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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19784 - pubb. 11/01/2018.

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Cassazione civile, sez. I, 15 Dicembre 1994, n. 10735. Est. Bibolini.

Debitore esecutato dichiarato fallito con sentenza anteriore alla trascrizione del pignoramento - Provvedimento del giudice dell'esecuzione che dichiari l'improcedibilità dell'esecuzione - Impugnazione - Con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. - Esclusione - Con opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. - Ammissibilità


Il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione immobiliare dichiari l'improcedibilità dell'esecuzione , sul presupposto che il debitore esecutato era stato sottoposto a procedura fallimentare con sentenza anteriore alla trascrizione del pignoramento, con conseguente applicabilità dell'art. 51 legge fall., non è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., difettando del carattere della definitività, essendo impugnabile con il rimedio dell'opposizione di cui all'art. 617 cod. proc. civ. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giancarlo MONTANARI VISCO Presidente
" Renato SGROI Consigliere
" Rosario DE MUSIS "
" Giovanni OLLA "
" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "
ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

S.P.A. BANCO DI SICILIA, Sezione credito Minerario, nella persona del suo direttore, rappresentato e difeso, in virtù di Procura speciale in calce al ricorso introduttivo, dall'Avv. Giuseppe Tristano e dall'Avv. Tommaso Manferoce, presso lo studio del quale ultimo in Roma, Piazza Vescovio n. 21, ha eletto domicilio.

Ricorrente

contro

CURATORE DEL FALLIMENTO DELLA S.P.A. AMIANTIFERA DI BALANGERO, rappresentato e difeso dall'Avv. Corrado De Martini, presso il cui studio in Roma, Via Maria Cristina n. 2, è elettivamente domiciliato, in virtù di delega a margine del controricorso ed autorizzazione del giudice delegato al fallimento, pendente presso il Tribunale di Roma, in data 23 settembre 1992.

