Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19679 - pubb. 16/05/2018

Al giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo non si applica l’art. 51 l.f. e il fallimento del debitore non determina l’improseguibilità dell’azione

Cassazione civile, sez. III, 19 Aprile 2018, n. 9624. Est. Frasca.


Espropriazione forzata - Espropriazione forzata di crediti presso terzi - Giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo



Al giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo non si applica la disposizione l’art. 51 legge fallim., di talché il sopravvenuto fallimento del debitore esecutato non determina l’improseguibilità dell’azione né il venir meno dell’interesse ad agire del creditore procedente, atteso che la sopravvenuta improcedibilità della procedura esecutiva non esclude la possibilità che il fallito torni in bonis e venga dunque sottoposto a nuova esecuzione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio - Presidente -

Dott. FRASCA Raffaele - rel. Consigliere -

Dott. CIRILLO Francesco Maria - Consigliere -

Dott. DELL’UTRI Marco - Consigliere -

Dott. TATANGELO Augusto - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Rilevato che:

1. La Ergo Previdenza s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione contro la Top Service s.r.l. in liquidazione e nei confronti del Fallimento (*) s.a.s. avverso la sentenza del 4 settembre/maggio 2014, con la quale la Corte d'Appello di Venezia ha rigettato il suo appello avverso la sentenza del giugno 2012, con cui il Tribunale di Verona aveva provveduto sul giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, introdotto nel 2010 dalla s.r.l. Top Service, a seguito di dichiarazione negativa resa dalla qui ricorrente quale terza pignorata nella procedura esecutiva introdotta nel 2009 dalla stessa Top Service, quale creditrice della (*) s.a.s., in forza di titolo esecutivo rappresentato da un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.

2. Il Tribunale accertava l'esistenza di un credito di Euro 587.385,34 della debitrice esecutata nei confronti della terza pignorata qui ricorrente. Nel corso del giudizio di appello sopravveniva il fallimento della s.a.s. (*), rimasta contumace, e, quindi, all'esito della prosecuzione del giudizio nei confronti della curatela fallimentare, che non si costituiva, la corte territoriale ha confermato la decisione del primo giudice.

3. La vicenda iniziava con un pignoramento eseguito nel 2009 dalla Top Service s.r.l., sulla base di titolo esecutivo rappresentato da un decreto ingiuntivo. Il pignoramento veniva eseguito nei confronti della Ergo Previdenza s.p.a. riguardo alle somme dovute a qualsiasi titolo alla (*) per asseriti crediti provvigionali relativi ad intercorso rapporto di agenzia e sino a concorrenza dell'importo di Euro 164.849,22. Nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, instaurato a norma dell'art. 548 c.p.c., dalla creditrice procedente dopo una comunicazione tramite raccomandata della qui ricorrente nella quale si sosteneva l'esistenza di una posizione creditoria della terza pignorata verso la debitrice esecutata ed il successivo esito negativo dell'udienza di comparizione ex art. 543 c.p.c., comma 4, la Top Service introduceva il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, nel quale, per quanto ancora interessa, sosteneva che, in dipendenza dello svolgimento del rapporto di agenzia non era debitrice nei confronti della esecutata, ma creditrice.

Con sentenza del 7 giugno 2012 il Tribunale di Verona accertava l'esistenza di un credito della (*) verso la (4ti-e4 ricorrente pari ad Euro 587.385,34 ed assegnava un termine di sessanta giorni per la prosecuzione del processo esecutivo.

3. La sentenza veniva appellata dalla Ergo Previdenza con atto spedito per la notificazione il 28 giugno 2012 e nella costituzione della Top Service - la quale assumeva nella sua comparsa di risposta di avere riassunto il processo esecutivo con ricorso del 26 luglio 2012 (si veda il controricorso a pagina 9) e che all'esito era seguita l'assegnazione della somma pignorata in suo favore con conseguente chiusura del detto processo in data 9 ottobre 2012 (si veda il controricorso a pagina 11) - la causa veniva rimessa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 25 marzo 2014.

4. Nelle more interveniva il fallimento della (*) in forza di sentenza del Tribunale di Verona del 10 aprile 2013 (e non com'è scritto nell'esposizione del fatto del ricorso, con manifesto errore, il 7 giugno 2012: la data esatta indicata nel 10 aprile 2013 dalla resistente trova riscontro nell'atto di riassunzione del giudizi di appello ad iniziativa della qui ricorrente) e la Ergo Previdenza depositava ricorso ex artt. 302 e 305 c.p.c., per la prosecuzione del giudizio al dichiarato fine di non fare estinguere il processo. La corte territoriale, reputando interrotto il processo, fissava per la prosecuzione l'udienza del 25 marzo 2014, disponendo la notifica dell'atto riassuntivo, cui la Ergo Previdenza provvedeva. A seguito della riassunzione si costituiva soltanto la Top service, mentre rimaneva contumace la Curatela Fallimentare della (*).

5. Al ricorso per cassazione, che propone quattro motivi, ha resistito con controricorso la s.r.l. Top Service, mentre la Curatela Fallimentare della (*) non ha svolto attività difensiva.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., comma 1, e non sono state depositate conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, mentre la ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione ed errata applicazione della L. Fall., artt. 51 e 107, e art. 549 c.p.c. (vecchia e nuova formulazione) in relazione a disposto dell'art. 360 c.p.c., n. 3".

L'illustrazione del motivo inizia con la riproduzione della parte di motivazione della sentenza impugnata che, ancorchè non lo si dichiari, il motivo intenderebbe censurare.

Essa è del seguente tenore: "In sede di scritture finali la società appellante deduce improcedibilità del presente procedimento, in quanto ancillare a procedura esecutiva individuale, per l'intervenuto fallimento del soggetto debitore, la sas (*). L'opinione avanzata dalla spa Ergo Previdenza si fonda su datato insegnamento di legittimità ed ovviamente non tiene conto, invece, dell'insegnamento recente del Supremo Collegio - Cass. 28/09 -, che riserva esclusivamente alla procedura fallimentare tale tipo di eccezione. Nella specie non solo la procedura fallimentare, benchè regolarmente citata, non ha inteso costituirsi e cosi sollevare reazione di improcedibilità, ma un tanto ha pure un preciso significato pratico. Difatti la procedura esecutiva mediante pignoramento presso terzi, cui accede anche la presente causa, risulta già definita con l'assegnazione delle somme al creditore pignorante, la srl Top Service, ben prima della declaratoria di fallimento. Dunque, risultando soddisfatto il credito della società fallita mediante assegnazione a suo debitore, alcun interesse poteva avere al presente giudizio la procedura fallimentare".

