avrebbe precluso ai creditori, senza contropartita, l'esercizio dell'azione esecutiva, con pregiudizio dello stesso diritto sostanziale di credito e con la sottrazione della controversia al giudice naturale. Ma, come si è premesso, nel merito l'eccezione deve essere disattesa.
Non ignora il Collegio l'opinione contraria manifestata dalla dottrina cui fa richiamo la ricorrente.
Ricorda, peraltro, il parere da più parti autorevolmente espresso contro la suddetta censura di illegittimità, che non ha trovate infatti mai credito presso la Corte costituzionale (decisione del 29 dicembre 1982, n. 244 e 22 maggio 1987, n. 185) e nella stesa giurisprudenza di questa Corte (sent. 20 aprile 1985, n. 2618). Opportunamente, per la risoluzione del complesso problema è stata sottolineata da una parte della dottrina l'esigenza di un bilanciamento degli interessi concorrenti, meritevoli di tutela; e si è osservato, in un'ampia prospettiva della situazione economico-sociale che ha giustificato l'emanazione della legge, come non si possa pervenire ad una conclusione negativa nel formulare il giudizio di costituzionalità.
Occorre, invero, tener presente, in relazione al momento in cui l'impresa sia venuta a trovarsi in condizione di crisi irreversibile, la necessità di una rivalutazione degli interessi in gioco, ormai non suscettibili di piena realizzazione: una rivalutazione opportunamente graduata e diretta ad una nuova combinazione economico-giuridica dalle molteplici componenti che, in origine, avevano dato vita e impulso all'iniziativa imprenditoriale. In tale contesto il legislatore del 1979 non avrebbe potuto prescindere dalla considerazione della particolare intensità con cui nelle grandi imprese in crisi sono coinvolti - rispetto a quanto possa avvenire nelle imprese ordinarie - i valori economici, tecnologici e sociali.
Tale considerazione già pone il riparo la normativa in esame dalla censura di irragionevolezza con riferimento al canone di eguaglianza sancito nell'art. 3 della Costituzione. Ma bisogna anche tener presenta l'emergere e l'affermarsi nelle legislazioni dei Paesi occidentali di una sentenza alla transizione da un modo di concepire le procedure concorsuali in termini meramente liquidatori alla valorizzazione di aspetti diversi, convergenti ad un risultato di conservazione dei mezzi organizzati nell'impresa, talora al fine di assicurare la sopravvivenza di questa e di evitare la liquidazione del suo patrimonio, talaltra allo scopo omologo di procurare alla collettività e, in primo luogo ai creditori una più consistente garanzia patrimoniale attraverso il risanamento e il trasferimento a terzi delle strutture aziendali.
Si delinea, pertanto, negli ordinamenti giuridici, un vero limite di ordine pubblico all'incontrollato prodursi e diffondersi degli effetti della crisi della grande impresa.
Nel quadro, sommariamente così delineato, di tali orientamenti legislativi si pone la particolare disciplina della legge n. 95 del 1979. Con essa il legislatore ha predisporre, nell'alveo di una procedura concepita secondo lo schema della liquidazione coatta amministrativa (art. 1), un modello normativo differenziato (art. 2) per l'eventuale continuazione dell'esercizio dell'impresa mediante l'opera del commissario, e per il recupero delle strutture aziendali. La decisione sull'opportunità di continuare l'esercizio imprenditoriale è affidata alla valutazione discrezionale (discrezionalità tecnica) del ministro competente. Il Commissario, a sua volta, elabora un programma che prevede, se possibile, un piano di risanamento per stabilire - come si esprime la Relazione alla legge di conversione "quali unità siano da risanare a cedere, sempre funzionanti, a terzi, e quali siano invece da liquidare); sicché, "trasferite le aziende sane e liquidate le altre, si farà luogo al riparto del ricavato fra i creditori, i cui diritti saranno stati nel frattempo accertati".
L'intero sistema dente dalla realizzazione di un "maggio ricavo con beneficio dei creditori" (così, la Relazione).
Pertanto, come è stato esattamente osservato, il patrimonio aziendale, di cui l'insolvente ha subito fin dall'inizio della procedura lo spossessamento, conserva la sua funzione essenziale di garanzia; e il perseguimento dell'interesse dei creditori coincide con la tutela, correttamente intesa, dell'interesse generale. Naturalmente, l'esperimento anzidetto potrà non condurre a un risultato utile.
