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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19228 - pubb. 11/01/2018.

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Cassazione civile, sez. I, 15 Maggio 1997. Est. Pignataro.

Fallimento - Curatore - Poteri - Rappresentanza giudiziale - Autorizzazione a stare in giudizio per il fallimento - Portata - Estensione

Fallimento - Curatore - Poteri - Rappresentanza giudiziale - Autorizzazione a stare in giudizio per il fallimento - Suo sopravvento solo in sede di giudizio di appello - Efficacia sanante "ex tunc" - Sussistenza - Limiti


L'autorizzazione a promuovere un'azione giudiziaria, conferita, ex artt. 25, n. 6, e 31, legge fall., al curatore del fallimento, dal giudice delegato, copre, senza bisogno di una specifica menzione, tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento del previsto obiettivo principale del giudizio cui l'autorizzazione si riferisce. (massima ufficiale)

La mancanza di autorizzazione, da parte del giudice delegato, al curatore, perché svolga attività processuale (nella fattispecie: l'esperimento dell'azione revocatoria ex art. 64 legge fall.), essendo attinente all'efficacia di attività processuale nell'esclusivo interesse del fallimento procedente, è suscettibile di sanatoria, con effetto "ex tunc", anche mediante l'autorizzazione per il giudizio di appello, sempre - però - che l'inefficacia degli atti non sia stata, nel frattempo, già accertata e sanzionata dal giudice. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Archivio sentenze civili della Corte di Cassazione


Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Alfredo ROCCHI Presidente

" Angelo GRIECO Consigliere

" Alberto PIGNATARO Rel. "

" Luigi ROVELLI "

" Luigi MACIOCE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 13 febbraio 1989 il curatore del fallimento di Renzo Chiaramonte (dichiarato con sentenza del tribunale di Verona in data 17 luglio 1985) conveniva in giudizio, davanti allo stesso tribunale, l'avv. Valter Trevenzoli per sentirlo condannare al pagamento della somma di L. 44.250.000, oltre ad interessi e rivalutazione, previa dichiarazione di inefficacia della cessione di cinque vaglia cambiari emessi dalla s.r.l. a favore del Chiaramonte, da costui girati in bianco e pervenuti, tramite l'avv. Trevenzoli, a tale Giorgio Gallini che li aveva riscossi alle rispettive scadenze (30 settembre e 30 novembre 1985, 28 febbraio 1986). L'attore assumeva che la cessione dei titoli di credito all'avv. Trevenzoli, che non aveva apposto sugli stessi la firma di girata, non avendo alcuna giustificazione causale, era avvenuta a titolo gratuito in danno della massa dei creditori ed era revocabile ai sensi dell'art. 64 o 67 L. fall. Nella contumacia del convenuto che compariva per rendere l'interrogatorio formale, il tribunale adito, con sentenza del 18 febbraio 1991, dichiarava il difetto di legittimazione processuale del curatore del fallimento sulla considerazione che lo stesso era stato autorizzato dal giudice delegato a proporre azione revocatoria ai sensi degli artt. 44 o 67 L. fall. e non l'azione effettivamente proposta ai sensi dell'art. 64 della stessa legge; rigettava conseguentemente la domanda di convalida del sequestro conservativo concesso ed eseguito presso terzi in corso di causa in danno del convenuto.

Con sentenza del 24 giugno 1993 la corte d'appello di Venezia, in riforma della pronuncia di primo grado impugnata in via principale dal fallimento, accoglieva l'azione revocatoria ai sensi dell'art.64 L. fall., condannando il Trevenzoli al pagamento della somma di L. 44.250.000 oltre al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c. e convalidando il sequestro conservativo; rigettava conseguentemente, l'appello incidentale proposto dal Trevenzoli al fine di ottenere la condanna dell'appellante al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. La corte territoriale, per quanto interessa in questa sede, osservava:

- che l'autorizzazione del giudice delegato era stata data al curatore al fine di recuperare, con azione revocatoria, l'importo dei cinque vaglia cambiari a firma della s.r.l. Sarfin e che essa, pur se contenente solo il richiamo agli artt. 44 e 67 l. fall., doveva intendersi riferita anche alla previsione dell'art. 64 della stessa legge in mancanza di un espresso divieto al curatore di agire ai sensi di quest'ultima norma;

- che la domanda ex art. 64 l. fall., così come qualificata dal tribunale con statuizione passata in giudicato, non era stata abbandonata in appello dal curatore del fallimento;

- che la domanda stessa era fondata: a) poiché il Trevenzoli, nel rendere l'interrogatorio formale, aveva confessato di avere negoziato nel proprio interesse i titoli di credito in questione, avendoli consegnati al Gallini ed avendo ricevuto in cambio assegni di pari importo trattenuti dopo il protesto; b) in quanto l'acquisto di quei titoli da parte del Trevenzoli, essendo avvenuta la trasmissione con girata in bianco, era regolato dalle norme sulla cessione di credito ordinaria e non dai principi, tra cui quello dell'astrattezza, dettati per la circolazione cambiaria; c) perché dalle risultanze processuali non emergeva che lo stesso Trevenzoli, nel ricevere le cambiali, avesse dato al Chiaramonte un corrispettivo, di modo che l'acquisto doveva ritenersi avvenuto a titolo gratuito.

Per la cassazione di tale sentenza il Trevenzoli ha proposto ricorso basato su quattro motivi, al quale la curatela fallimentare ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 - Col primo motivo, denunziando violazione ed errata applicazione degli artt. 25 n. 6 e 31 l. fall., 75 c.p.c. nonché vizio di motivazione in relazione all'art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c., il ricorrente deduce che il curatore del fallimento di Renzo Chiaramonte non era legittimato ad esperire l'azione revocatoria ex art. 64 l. fall. - così come qualificata dal tribunale con statuizione non impugnata - poiché il giudice delegato aveva autorizzato la proposizione dell'azione con esclusivo riferimento agli artt. 44 e 67 della citata legge, limitando in tal modo il potere del curatore ad agire in giudizio.

Il motivo non merita accoglimento.

Preliminarmente deve osservarsi, contrariamente a quanto ha affermato il controricorrente, che il difetto di legittimazione processuale del curatore dichiarato dal tribunale di Verona per la ritenuta mancanza di autorizzazione ad esperire l'azione revocatoria ex art. 64 l. fall., non può ritenersi sanato con effetto "ex tunc" dall'ampia autorizzazione data al curatore dal giudice delegato col decreto in data 5 giugno 1991 per impugnare tale pronuncia "con il più ampio mandato in ordine ai diritti da far valere ....". Infatti, l'indicata mancanza di autorizzazione - essendo attinente all'efficacia dell'attività processuale nell'esclusivo interesse del fallimento procedente - è suscettibile di sanatoria con effetto "ex tunc" anche mediante l'autorizzazione per il giudizio d'appello, sempre che l'inefficacia degli atti non sia stata - come invece è avvenuto nella specie - già accertata e sanzionata dal giudice (v. Cass. n. 9035/1995, Cass. n. 3189/1993), poiché in tal caso la relativa pronuncia, essendo suscettibile di passare in giudicato se non specificamente impugnata, non può essere rimossa ove non sia stata riscontrata la sussistenza di vizi propri della pronuncia stessa i quali (debitamente denunciati con l'impugnazione) la rendano illegittima.