1.1. Dopo la riproduzione della motivazione, la ricorrente svolge in primo luogo argomentazioni con cui sostiene:

a) che l'affermazione della sentenza impugnata che la procedura esecutiva sarebbe stata definita con l'assegnazione sarebbe priva di fondamento, perchè "non si vede come possa essere avvenuta una assegnazione, giuridicamente valida visto che ad Ergo Previdenza S.p.A. non è stata notificato, mai, nè il ricorso per riassunzione del procedimento esecutivo, nè una comunicazione di Cancelleria relativa alla fissazione dell'udienza per la riassunzione del procedimento esecutivo";

b) che errata, pertanto, sarebbe l'assunto della corte di merito che, essendo stata assegnata la somma alla Top Service prima della declaratoria del fallimento, la curatela fallimentare non avrebbe avuto possibilità di intervenire;

c) che, se pure l'assegnazione vi fosse stata, la ricorrente avrebbe potuto eccepirne la nullità, non essendone stata resa edotta;

d) che infondata sarebbe stata la statuizione con cui è stata rigettata la sua eccezione di improcedibilità ai sensi dell'art. 51 c.p.c., perchè si sarebbe posta in violazione della L. Fall., art. 51, e art. 107.

Di seguito a tali affermazioni, si evoca Cass. n. 25963 del 2009, per desumere dalla sua esegesi della L. Fall., art. 107, (il testo riguardo al quale si argomenta nemmeno viene individuato, nonostante le sostituzioni e modifiche che ha subito dalla riforma del 2005 in poi), che detta norma sancirebbe una sostituzione ope iuris del curatore al creditore individuale nella possibilità di dare impulso al processo esecutivo. Tanto si prospetta per sostenere - se ben si comprende le poco chiare argomentazioni - che spetta esclusivamente all'iniziativa del curatore fallimentare dare impulso alla procedura esecutiva, atteso che il potere del creditore procedente verrebbe automaticamente meno ai sensi della L. Fall., art. 51.

1.2. Dopo tali deduzioni, dalle quali non è dato comprendere come e perchè la sentenza impugnata avrebbe violato l'art. 107 (che dovrebbe venire in gioco nel testo di cui al comma 6, rimasto immutato dopo la sostituzione della norma, disposta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 98), si passa ad argomentare la violazione dell'art. 51 di quella legge, evocando il contrasto, esistente sulla sua applicabilità al giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo in seno alla giurisprudenza di questa Corte fra la soluzione positiva di cui alla remota Cass. n. 789 del 1962 e la soluzione negativa accolta dalla più recente Cass. n. 28 del 2009. Quindi, si sostiene che la tesi preferibile sarebbe quella di cui alla sentenza meno recente, adducendo - peraltro in modo nient'affatto esplicito, ma con enunciazioni che tuttavia fanno comprendere a questa Corte l'asserto - che la rimodulazione operata dalla L. n. 228 del 2012, quanto alle modalità di svolgimento del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo dovrebbe indurre a preferire la soluzione positiva, come sarebbe stato sostenuto dalla dottrina.

1.3. Il Collegio osserva innanzitutto che nell'illustrazione del motivo non è dato cogliere, o almeno non è dato coglierli in modo chiaro, i termini dell'enunciazione di una censura di violazione della L. Fall., art. 107: ciò, sia per la mancata individuazione del come e del perchè la sentenza impugnata avrebbe violato la norma, sia delle ragioni per cui sarebbe potuta venire in rilievo o direttamente o indirettamente. Sotto questo secondo profilo non è dato comprendere e comunque non è espresso in modo chiaro in che modo l‘esegesi dell'art. 107 di cui si ragiona, invocando il precedente di questa Corte, dovrebbe interferire con quella che poi si prospetta in riferimento all'art. 51.

1.3. Riguardo alla censura di violazione della L. Fall., art. 51, si deve rilevare che nella stessa esposizione del motivo si allude ad una circostanza che - indipendentemente dalla scelta della soluzione esegetica valida sulla sua incidenza o meno sul giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo - assumerebbe valore dirimente per rendere superflua la risoluzione del relativo problema esegetico e, quindi, del contrasto fra la vecchia e la nuova decisione di questa Corte.

Infatti, la ricorrente, con riguardo all'affermazione della sentenza impugnata che nel processo esecutivo vi era stata, a seguito di riassunzione, l'assegnazione della somma alla creditrice pignorante anteriormente alla declaratoria del fallimento della debitrice pignorata, assume che tale assegnazione sarebbe giuridicamente invalida, ma, in tal modo non pone in discussione che essa si fosse verificata.

Non pone, cioè in discussione che il processo esecutivo si fosse concluso prima della declaratoria del fallimento.

Ebbene, poichè nel processo esecutivo per espropriazione di crediti presso terzi l'ordinanza di assegnazione chiude pacificamente il processo esecutivo (ex multis: Cass. n. 4505 del 2011 e n. 17524 del 2011), risulta palese che, in ragione di tale chiusura, la sopravvenienza del fallimento, quand'anche si ravvisasse applicabile l'art. 51, al giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo (sebbene secondo la disciplina che regolava quello oggetto del presente giudizio), escluderebbe tale applicabilità in concreto.

Queste le ragioni.