In tale evenienza i creditori saranno esposti al possibile pregiudizio derivante dal lievitare delle spese "in prededuzione", ma, come già emerge dalle considerazioni svolte, non senza una "ratio" giustificativa a livello costituzionale, e, come sarà tosto chiarito, non senza un'adeguata garanzia giurisdizionale, che permetta il controllo della razionalità e coerenza dell'iniziativa. Sotto il primo aspetto, occorre tener presente che già nel momento del sorgere del credito l'anzidetta esigenza di ordine pubblico, recepita nelle legislazioni contemporanee, influenza, secondo il criterio dell'utilità sociale (art. 41 Cost.), la stessa libera iniziativa economica dell'imprenditore (fornitore, banca). Questi, invero, dovendo entrare in rapporto con le grandi imprese, opera in condizioni non paritarie rispetto ai creditori di altre imprese, nella prospettiva di una particolare e diversa regolamentazione dell'eventuale congiuntura sfavorevole per il debitore, con possibile incidenza negativa sul consuntivo dei propri costi.
La stessa esigenza comporta la necessità, nel momento successivo della realizzazione del credito, di una rivalutazione, e di una nuova combinazione economico-giuridica (cui si è già fatto cenno) delle varie componenti, in origine determinati l'assetto imprenditoriale. Da ciò l'affidamento alla discrezionalità tecnica del ministro di valutare l'opportunità di na temporanea continuazione dell'impresa per mezzo del commissario, al fine di realizzare, il contemperamento armonico degli interessi concorrenti, meritevoli tutti di tutela.
Ma da ciò anche l'imprescindibile esigenza di un controllo giurisdizionale sull'opera del ministro.
Ora, una lettura della legge speciale coordinata con i principi generali e con le disposizioni dalla legge fallimentare consente di riconoscere nell'ordinamento in vigore la presenza di tale presidio normativo.
Dispone testualmente l'art. 2 che la continuazione dell'esercizio imprenditoriale può essere disposta "tenendo anche conto dell'interesse dei creditori" (art. 2): dove la congiunzione "anche" non è riduttiva ma raffortiva del dovere dell'autorità preposta nei confronti dei creditori, dovere già inerente ad una procedura di tipo pur sempre concorsuale.
La stessa formula è adoperata a proposito della predisposizione del piano di risanamento nel programma elaborato dal Commissario (art. 2).
Se ne deduce, secondo i principi e per il necessario richiamo dell'art. 1, infine, l. n. 95 del '79 all'art. 97 l. fall. sul provvedimento di liquidazione coatta amministrativa soggette, com'e' pacifico, al sistema di impugnazione degli atti amministrativi - che ai creditori è stata implicitamente conferita la legittimazione ad impugnare il decreto del ministro davanti agli organi della giustizia amministrativa per eccesso di potere e-o per difetto della motivazione circa il modo di intendere e di realizzare quell'interesse.
Esiste, dunque, una garanzia giurisdizionale che, secondo il precetto dell'art. 113 della Costituzione, fa da cerniera al sistema:
da un lato il principio anzidetto di ordine pubblico nel quale si esprime l'esigenza di porre un argine al diffondersi degli effetti derivanti dalla crisi delle grandi imprese, principio che nella stessa Costituzione trova, in definitiva, la propria "ratio";
dall'altro, il controllo di legittimità sul concreto esercizio dei poteri conferiti a tal fine dalla legge speciale al ministro, controllo volto alla tutela dei diritti dei creditori nel settore di interferenza di quei poteri e, quindi, diretto ad evitare che, con pregiudizio del vero interesse della collettività, vengono artificiosamente mantenute in vita imprese insanabili. Ne consegue che l'alternativa, posta in termini empididi e probabilistici, fra un esito favorevole e un esito sfavorevole della scala ministeriale di continuare a svolgere l'esercizio dell'impresa di risolve "ex ante" in termini normativi attraverso la predisposizione di un adeguato meccanismo di controllo della correttezza giuridica della scelta.
È opportuno a questo punto osservare e precisare che siccome l'utilità sociale è storicamente determinata dal legislatore ordinario, sarà compito di quest'ultimo stabilire se ancor oggi permanga la "ratio" giustificativa della legge speciale, emanata nella congiuntura economica degli anni settanta.

In realtà, è proprio questo il problema di fondo, riguardante la sorte di una legge, che non manca di sancire - essa stesa - il proprio carattere transitorio e precario (art. 6, ter.). Ma si tratta di una questione risolubile soltanto a livello politico-legislativo.
Allo stato attuale non possono trovare accoglimento, in questa sede giurisdizionale, le dette eccezioni di illegittimità, sia con riferimento al canone di uguaglianza, in considerazione dei particolari problemi che la crisi della grande impresa suscita nei rapporti fra il debitore e i suoi creditori, sia con riferimento agli alti precetti costituzionali sopra citati, dai quali, per le ragioni esposte, non appare difforme la legge in esame, contenente le disposizioni necessarie e sufficienti per sottoporre l'opera dello Stato amministratore al controllo dello Stato giudice. Tale giudizio di infondatezza dell'eccezione di incostituzionalità comporta il rigetto del ricorso, su di essa esclusivamente imperniato.
Ritiene, tuttavia, il Collegio che ricorrano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di questa fase del giudizio.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di Cassazione. Così deciso in Roma, il 30 gennaio 1990.