Intimato

avverso l'ordinanza pronunciata dal Giudice delle esecuzioni immobiliari presso il Tribunale di Torino in data 12-14 novembre 1991. udita la relazione del consigliere Gran Carlo Bibolini;
Sentito l'Avv. C. De Martini il quale, per il fallimento intimato, chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
Sentito il P.M. dott. PAOLO DETTORI il quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 18 maggio 1990 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento della s.p.a. AMIANTIFERA DI BALANGERO, società che sin dal 1952 era subentrata alla Società Cave di San Vittore nella concessione per la coltivazione della miniera di amianto denominata "San Vittore" sita nei comuni di Balangero, Corio, Coassolo, Mathi e Lanzo in provincia di Torino, concessione che era stata accordata originariamente con D.M. 11 marzo 1936 per la durata di 99 anni.
Con decreto 26 aprile 1990 (anteriore quindi alla dichiarazione di fallimento) il Ministro per l'Industria e per il Commercio, a termini degli artt. 40 e 41 della L. 29 luglio 1927 n. 1443, aveva disposto la decadenza della s.p.a. Amiantifera di Balangero dalla concessione mineraria.
In forza di atto di precetto notificato il 10 aprile 1991 per complessive L. 11.616.631.817, il 24 aprile 1991 il banco di Sicilia. nella qualità di creditore ipotecario, con atto di pignoramento promuoveva esecuzione forzata a termini dell'art. 44 della L. n. 1443-1927 davanti al Tribunale di Torino, territorialmente competente, esecuzione avente ad oggetto: la concessione mineraria, i terreni siti in comuni di Balangero e Corio, fabbricati industriali e palazzina direzione siti in Comune di Balangero, un fabbricato civile sito in Milano.
L'istanza di vendita proposta dalla procedente in via esecutiva non trovava accoglimento dal Giudice dell'esecuzione il quale, con ordinanza 12-14 novembre 1991, dichiarava l'improcedibilità dell'esecuzione sul presupposto che la debitrice esecutata era stata sottoposta a procedura fallimentare con sentenza anteriore alla trascrizione del pignoramento; che l'art. 44 della L. n. 1443-27, in base alla quale il Banco aveva proceduto, non concede al credito minerario alcun privilegio di carattere processuale assimilabile a quello del Credito Fondiario; che doveva trovare applicazione l'art. 51 della Legge Fallimentare; che la causa di improcedibilità era rilevabile d'ufficio dal giudice cui era assegnata la procedura. Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione la s.p.a. Banco di Napoli, sulla base di due motivi interati da memoria; si costituiva con controricorso la curatela fallimentare predetta.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente occorre rilevare l'inammissibilità del controricorso per tardività. Ed invero il ricorso per Cassazione era stato notificato il 17 gennaio 1992 e depositato il 30 gennaio 1992;
il controricorso, per contro è stato notificato il 10 febbraio 1993 e depositato il giorno 26 successivo e, quindi, ampiamente oltre il termine dell'art. 370 c.p.c. La procura, quindi, a margine del controricorso, e la relativa autorizzazione del giudice delegato, come indicate in epigrafe, abilitano l'avvocato solo alla partecipazione all'udienza di discussione.
Pregiudiziale, ancora, all'esame dei due motivi di ricorso per cassazione (con cui la s.p.a. Banco di Sicilia ha dedotto, rispettivamente, la violazione e la falsa applicazione dell'art. 51 del R.D. 16 marzo 1942 N. 267 e degli artt, 30, 41 e 44 R.D. 29 luglio 1927 - N. 1443, nonché la nullità dell'ordinanza impugnata e del procedimento in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c. assumendo che il giudice delle esecuzioni non aveva ne' la competenza di emettere pronunce di improcedibilità, ne' il potere dl provvedere d'ufficio), è la valutazione dell'ammissibilità del ricorso in quanto tale. La banca ricorrente sul punto sostiene sia ll carattere decisorio del provvedimento impugnato il quale, pur nella forma dell'ordinanza, ha l'idoneità a produrre effetti di diritto sostanziale incidendo direttamente sui diritti soggettivi delle parti, sia la definitività, poiché contro di esso non è previsto alcun mezzo di impugnazione; non sarebbe, infatti, ammissibile il reclamo al collegio ex art. 630, 3 comma c.p.c., in quanto non è stata pronunciata l'estinzione del Procedimento esecutivo; non sarebbe ammissibile l'appello, stante la forma dell'ordinanza; il codice di rito, infine, non prevederebbe alcun tipo di reclamo. Tanto premesso in relazione alla questione pregiudiziale proposta dalla ricorrente e discussa in udienza dall'avvocato del fallimento, si deve indubbiamente concordare sul carattere decisorio del provvedimento del giudice dell'esecuzione, non sulla sua definitività, essendo esperibile, nella specie, l'opposizione ex art. 617 c.p.c. Ed invero, nonostante detto articolo si riferisca solo alla regolarità formale del titolo esecutivo, del precetto e dei singoli atti di esecuzione, l'opposizione agli atti esecutivi è venuta assumendo nel processo esecutivo il ruolo di uno strumento fondamentale di tutela per quanti nel processo operano contro ogni atto viziato compiuto nel suo corso, atti che, altrimenti. rimarrebbero privi di tutela (Cass. 22 maggio 1980 n. 3375), per cui legittimati alla proposizione dell'esecuzione non sono solo il debitore o il terzo assoggettato all'esecuzione, ma anche i creditori. L'opposizione agli atti esecutivi, in sostanza, assume la funzione di un rimedio di chiusura, in quanto strumento generale di controllo della legalità e dell'opportunità dello svolgimento del processo esecutivo, sopratutto quando i singoli provvedimenti siano suscettivi di creare situazioni irreversibili Cass. 23 giugno 1989 n. 2985). Seguendo questa linea interpretativa, questa Corte, non solo ha espressamente affermato che l'opposizione agli atti esecutivi può essere proposta, sia per le irregolarità formali, sia per fare valere vizi sostanziali dei singoli atti esecutivi e per fare rilevare la giuridica inesistenza di provvedimenti abnormi (Cass. 22 dicembre 1977 n. 5697), ma a detto principio ha dato applicazione nel caso della sopravvenienza, in corso di esecuzione, del fallimento del debitore (Cass. 11 maggio 1988 n. 3438). Seguendo la linea interpretativa indicata, ritiene la Corte che nella specie il provvedimento oggetto del ricorso per cassazione non avesse il carattere della definitività, essendo esperibile il rimedio dell'opposizione ex art. 617 c.p.c.. Conseguente è la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Le spese seguono la soccombenza, rilevando che la liquidazione a favore del fallimento deve tenere conto solo dell'attività processuale validamente espletata (discussione).

 

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in L. 147.000 liquidando gli onorari in L. 8.000.000.
Roma 23 marzo 1994.