1.3.1. La tesi propensa ad affermare che quel giudizio sarebbe ricaduto da sempre ed ora ricadrebbe nel divieto di cui all'art. 51, in ragione della sua strumentalità a determinare la possibilità della prosecuzione del processo esecutivo, se anche si condividesse, risulterebbe infatti applicabile, proprio per la ragione con cui viene giustificata, solo fino a quando quella strumentalità sia configurabile. Se il processo esecutivo, in pendenza del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo sia proseguito, come accaduto - per quello che deduce la resistente - a seguito di riassunzione nel termine disposto dalla sentenza di primo grado del Tribunale di Verona (che, nel regime anteriore alla riforma di cui alla L. n. 228 del 2012, venne pronunciata stante la regolamentazione di quel giudizio da esso disposto secondo l'ordinaria disciplina dei gradi di giudizio), la sua successiva conclusione con l'ordinanza di assegnazione prima della dichiarazione di fallimento della debitrice esecutata comportava il venir meno della strumentalità del giudizio stesso, sebbene ancora pendente, come nella specie, in appello a seguito di impugnazione di quella sentenza. In pratica, allo stesso modo di come il fallimento non può determinare l'effetto dell'improseguibilità del processo esecutivo già chiuso all'atto del suo intervento, analoga soluzione meriterebbe la questione della improseguibilità del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo strumentale al processo esecutivo.

Dunque, pur quando, nella specie nel regime anteriore alla riforma di cui alla L. n. 228 del 2012, si fosse voluto sostenere che la L. Fall., art. 51, era idoneo a giustificare l'improcedibilità del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, la verificazione della cessazione del processo esecutivo durante la pendenza di quel giudizio e prima della sopravvenienza del fallimento del debitore, escludeva necessariamente la possibilità di giustificarla per l'assorbente ragione che, venuto meno l'oggetto riguardo al quale la sopravvenienza del fallimento impediva la continuazione della tutela giurisdizionale, cioè il processo esecutivo, il venir meno della strumentalità rispetto ad esso del detto giudizio faceva cadere il presupposto per l'estensione ad esso dell'art. 51.

1.3.2. D'altro canto, la prosecuzione in tale caso del giudizio accertativo, naturalmente previa riassunzione - come avvenuto nella specie - nei riguardi del fallimento, non poteva apparire contraria alla logica di svolgimento della tutela concorsuale, giacchè lo scopo del giudizio, cioè quello di accertare nel contraddittorio del creditore procedente se esistesse all'atto del pignoramento il credito del debitore esecutato fallito nei confronti del terzo debitor debitoris bene poteva continuare ad essere perseguito, perchè tale accertamento avrebbe potuto in ipotesi essere utilizzabile sia nell'interesse del creditore procedente sia della massa, rispettivamente: a) per giustificare l'esito satisfattivo del processo esecutivo (qualora il credito fosse stato esistente al momento del pignoramento), b) o per rimetterlo in discussione (qualora fosse risultato che il credito assegnato al creditore procedente non esisteva o esisteva solo in parte).

Vi è da dire anzi che quanto appena osservato resta valido in ogni caso anche a proposito del nuovo regime introdotto dalla L. n. 228 del 2012, in cui le questioni insorte sulla dichiarazione del debitor debitoris sono decise in prima battuta in via sommaria dal giudice dell'esecuzione con un'ordinanza risolutiva che è poi impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi: dunque, se, a seguito dell'esito del giudizio di opposizione agli atti il processo esecutivo sia riassunto in pendenza dell'eventuale impugnazione in Cassazione ed il fallimento del debitore esecutato sopraggiunga pendente detto giudizio ma dopo la chiusura del processo esecutivo con l'assegnazione, parimenti non è sostenibile che la Corte di Cassazione al momento della decisione, pur se si ipotizzi l'astratta applicabilità dell'art. 51, debba farne applicazione. E ciò sempre per il venir meno della pretesa ragione giustificativa dell'applicazione.

1.3.3. Nè, ritornando alla vicenda oggetto di processo e come sostiene parte ricorrente, può avere rilievo la circostanza che il processo esecutivo sarebbe stato riassunto senza che il ricorso in riassunzione fosse stato ad essa notificato ed alla debitrice esecutata e senza che fosse stata comunicata l'udienza fissata per dar corso alla riassunzione.

Invero, si deve certamente rilevare che - nonostante il silenzio della legge riguardo alla fattispecie riassuntiva conseguente ad esito positivo del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo nella norma che regola espressamente la riassunzione del processo esecutivo, cioè l'art. 627 c.p.c. - si doveva e si deve ritenere che detta fattispecie tanto nel regime ante L. n. 228 del 2012, quanto in quello attuale fosse e sia regolata dallo stesso art. 627 (e ciò pur nella contemplazione dei dicta che ai diversi effetti della riassunzione dopo giudizio distributivo ex art. 512 c.p.c., ha ritenuto di fare Cass. n. 26889 del 2014 nella situazione anteriore alla riforma di cui al D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella L. n. 80 del 2005, ipotizzando l'applicabilità in detta ipotesi dell'art. 297 c.p.c., i quali - ammesso che siano condivisibili - non potevano e non possono valere con riferimento alla specie di riassunzione in esame, atteso che la riassunzione per l'esito del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo può avvenire solo in caso di esito positivo dell'accertamento e non indifferentemente anche per il caso di esito negativo, cosa che ha indotto detta decisione ad escludere l'applicazione dell'art. 627).

E si deve, altresì, considerare che il ricorso in riassunzione esigesse come esige tuttora che, a seguito del ricorso in riassunzione depositato dal creditore procedente, il Giudice dell'Esecuzione dovesse, come debba, fissare un'udienza ai sensi dell'art. 487 c.p.c., per provvedere sul corso dell'esecuzione con la conseguenza che, dunque, della riassunzione e dell'udienza il detto Giudice debba disporre darsi comunicazione agli altri soggetti coinvolti, cioè il debitore esecutato ed il debitor debitoris (terzo pignorato).

La ragione è ovvia: la ripresa del processo esecutivo deve avvenire dal momento in cui la causa di sospensione (ex lege) si era verificata e, dunque, nel relativo contesto procedimentale.