Ciò premesso, deve considerarsi che - come ha posto in rilievo la sentenza impugnata e come si desume dagli atti di causa direttamente esaminabili da questa corte vertendosi in tema di "error in procedendo" - il curatore chiese di essere autorizzato ad agire nei confronti del Trevenzoli per il recupero del controvalore dei cinque vaglia cambiari emessi dalla s.r.l. Sarcofin in favore del Chiaramonte poi fallito, evidenziando l'avvenuto trasferimento dei titoli dal fallito al Trevenzoli nel biennio precedente alla dichiarazione di fallimento senza che tale trasferimento trovasse una giustificazione opponibile alla massa fallimentare ed il giudice delegato concesse l'autorizzazione richiesta indicando espressamente, nel decreto emesso in data 9 novembre 1988, solo gli artt. 44 e 67 L. fall. Da siffatta indicazione non può desumersi - come vorrebbe invece il ricorrente - la volontà del giudice delegato di limitare i poteri del curatore, escludendo la proposizione dell'azione revocatoria ex art. 64 L. fall.. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa suprema corte (v., tra le altre, le sentenze n. 4558/1979, n. 2672/1983, n. 3453/1986, n. 9035/1995), l'autorizzazione a promuovere un'azione giudiziale ex artt. 25 n. 6 e 31 l. fall. conferita al curatore del fallimento dal giudice delegato copre, senza bisogno di specifica menzione, tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento del previsto obiettivo principale del giudizio cui l'autorizzazione si riferisce.

Tale obiettivo era costituito nella specie dal recupero all'attivo fallimentare del controvalore dei titoli di credito a firma Sarcofin consegnati dal Chiaramonte al Trevenzoli ed in relazione a tale obiettivo il riferimento in particolare all'art. 67 l. fall. contenuto nel decreto del giudice delegato si poneva come più ampio rispetto all'area di operatività dell'art. 64 della stessa legge, prevedendo quest'ultima norma l'inefficacia "de iure" degli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni alla dichiarazione di fallimento pure in assenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi riscontrabili nell'ambito del successivo art. 67.

Deve, quindi, ritenersi corretta la decisione impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza dell'autorizzazione al curatore ad esperire l'azione revocatoria anche con riguardo all'art. 64 l. fall.. 2 - Col secondo motivo, denunziando vizio di "extra o ultra" petizione ai sensi dell'art. 112 c.p.c., il ricorrente sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che la curatela fallimentare non avesse abbandonato nel giudizio d'appello la domanda proposta ai sensi dell'art. 64 l. fall., mentre dal contenuto dell'atto di appello emergeva che erano state proposte solo l'azione ex art. 44 l. fall. (dichiarata inammissibile siccome nuova dalla sentenza impugnata) e quella ex art. 67 della stessa legge.

Il motivo è infondato.

Nell'atto di appello proposto dal curatore del fallimento (ed esaminabile direttamente da questa corte in relazione al dedotto vizio avente natura di "error in procedendo") risulta specificamente formulata la censura relativa all'erroneità della affermazione circa la mancanza di autorizzazione a proporre l'azione ex art. 64 l. fall. (".... La richiesta avanzata riguardava quindi generalmente l'inefficacia del trasferimento rispetto al fallimento con richiesta di poter revocare tale atto. Di qui l'impossibilità di individuare a priori se trattavasi di fattispecie inquadrabile nella previsione dell'art. 67 o 64 l. fall.. Pertanto l'autorizzazione data deve intendersi non limitata strettamente alla previsione di cui all'art.67 l. fall. bensì estesa alle varie ipotesi legittimanti la revoca dell'atto").

La denunzia dell'errore sopra indicato era chiaramente finalizzata al conseguimento della pronuncia di revoca della cessione dei titoli di credito al Trevenzoli ai sensi dell'art. 64 l. fall. sulla base della qualificazione dell'azione data dal tribunale ed accettata dall'appellante, pur essendo prospettata dallo stesso appellante - come ipotesi alternativa - l'azione di cui all'art. 44 l. fall. (richiamata a pag. 3 sub c dell'atto di appello e ritenuta inammissibile siccome nuova dalla sentenza impugnata). Deve, pertanto, escludersi la sussistenza della dedotta violazione dell'art. 112 c.p.c. avendo il curatore del fallimento riproposto in appello l'azione revocatoria con riferimento all'art. 64 L. fall. 3 - Col terzo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt.2736 e 2738 c.c., 115, 116 e 238 c.p.c. nonché travisamento dei fatti da parte della corte territoriale. Al riguardo sostiene: a) che detta corte avrebbe male interpretato le dichiarazioni rese da esso Trevenzoli il 22 dicembre 1989 in sede di interrogatorio formale, poiché da tali dichiarazioni risultava chiaramente e contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata che il Chiaramonte aveva conferito mandato al medesimo Trevenzoli di trovare una persona che provvedesse allo sconto delle cambiali a firma Sarcofin senza cedergli direttamente i titoli di credito; b) che le affermazioni rese in sede di interrogatorio (da interpretarsi nel senso voluto dal ricorrente) erano state precedute dalla prestazione di giuramento sicché esse avevano valore di giuramento decisorio vincolante per il giudice.

