Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18395 - pubb. 11/01/2017

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Cassazione civile, sez. I, 12 Settembre 1992, n. 10428. Est. Bibolini.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Cessazione - Chiusura del fallimento - Rigetto della relativa istanza - Impugnabilità per cassazione ex art. 111 Cost. - Esclusione



Il decreto con il quale il Tribunale fallimentare rigetti un'istanza di chiusura del fallimento , ancorché non soggetto a reclamo (previsto dall'art. 119 legge fall. per la sola ipotesi del decreto di chiusura), non è impugnabile per Cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di contenuto ordinatorio, come tale modificabile e revocabile, ed inidoneo ad acquistare autorità di giudicato. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Italo BOLOGNA Presidente

" Vincenzo BALDASSARRE Consigliere

" Giuseppe BORRÈ "

" Antonino RUGGIERO "

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

Geom. CANDITO ENRICO, elett. dom. in Roma, Piazza Zanardelli n. 20, presso e nello studio dell'Avv. Luigi Albisinni, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso per cassazione.

Ricorrente

contro

FALLIMENTO di CANDITO ENRICO, in persona del curatore.

Intimato

Avverso il decreto del Tribunale di Roma del 4-1-1988, notificato il 26-1-1988. Udita la relazione svolta dal cons. Gian Carlo Bibolini. Udito il P.M. Dr. Domenico Iannelli che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con istanza in data 24-12-1987 il geom. Candito Enrico chiedeva che il Tribunale di Roma dichiarasse la chiusura del proprio fallimento, essendosi verificata la fattispecie dell'art. 118 n. 1 L.F., in quanto lo stato passivo si era chiuso senza l'ammissione di alcun creditore per mancanza di domande ed erano state pagate le spese di giustizia nonché quelle della curatela.

Il Tribunale di Roma, nella veste di Tribunale Fallimentare, con decreto datato 4-1-1988 rigettava la predetta istanza. In particolare il Tribunale di Roma, dato atto che la situazione di fatto illustrata dal fallito corrispondeva al reale (e cioè che la verifica dello stato passivo si era chiusa per mancanza di domande, che le spese erano state soddisfatte ed inoltre che solo dopo la chiusura dello stato passivo l'INPS aveva proposto una domanda tardiva ex art. 101 L.F. per l'ammissione di un proprio credito di L. 600.000.000), riteneva competere al Tribunale una valutazione di opportunità per le determinazioni inerenti alla chiusura; nell'ambito dell'esercizio di detto potere, il Tribunale non riteneva opportuno dichiarare la chiusura del fallimento, in pendenza della domanda tardiva di insinuazione, pur riconoscendo che, secondo l'interpretazione della Suprema Corte, la sussistenza di una domanda di insinuazione al passivo non è preclusiva del potere di chiudere la procedura concorsuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Roma proponeva ricorso per cassazione il geom. Enrico Candito deducendo un unico motivo; non si è costituito con controricorso l'intimato fallimento.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudiziale all'analisi del merito del ricorso, inerente alla perentorietà del disposto dell'art. 118 n. 1 L.F. che precluderebbe qualsiasi discrezionale valutazione al fine del tribunale fallimentare, occorre vagliare l'ammissibilità del ricorso in virtù della natura e della funzione procedurale del decreto impugnato. Non essendo previsto nella legge fallimentare alcun mezzo di impugnativa del provvedimento di chiusura del fallimento, l'unica situazione normativa cui ricollegare, in ipotesi, la ricorribilità del decreto, è la disciplina costituzionale dell'art. 111 Cost., secondo una nozione di sentenza che, prescindendo dalla forma del provvedimento, caratterizza la nozione sostanziale di sentenza, ricorribile in quanto tale in sede di legittimità, mediante i requisiti sostanziali e coessenziali della decisorietà e delle definitività.

In particolare la definitività deve ravvisarsi nella mancata previsione di legge di qualsiasi forma di riesame del provvedimento, tale da rendere definitivo l'eventuale pregiudizio di diritti, sui quali il provvedimento stesso avesse attitudine ad incidere con efficacia di giudicato.

Conseguentemente, deve escludersi il carattere della decisorietà nei casi in cui la situazione, già oggetto del provvedimento, possa essere riesaminata dallo stesso organo, con la esclusione della possibilità di formazione di giudicato.

È questo il caso che si verifica nell'ipotesi del decreto di rigetto della richiesta chiusura di un fallimento, e per il quale la giurisprudenza costante di questa Corte (cui si ritiene di dovere dare continuità in mancanza di diversa e valida argomentazione da parte del ricorrente), insegna che il decreto con il quale il Tribunale rigetti un'istanza di chiusura del fallimento, ancorché non soggetto a reclamo (che la legge prevede per la sola ipotesi del decreto di chiusura), non è impugnabile per cassazione ai sensi del ricordato art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di contenuto ordinatorio, come tale modificabile e revocabile e non preclusivo di una nuova istanza del fallito, non idoneo in quanto tale ad acquistare autorità di giudicato (v. Cass. sent. 21-5-1975; sent. 28-4-1982 n. 2650). Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, non consegue delibera sulle spese, stante la mancata costituzione del fallimento.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso: nulla per le spese. Roma 1-7-1991.