E tale momento nella disciplina ante 2012, ma anche in quella successiva, era ed è l'udienza di comparizione del terzo, posto che, tanto nel vecchio regime l'automatico provvedimento di blocco del processo esecutivo conseguente ad una dichiarazione negativa o alla mancanza della dichiarazione, quanto nel nuovo il provvedere del giudice che esprime l'ordinanza risolutiva delle contestazioni poi opposta ex art. 617 c.p.c., erano e sono adottabili in udienza o a seguito di riserva (art. 186 c.p.c.), che sempre un'appendice dell'udienza rappresenta; necessariamente si deve fissare un'udienza ai sensi dell'art. 485 c.p.c.

Dunque della riassunzione doveva darsi notizia certamente alla ricorrente, perchè su di essa si sarebbe dovuto provvedere in udienza della quale essa avrebbe dovuto avere comunicazione, mentre essa sostiene di non averla avuta.

1.3.4. Tanto premesso, si deve, tuttavia, rilevare che del tutto erroneamente la ricorrente sostiene, però, che l'ipotetica mancata comunicazione avrebbe dovuto considerarsi dalla corte territoriale come ragione che, determinando l'invalidità del provvedimento di assegnazione (per difetto di contraddittorio), rendeva, parrebbe di capire, irrilevante l'ordinanza di assegnazione e, dunque, la chiusura del processo esecutivo.

Tale assunto è privo di pregio.

Una volta avuta notizia della pronuncia dell'ordinanza di assegnazione, la ricorrente avrebbe dovuto provvedere ad impugnarla tempestivamente con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi per far valere la nullità derivante dalla mancata notiziazione dell'udienza fissata a seguito della riassunzione. A detta opposizione si doveva ritenere legittimata in quanto sussisteva il suo interesse e considerato che il terzo pignorato si deve ritenere legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi quando l'atto dell'esecuzione lede la sua posizione (in termini Cass. n. 3888 del 2015).

In mancanza di esperimento di tale rimedio la ricorrente non poteva invece ritenersi ammessa a dedurre nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo la lesione della sua posizione, pretendendo che l'ordinanza di assegnazione di chiusura del processo esecutivo fosse considerata invalida incidenter tantum: è sufficiente osservare che lo esclude la natura necessariamente impugnatoria dell'opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c.

Mette conto, poi, di ricordare, ove fosse necessario giustificare l'assegnazione del termine per la riassunzione da parte della sentenza di primo grado, che è stato affermato che: "La sentenza di primo grado che definendo il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo e di cui all'art. 548 c.p.c., nell'alveo di una procedura esecutiva presso terzi - accerti l'esistenza del diritto del debitore esecutato nei confronti del terzo deve contenere la fissazione del termine perentorio per la prosecuzione del giudizio esecutivo sospeso, il quale, a seguito della riassunzione tempestiva, prosegue, a prescindere dal passaggio in giudicato della detta sentenza, riferendosi l'art. 549 c.p.c., alla "sentenza che definisce il giudizio" ed essendo tale il provvedimento di merito che decide su tutte le domande proposte e le relative eccezioni anche se non passata in giudicato, restando rilevante tale profilo solo ove la sentenza non abbia fissato il termine per la riassunzione". (Cass. n. 23325 del 2010).

Tale assunto è ora confermato dalle ragioni esposte da Cass. n. 24447 del 2011 a proposito dell'esegesi dell'art. 627 c.p.c., a giustificazione del principio di diritto secondo cui: "A seguito dell'introduzione, per effetto della novellazione dell'art. 282 c.p.c., da parte della L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 33, del principio di immediata efficacia della sentenza di primo grado, l'art. 627 c.p.c., nella parte in cui allude alla riassunzione del processo esecutivo nel termine di sei mesi dal passaggio in cosa giudicata della sentenza di primo grado che rigetta l'opposizione all'esecuzione, deve essere inteso nel senso che tale momento segna soltanto il "dies a quo" del termine per la riassunzione (che, se la sentenza viene impugnata, non decorre, venendo sostituito dal momento della comunicazione della sentenza di appello che rigetti l'opposizione) e non il momento di insorgenza del potere di riassumere, il quale, in conseguenza dell'immediata efficacia della sentenza di primo grado di rigetto dell'opposizione ai sensi dell'art. 282 c.p.c., nasce con la sua stessa pubblicazione". (Cass. 24477/2011).

Dunque, la riassunzione bene potè avvenire, come ha dedotto la resistente a seguito della fissazione del relativo termine da parte della sentenza di primo grado del Tribunale di Verona.

1.4. Le considerazioni svolte renderebbero a questo punto superfluo esaminare la questione del se il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo diventi improseguibile a seguito della sopravvenienza del fallimento, con la conseguenza della inammissibilità del motivo in parte qua.

Senonchè, l'esistenza del contrasto fra la vecchia decisione del 1962 e quella del 2009, congiunte al fatto che nella dimensione del nuovo giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo la dottrina è incline a vedere una ancora maggiore giustificazione della soluzione adottata dalla prima, inducono ad esaminare la questione ai sensi del'art. 363 c.p.c., comma 3.

1.4.1. Il Collegio ritiene che si debba dare continuità all'orientamento più recente, sul quale ha fatto leva la sentenza impugnata, cioè quello di cui a Cass. n. 28 del 2009.

Tale decisione ebbe a motivare in questi termini: "Ma a prescindere da tutto ciò, è agevole rilevare sul piano generale che, una volta che il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo sia stato promosso, esso può proseguire anche se il processo esecutivo si debba arrestare, perchè permane l'interesse delle parti (anche dello stesso debitore che ottiene l'accertamento del proprio credito nei confronti del terzo) all'accertamento del credito. Nel caso concreto non sussistono dubbi in ordine all'interesse del curatore a tale accertamento. Di tale affermazione si ha conferma avendo riguardo al sistema normativo cui si riferisce. Così, ad esempio, l'art. 678 c.p.c., in tema di esecuzione del sequestro conservativo sui mobili e sui crediti, affida al terzo la scelta di chiedere l'immediato accertamento dei propri obblighi piuttosto che accettare la sospensione del giudizio sulle controversie relative a tale accertamento fino all'esito del giudizio sul merito tra creditore e debitore. Questa norma dimostra l'autonomia dei due giudizi".