Anche questo motivo non merita accoglimento.

La censura sub a) è inammissibile poiché con la stessa si deduce in sostanza un travisamento, da parte della corte d'appello, delle dichiarazioni rese dal Trevenzoli nel rendere l'interrogatorio formale.

È noto, infatti (v. "ex plurimis": Cass. n. 6038/1995, n. 6086/1991) che il travisamento dei fatti non può costituire motivo di ricorso per cassazione poiché, risolvendosi nell'inesatta percezione, da parte del giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile col mezzo della revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c.. La censura sub b) è infondata.

Come risulta dalla sentenza impugnata, al Trevenzoli non fu deferito dal curatore del fallimento il giuramento decisorio ma fu richiesto, ammesso ed espletato in primo grado l'interrogatorio formale diretto a provocare la sua confessione, effettivamente resa secondo la valutazione operata dalla corte d'appello ed insindacabile in questa sede di legittimità siccome sorretta da adeguata motivazione. La circostanza che il Trevenzoli abbia prestato giuramento prima di rendere l'interrogatorio (come se si trattasse di testimone) non può valere a trasformare detto mezzo di prova in quello del giuramento decisorio, postulando quest'ultimo mezzo istruttorio - avente natura di prova legale in ordine alla quale è esclusa qualsiasi discrezionalità da parte del giudice - il deferimento da una parte all'altra con le specifiche formalità previste dall'art.233 c.p.c. e l'espressa ammissione da parte del giudice.

4 - Col quarto motivo, denunziando violazione degli artt. 75 e 100 c.p.c. nonché vizio di motivazione su punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 dello stesso codice, il ricorrente addebita alla corte territoriale l'errore di avere ritenuto sussistente la legittimazione passiva di esso Trevenzoli per avere ricevuto in proprio ed a titolo gratuito dal Chiaramonte i titoli di credito in questione, omettendo di esaminare il documento in data 22 maggio 1984 sottoscritto dal Gallini (giratario dei predetti titoli), dal quale emergeva che quest'ultimo aveva ricevuto gli effetti cambiari a titolo oneroso per l'incasso e con "obbligo di trasmettere il netto ricavo".

Il motivo è infondato.

Il ricorrente, pur denunziando violazione di legge, si duole in sostanza dell'omesso esame, da parte della corte di merito, del documento sottoscritto dal Gallini e deduce, pertanto, un vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia. Ai fini della decisività del punto è richiesto un rapporto di causalità logica tra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data dal giudice alla controversia, tale da far ritenere, attraverso un giudizio di certezza e non di mera probabilità, che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della controversia. Nella specie il documento sopra indicato non appare decisivo dal momento che dal suo contenuto (come indicato nel ricorso per cassazione) non risulta che la dichiarazione fosse diretta al Chiaramonte anziché al Trevenzoli e che, pertanto, quest'ultimo non avesse ricevuto dal primo direttamente ed in proprio i titoli di credito poi consegnati al Gallini secondo la motivata ricostruzione della vicenda fatta dalla sentenza impugnata sulla base delle risultanze processuali (sopra indicata nella parte narrativa). In conclusione il ricorso va rigettato.

Per effetto della soccombenza il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in L. 212.030, oltre a L. 3.000.000 per onorari.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 1996.