L'argomento desunto dall'art. 678 c.p.c., per la verità appare debole in relazione alla specialità della norma dell'art. 51 della L.F., che sancisce non una sospensione, ma l'improseguibilità, dovendo l'attività esecutiva procedere nella sede concorsuale.

L'altra argomentazione è condivisibile ed a suo favore militano le seguenti ulteriori considerazioni.

1.4.2. Preliminarmente si deve rilevare che la vicenda di cui è processo pertiene ad un giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo regolato secondo lo schema anteriore alle modificazioni introdotte n. dell'art. 548 c.p.c., dalla L. n. 228 del 2012, nel quale, come del resto nell'assetto originario del codice di rito, quel giudizio si ricollegava automaticamente sia alla mancata comparizione del terzo a rendere la dichiarazione, sia al rifiuto di renderla, sia all'esistenza di contestazioni.

Con riferimento a quell'assetto normativo la remota Cass. n. 789 del 1962, che esprime l'altro termine del contrasto, aveva statuito che: "Nel procedimento di espropriazione presso terzi, il giudizio che il creditore pignorante, qualora manchi la dichiarazione del terzo o sorgano contestazioni intorno ad essa, promuove allo scopo di fare affermare l'esistenza del credito o del bene nel patrimonio del debitore ai fini dell'esecuzione (art. 548 c.p.c.), è un giudizio di cognizione che incide indissolubilmente nell'esecuzione e, pertanto, qualora sopraggiunga il fallimento del debitore, rientra nella previsione di cui alla L. Fall., art. 51, il quale stabilisce che, salva diversa disposizione di legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento, nessuna azione individuale esecutiva può essere iniziata o proseguita e, cioè, che tutti gli atti di esecuzione forzata, e le questioni che sorgono intorno ad essi, sono attratti nel procedimento unitario fallimentare sotto la direzione di un unico ufficio esecutivo".

Quell'affermazione risultava ispirata dall'idea, puramente descrittiva, che il giudizio in questione fosse funzionale all'esecuzione.

Ma, in realtà, tale funzionalizzazione non poteva certo spiegare l'allargamento ad un giudizio di cognizione della norma sulla improcedibilità sancita con riguardo al processo esecutivo.

Quella norma aveva come ha certamente natura eccezionale quale norma per così dire di "blocco" di una forma di tutela giurisdizionale quale quella esecutiva.

La norma avrebbe potuto al più giustificare, una volta tenuti in conto i principi che presiedono all'esercizio dell'azione, una chiusura del processo di accertamento dell'obbligo del terzo per sopravvenuta carenza della condizione dell'interesse ad agire, sul riflesso che, non essendo proseguibile il processo esecutivo ed essendo l'accertamento dell'obbligo del terzo soltanto servente rispetto ad esso, cioè diretto ad accertare se il credito esisteva ai fini dell'assoggettamento all'esecuzione, detto interesse si sarebbe dovuto dire venuto meno.

La tesi sostenibile sarebbe stata, dunque, non quella della diretta applicabilità del'art. 51, bensì quella di una normale applicazione della regola dell'interesse ad agire.

1.4.3. Senonchè, una simile tesi non si può reputare convincente.

Si deve considerare che, pur determinatasi l'improcedibilità del processo esecutivo, risulta ingiustificato sostenere che l'impossibilità di utilizzare l'accertamento del credito del debitore esecutato verso il terzo pignorato a favore del creditore procedente nel processo esecutivo divenuto appunto improseguibile determini una carenza di interesse ad agire.

Intanto nel rapporto fra debitore esecutato fallito e terzo pignorato suo debitore la prosecuzione del giudizio con il coinvolgimento del curatore fallimentare, previa riassunzione nei suo confronti, si presenta utile, in quanto il suo esito positivo si risolve nell'acquisizione alla massa fallimentare dell'accertamento del credito, giacchè nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo il relativo accertamento dell'esistenza del credito certamente dà luogo a cosa giudicata fra debitor debitoris e debitore esecutato. Sarebbe paradossale escludere che un processo di cognizione si svolga, sebbene su richiesta di un terzo estraneo al rapporto di credito-debito, il creditore procedente, senza por capo a detto accertamento anche fra le parti del detto rapporto. E ciò risulta non meno vero se pure si consideri che l'accertamento avviene eventualmente nei limiti dell'importo del credito per cui l'esecuzione era stata introdotta: è sufficiente osservare, in disparte gli atteggiamenti delle parti del rapporto di credito-debito, che comunque anche in tale caso il rapporto fondamentale, la fattispecie costitutiva del credito pignorato risulta necessariamente accertata, in ossequio all'oggetto del giudicato.

In secondo luogo, ponendosi dal punto di vista del creditore procedente contro il fallito ed in vista di una richiesta di ammissione al passivo proprio del credito azionato con il processo esecutivo, detto accertamento dell'esistenza a favore del fallito e, dunque, della curatela, del credito, proprio perchè determinante un effetto favorevole alla massa fallimentare, si presentava come si presenta altrettanto utile per la prospettiva del creditore procedente di trovare soddisfazione in sede fallimentare al proprio credito.

Inoltre ed in ogni caso, la prosecuzione del giudizio presentava un sicuro interesse sempre per il creditore procedente in vista di un'eventuale cessazione o revoca del fallimento e, dunque, del ritorno in bonis del debitore già esecutato e della sua successiva sottoposizione ad una nuova esecuzione. E' palese che, in sede di nuova esecuzione, il terzo debitore del già fallito esecutato avrebbe potuto e potrebbe contestare nuovamente la sua posizione debitoria, provocando la necessità di un nuovo giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, ma con l'effetto dissuasivo che in tale giudizio avrebbe certo operato il vincolo del precedente giudicato, con la consequenziale facilità e rapidità di svolgimento del giudizio stesso.

1.4.4. Ne segue allora che la tesi della vecchia sentenza del 1962 non era affatto convincente, come del resto il correlato orientamento dottrinale cui essa si richiamava.

Le notazioni, svolte, inoltre, ancorchè la dottrina abbia sostenuto che, a seguito del sopraggiungere della riforma della L. n. 228 del 2012, i dubbi sull'applicabilità dell'art. 51 sarebbero definitivamente superabili, dando rilievo alla circostanza che il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo è costruito come giudizio endoesecutivo, sembrano anche più che sufficienti invece a mantenere la soluzione negativa, atteso che l'assoggettamento alla forma dell'art. 617 c.p.c., del relativo giudizio non toglie che tale giudizio sia un giudizio di cognizione la cui utilità si configura esistente nei termini su indicati.

Si deve, poi, aggiungere, per una volta valorizzando il principio esegetico dell'intenzione del legislatore, che la L. n. 5 del 2006, con il suo art. 48, ebbe a sostituire il testo dell'art. 51, estendendo espressamene alle azioni cautelari la improcedibilità (conforme a quanto riteneva da tempo la giurisprudenza di questa Corte), oltre che l'impossibilità di inizio di azioni nuove: ebbene il silenzio serbato sul giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo appare significativo e,i rafforza la ricostruzione qui sostenuta.

1.5. Deve, dunque, a norma dell'art. 363 c.p.c., comma 3, enunciarsi il seguente principio di diritto: "In tema di espropriazione forzata di crediti presso terzi, tanto prima che successivamente alla riforma del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo dalla L. n. 228 del 2012, si deve escludere che, qualora sopraggiunga nel corso del suo svolgimento ed in una situazione nella quale il processo esecutivo sia pendente sebbene sospeso in ragione della sua pendenza, l'art. 51 della legge fallimentare possa giustificare la sua improcedibilità. Deve, altresì, escludersi che l'improcedibilità del processo esecutivo ai sensi dell'art. 51 costituisca situazione di sopravvenuta carenza del requisito dell'interesse ad agire rispetto allo svolgimento del giudizio".

Il primo motivo è, dunque, rigettato.

2. Con il secondo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione del disposto dell'art. 116 c.p.c., art. 2700 c.c., nonchè della L. Fall., artt. 51 e 107, in relazione al disposto dell'art. 360 n. 3".

2.1. L'illustrazione riproduce nuovamente la parte finale della motivazione già riprodotta in limine del primo motivo e, quindi, nella pagina 16, dopo avere nuovamente evocato Cass. n. 25963/2009 desumendone che la sostituzione del curatore al creditore individuale da essa predicata non sarebbe subordinata ne inferisce la conseguenza così sembrando fare riferimento alla violazione della L. Fall., artt. 51 e 107 - che, alla luce di tale principio regolatore del "rapporto fra procedimento esecutivo individuale intrapreso nei confronti di (*) s.s.s. in liquidazione ed il fallimento della stessa società, (intervenuto mentre era ancora in corso il procedimento esecutivo), l'affermazione della Corte di merito secondo cui il processo esecutivo si sarebbe chiuso - con l'assegnazione delle somme - prima del fallimento" non corrisponderebbe al vero, mentre, se pure ciò fosse avvenuto, l'estinzione sarebbe stata nulla non avendo ricevuto nè la qui ricorrente nè il fallimento la notifica del ricorso per la riassunzione del processo, nè la comunicazione della cancelleria del Giudice dell'Esecuzione.

2.1.1. Questa prima censura, là dove fa riferimento all'essere intervenuto il fallimento mentre era ancora in corso il procedimento esecutivo, oltre a contraddire la prospettazione assunta nel primo motivo, dove si era ragionato del fatto che la chiusura di quel procedimento fosse stata invalida ma non si era sostenuto che fosse intervenuta dopo il fallimento, è inammissibile perchè denuncia un errore revocatorio di fatto, avendo la corte di merito espressamente affermato che il fallimento seguì quella chiusura (avvenuta con l'assegnazione).

Tanto è dirimente a prescindere dalla assoluta assertività dell'affermazione e dalla contraddittorietà della immediatamente successiva argomentazione sulla nullità per il caso che quella che si chiama "estinzione" fosse avvenuta prima.

Ed a prescindere, ulteriormente, dalla precisa indicazione che parte resistente ha fatto del provvedimento conclusivo del processo esecutivo, riguardo alla quale nulla si è osservato.

Quanto, poi, al secondo profilo di censura concernente il vizio della chiusura del processo esecutivo è dirimente ciò che si è rilevato esaminando il motivo precedente.

2.2. Nella illustrazione successiva del motivo, che va dalla pagina 17 sino alla pagina 21 si esordisce con il rilievo iniziale che sarebbe priva di fondamento la tesi della corte di merito secondo cui la curatela fallimentare "avrebbe deciso di non intervenire nel giudizio", ma, di seguito, non se ne spiega il come e perchè. Infatti, si fa riferimento alla produzione in appello da parte della ricorrente della sua istanza di insinuazione nel passivo fallimentare, di una lettera del Curatore con l'allegato progetto di stato passivo delle domande tardive, dal quale sarebbe risultato che la ricorrente era stata ammessa al passivo fallimentare per la somma di Euro 461.873,15, nonchè di una comunicazione del curatore di dichiarazione dell'esecutività dello stato passivo.

Sulla base di tali emergenze documentali si sostiene in modo assertorio e non spiegato che la corte territoriale non avrebbe potuto fare l'affermazione sul disinteresse della curatela.

2.2.1. Il Collegio rileva che, in disparte l'incomprensibilità del rilievo giuridico annesso a detta affermazione, che fotografa soltanto il non essersi costituita la Curatela nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, come avrebbe potuto stante l'inapplicabilità dell'art. 51, in questa seconda parte del motivo non si coglie alcuna attività assertiva, almeno percepibile, nè della violazione dell'art. 2700 cod. civ., nè della violazione dell'art. 116 c.p.c. (sulla cui modalità di deduzione si veda, peraltro, Cass., Sez. Un. n. 16598 del 2016 in motivazione, sulla scia di Cass. n. 11892 del 2016).

Sicchè la censura è per ciò solo inconferente, non individuando le denunciate violazioni delle dette norme.

2.3. Il motivo è, dunque, complessivamente inammissibile.

3. Con un terzo motivo si denuncia "nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, - con violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. - per aver omesso qualsivoglia valutazione sulle evidenze relative all'accertamento del giudice fallimentare sul saldo contabile a favore di Ergo previdenza S.p.A. conseguente alla specifica richiesta contenuta nell'istanza di ammissione al passivo del fallimento" e vi si sostiene con sole dodici righe di illustrazione che la corte lagunare non avrebbe valutato i documenti cui si è fatto riferimento nel motivo precedente.

3.1. Il motivo è inammissibile perchè denuncia un'omissione di pronuncia ai sensi dell'art. 112 c.p.c., riferendola non ad una domanda o ad un capo di domanda, o a un motivo di appello, o ad una controeccezione della ricorrente, bensì alla pretesa omessa valutazione dei documenti.

Nella breve illustrazione il paradigma dell'art. 116 c.p.c., non viene evocato secondo il contenuto assegnatogli dalla già richiamata giurisprudenza.

La mancata valutazione dei documenti, peraltro, non sarebbe riconducibile nemmeno - previa riqualificazone alla stregua di Cass., sez. Un., n. 17931 del 2013 - al paradigma del nuovo n. 5 dell'art. 360, giusta gli insegnamenti di Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014.

Il motivo è, conseguentemente, inammissibile.

4. Con il quarto motivo si prospetta "violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., nonchè dell'art. 1242 c.c., in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., n. 3".

Il motivo, conforme alla sua intestazione, dovrebbe illustrare una violazione dell'art. 2697 cod. civ. ed una violazione dell'art. 1242 c.c. La sua illustrazione esordisce riproducendo la seguente parte della motivazione della sentenza impugnata: "Il Tribunale mai ha affermato che, nella specie/operava compensazione ovvero che le enunciazioni negli scritti difensivi configuravano confessione/ma ha osservato come le asserzioni della spa Ergo Previdenza, relative alle sue contro pretese, non risultavano confortate dai necessari elementi probatori a sostegno. Difatti, partitamente il Tribunale ha esaminata la documentazione, dimessa dalla società appellante, e messo in risalto come, quella tempestivamente depositata, fosse di sua esclusiva provenienza quindi ina(da)tta ad assurgere a prova contro altri, mentre la restante, era inammissibile poichè tardivamente depositata".

Dopo la riproduzione si enuncia, quindi, testualmente che: "Come si ha modo di vedere, questa parte della motivazione parte dal presupposto, evidente, che Ergo Previdenza S.p.A. avrebbe avuto l'obbligo, oltre che di dichiarare la insussistenza di un proprio debito, (dichiarandosi - anzi - creditrice di (*) perchè il saldo contabile del cessato rapporto di agenzia evidenziava un suo credito e non un debito), fornire anche la prova del menzionato saldo".

Immediatamente dopo si sostiene che "l'assunto parte da un presupposto erroneo che determina, innanzitutto, la violazione del disposto dell'art. 2697 c.c.".

A tale enunciazione non segue alcuna attività argomentativa sul come e sul perchè quella norma sarebbe stata violata, ma fa seguito la riproduzione del principio di diritto affermato da Cass. n. 6760 del 2014 senza alcuna chiara attività argomentativa sulle ragioni della sua rilevanza. Infatti, a partire dal quarto rigo della pagina 24 e fino alle due righe della pagina 25 si coglie nel ricorso: a) la riproduzione di un passo della comparsa di risposta di primo grado, da cui si evince l'allegazione che nell'economia dello svolgimento del rapporto di agenzia fra (*) s.r.l. e ricorrente erano maturati a debito della prima Euro 1.014.612 a fronte di un credito per indennità di fine rapporto della medesima di Euro 587.385,35; b) la riproduzione anastatica di tre documenti senza indicazione del momento della produzione (con oggettiva violazione dell'art. 366 c.p.c., n. 6, che lo imponeva, giusta l'insegnamento di Cass., Sez. Un., nn. 28547 del 2009 e 7161 del 2010); c) quindi si espone la tesi che la ricorrente non avrebbe avuto alcun "onere probatorio nei confronti di Top Service s.r.l." e si sostiene che avrebbe dovuto essere essa, ove non avesse condiviso i "conti di dare-avere" esposti dalla qui ricorrente, a dover chiedere al Tribunale l'esibizione ai sensi dell'art. 210 c.p.c., "di tutta la documentazione contabile di supporto alla sua diversa affermazione (secondo cui (*) s.r.l. poi (*) s.a.s., sarebbe stata creditrice e non debitrice di Ergo Previdenza S.p.A.), senza trincerarsi - come ha fatto - dietro l'eccezione della tardività della ulteriore produzione documentale alla quale la Compagnia aveva proceduto, non essendo riuscita a reperire per tempo il complesso e voluminoso materiale, mentre confidava nella sospensione dei termini che - invece - la giurisprudenza di questa Corte esclude per questo tipo di procedure".

Dopo di che si sostiene quanto segue: " L'affermazione della Corte di merito, che ricalca la posizione del Tribunale di Verona, secondo cui sarebbe stato onere di Ergo Previdenza S.p.A. dimostrare l'effettiva esistenza delle partite attive che la Compagnia vantava a suo favore, mentre quelle che la stessa Compagnia vantava a favore di (*) s.a.s. avrebbero dovuto ritenersi come accertate, non ha fondamento giuridico, perchè, nella specie, non può affermarsi l'esistenza di una inversione dell'onere probatorio, in quanto, come già più volte detto e ribadito, non siamo in presenza di eccezione di compensazione (propria), sollevata dalla Compagnia convenuta nel giudizio di accertamento dell'obbligo, ma di una dichiarazione, riportata nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado, nella quale la Compagnia convenuta dichiarava di essere creditrice e non debitrice di (*) s.a.s., per cui non sollevava una eccezione di estinzione di un riconosciuto credito della debitrice esecutata, affermando, invece, un proprio credito, per cui rimaneva in capo all'attrice (ex art. 2697 c.c.) l'onere probatorio del fatto costitutivo, oggetto di un preciso suo onere probatorio e cioè della sussistenza di un asserito credito di (*) s.r.l. nei confronti di Ergo Previdenza S.p.A. L'affermazione della Corte di merito, secondo cui Ergo Previdenza S.p.A. avrebbe dovuto fornire la prova, come preteso dal Tribunale, dell'effettiva esistenza delle partite contabili, a suo favore avrebbe potuto avere un senso soltanto ove non si fosse trattato di una regolazione contabile, ma di una compensazione di crediti e debiti nascenti da diversi rapporti giuridici, nel qual caso poteva ritenersi acquisita la prova del credito di (*) s.r.l., e non anche dell'altro credito che la Compagnia avesse rivendicato. Essendo invece, come più volte detto, soltanto una questione di regolazione contabile nell'ambito del medesimo rapporto contrattuale, non si vede come possa affermarsi che i dati forniti da Ergo Previdenza S.p.A., sia con riferimento alla posizione dell'ex agente, sia alla posizione della Compagnia, possano essere validi soltanto per la parte che riguarda l'ex agente e non anche per la parte che riguarda la Compagnia. Ne consegue che i dati in questione possono essere valutati e considerati (al di fuori dell'onere probatorio a carico di Top Service s.r.l., terzo rispetto al menzionato rapporto di agenzia) soltanto sotto il profilo, già evidenziato dalla Compagnia nel giudizio di appello, di una confessione, deducibile dalla documentazione prodotta o anche attraverso le dichiarazioni del difensore di Ergo Previdenza S.p.A., nel qual caso la Corte di merito avrebbe dovuto attribuire alle partite attive e passive la stessa rilevanza; lo stesso dicasi se l'effetto confessorio lo si volesse riferire a quanto riportato dal difensore di Ergo Previdenza S.p.A. nella comparsa di costituzione di prime cure, sovra già ritrascritta e richiamata".

4.1. La prospettazione, pur non confessandolo, ha la pretesa di aggirare il rilievo di tardività del deposito della documentazione concernente il controcredito, ma è assolutamente priva di pregio: nella specie il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo pignorato (*) s.a.s. era stato introdotto dalla creditrice procedente per ottenere l'accertamento del credito pignorato. La qui ricorrente aveva dedotto che a tale credito, in quanto nascente da un rapporto di agenzia intercorso con la debitrice esecutata, se ne contrapponeva uno proprio, con la conseguenza che nella partita di dare/avere esso estingueva il credito pignorato.

Ora la prospettazione della ricorrente che non dovesse essere essa a dover dare dimostrazione del controcredito, in assenza di una sua mancata contestazione da parte della creditrice procedente, sfugge a qualsiasi comprensione, atteso che, quando il debitore convenuto per una pretesa creditoria deduce che essa deve ritenersi estinta per effetto dell'esistenza di un proprio controcredito, svolge attività di c.d. formulazione di un'eccezione, il che lo onera, ai sensi dell'art. 2697 c.c., di dar prova di essa, se il fatto che la integra non risulta incontestato. Ciò è tanto vero che l'art. 35 c.p.c., per il caso di contestazione del controcredito prevede che l'eccezione di compensazione si trasformi automaticamente in una domanda con effetti ai fini della competenza.

Quindi, la denunciata violazione dell'art. 2697 c.c., appoggiata poi ad irrilevanti considerazioni sulla distinzione fra compensazione propria ed impropria ed alla invocazione di quella che si chiama "regolazione contabile", è manifestamente priva di fondamento, là dove vorrebbe che l'onere di provare l'inesistenza del controcredito, contro la regola dell'art. 2697 c.c., incombesse sulla creditrice procedente.

Il principio di diritto che viene in rilievo è il seguente: "allorquando nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo il debitor debitoris sostenga che il credito pignorato del debitore esecutato nei suoi confronti si fosse estinto per compensazione all'atto del pignoramento, l'onere di dare dimostrazione del controcredito che avrebbe dispiegato l'effetto estintivo è a carico del debitor debitoris qualora il creditore procedente contesti l'esistenza del controcredito".

Il motivo, per come intestato, è, dunque, privo di fondamento.

4.2. Inoltre, come dimostra l'evocazione, nella parte finale dell'illustrazione riportata, della nozione di confessione complessa, cioè contenente anche dichiarazioni pro se, si risolve in una sollecitazione ad un riesame del materiale probatorio e degli atteggiamenti tenuti dai difensori delle parti in punto di ammissione, che esorbita dalla denuncia del vizio di violazione delle regole sull'onere della prova (sui cui limiti si veda, in motivazione, Cass. Sez. Un. n. 16598 del 2016). Tanto non senza che debba osservarsi che nella comparsa di costituzione trascritta a pagina 24 del ricorso si faceva riferimento ad un credito per l'indennità di fine rapporto pari ad Euro 587.385,34.

4.3. Mette conto di rilevare che, naturalmente nella vicenda fallimentare, ove ancora in corso, avuto riguardo alla circostanza che la ricorrente adduce di essersi insinuata nel passivo fallimentare, competerà al giudice fallimentare acclarare, interpretandola, se la sentenza qui impugnata, là dove ha escluso che la stessa ricorrente avesse dato dimostrazione del controcredito lo abbia fatto solo nel limite della soma fino a concorrenza del credito a suo tempo oggetto di pignoramento da parte della Top Service, oppure anche per l'eccedenza.

4.4. Infine, si rileva che, nella parte finale dell'illustrazione, si argomenta anche un "omesso esame circa documentazione nonchè di un fatto decisivo per il giudizio" e si sostiene che la corte territoriale avrebbe comunque omesso di esaminare i documenti prodotti tempestivamente con la comparsa di costituzione, dai quali emergeva la "regolazione contabile".

La censura evoca sia il n. 4 che il n. 5 dell'art. 360 c.p.c., ma, risolvendosi nella riproposizione di quanto argomentato nel terzo motivo, impinge negli stessi rilievi di inammissibilità svolti a proposito di esso in chiusura del paragrafo 3.1.

5. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato. La circostanza che il primo motivo abbia svolto considerazioni basate su un contrasto di giurisprudenza sebbene con termini temporali molto distanti fra loro, unita al fatto che la sentenza più recente non si faceva carico del precedente più lontano, che la dottrina era incline a condividere, implica giusto motivo per compensare le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2018.