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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18151 - pubb. 01/07/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 27 Febbraio 1992, n. 2420. Est. Bibolini.

Fallimento - Liquidazione dell'attivo - Vendita di immobili - Modalità - Sospensione - Potere discrezionale del giudice delegato - Configurabilità - Esercizio - Condizione - Esercizio successivo all'aggiudicazione - Legittimità - Limite temporale


In tema di liquidazione dell'attivo fallimentare, l'art. 108, terzo comma, legge fall. - secondo cui il giudice può sospendere la vendita immobiliare, quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto - assegna al giudice delegato un potere discrezionale esercitabile, alla stregua di una interpretazione estensiva di detta norma, anche dopo l'aggiudicazione, fino a quando non venga emesso il decreto di trasferimento del bene. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Italo BOLOGNA Presidente

" Vincenzo CARBONE Consigliere

" Giovanni OLLA "

" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "

" M. Rosario MORELLI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

S.R.L. INCO POLYMERS con sede in Milano, in persona dell'Amministratore Unico pro-tempore, elett. dom. in Roma, via Lucrezio Caro n. 12, presso l'Avv. Mario Ungaro che la rappresenta e difende, unitamente all'Avv. Adriano Ciccolini, giusta delega margine del ricorso.

Ricorrente

contro

FALLIMENTO DELLA S.P.R. NORD MILANO, in persona del curatore Luigi Zorloni, elett. dom. in Roma, Piazza Vescovio n. 21, presso l'Avv. Tommaso Monferoce (e studio Dr. Proc. Fabrizio Pavarotti) che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso.

Controricorrente

e

S.R.L. BRIANPADANA.

Intimata

avverso il provvedimento del Tribunale di Milano, emesso il 21-5-1987.

Udita la relazione svolta dal cons. Gian Carlo Bibolini;

uditi gli Avv.ti Ungaro e Monferoce i quali hanno rispettivamente chiesto l'accoglimento ed il rigetto del ricorso.

Udito il P.M. Dr. Giovanni Lo Cascio che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Un complesso immobiliare della soc. Nord. Milano, acquisito dal fallimento della stessa e valutato originariamente in L. 810.274.000, posto la prima volta in vendita a L. 950.000.000, (prezzo ridottosi dopo cinque tentativi di incanto a 325.000.000), veniva aggiudicato, in base a ordinanza di vendita senza incanto seguita da gara in data 18-4-1987, per il prezzo di L. 530.000.000 alla soc. INCO POLYMERS con decreto del giudice delegato in pari data.

Dopo detta aggiudicazione, il 17-4-1987 la s.r.l. SVE BRIAPADANA presentava un'offerta superiore di L. 100.000.000, rispetto al prezzo di aggiudicazione, ed un giudice, in sostituzione del giudice delegato, emetteva il 21-4-1987 provvedimento di sospensione della vendita ai sensi dell'art. 108 L.F.

La soc. INCO POLYMERS presentava reclamo al Tribunale di Milano, assumendo la lesione del proprio diritto soggettivo al trasferimento della proprietà e chiedendo la revoca della sospensione, reclamo che, peraltro, l'organo adito rigettava con decreto in data 21-5-1987. Il Tribunale, in particolare, articolava la motivazione del provvedimento su due punti essenziali attinenti, rispettivamente, ai limiti temporali e procedurali entro i quali il giudice delegato può esercitare il potere previsto dall'art. 180, comma 3 , L.F. ed inoltre ai criteri per la determinazione del "prezzo giusto", in relazione al quale determinare l'inadeguatezza del "prezzo offerto". Sul primo punto il Tribunale di Milano, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, ritenne che il potere indicato potesse essere esercitato dal giudice delegato fino all'emissione del decreto di trasferimento del bene; sul secondo punto il Tribunale richiamò il prezzo di stima originario del complesso immobiliare, rapportato al prezzo di aggiudicazione ed in relazione all'ulteriore prezzo offerto dalla s.r.l. BRIAPADANA.

Avverso detto decreto proponeva ricorso per Cassazione la s.r.l. INCO POLYNERS deducendo tre motivi; si costituiva con controricorso, integrato da memoria, la curatela fallimentare.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente la ricorrente dichiara di non ignorare l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo cui non sarebbe ricorribile in Cassazione il provvedimento del tribunale confermativo di quello del giudice delegato, sospensivo della vendita ed emanato ai sensi dell'art. 108 L.F., precisando peraltro che egli nella specie intende fare valere il proprio diritto perfetto al trasferimento della proprietà a seguito dell'aggiudicazione, sostenendo al fine il carattere decisorio del provvedimento impugnato.

L'Amministrazione fallimentare, per contro, eccepisce l'inammissibilità del ricorso per cassazione, in considerazione della natura meramente ordinatoria del provvedimento impugnato. La Corte, in conformità alle richieste del P.M., ritiene di dovere dichiarare ammissibile il ricorso in virtù della natura decisoria, oltre che definitiva, del provvedimento. Per cogliere il senso della decisorietà del provvedimento, confermativo di quello emesso dal giudice delegato al fallimento a norma dell'art. 108, 3 comma, L.F., occorre innanzi tutto evidenziare la natura della sospensione disposta.

Come è stato ben chiarito da apprezzate opinioni di dottrina, la sospensione della vendita (nella specie senza incanto), intervenuta dopo l'aggiudicazione, non ha nulla a che vedere con l'istituto degli artt. 295, 298 e 628 c.p.c., non ricollegandosi ad esso funzioni meramente interlocutorie o sospensive di un procedimento in atto, ma l'esplicazione di un ampio potere discrezionale del giudice delegato che può iniziare daccapo il procedimento di vendita, continuare il procedimento in atto a diverso prezzo base, passare ad altro tipo di vendita ovvero fermare l'intesa fase di liquidazione per la necessità di valutare possibilità concordatarie. La natura del provvedimento, quindi, in virtù della disposizione speciale di cui è espressione ed in considerazione delle finalità perseguibili, assume il carattere di una vera e propria revoca dell'ordinanza di vendita e, comunque, nel caso di specie caratterizzato dalla aggiudicazione già disposta, di revoca dell'aggiudicazione stessa. D'altra parte, la posizione dell'aggiudicatario, secondo la disciplina del codice di rito richiamata in linea generale dell'art. 105 L.F., non integra una mera aspettativa, ma una situazione giuridica tutelata secondo le cadenze del codice di rito che non prevede altra alternativa procedurale, dopo l'aggiudicazione (non trattandosi di vendita con incanto, nella specie non assume rilievo la disciplina dell'art. 584 c.p.c.) se non il pagamento del prezzo ed il trasferimento della proprietà del bene.

Qualora la sospensione ex art. 108, comma 3, L.F. fosse emessa al di fuori dei casi normativamente previsti, o perché si sia verificata una preclusione o per mancanza dei presupposti di fatto (sotto entrambi gli aspetti, nel caso di specie, si è svolta la contestazione dell'aggiudicatario originario), il provvedimento emesso al di fuori dei casi previsti dalla legge speciale, ed avente la natura sostanziale di revoca di un'aggiudicazione ormai disposta, sarebbe lesivo della situazione giuridica tutelata dell'aggiudicatario, ledendo il diritto dell'aggiudicatario stesso e delineando così la natura decisoria del provvedimento. Se ciò può affermarsi in relazione alla sospensione disposta dal giudice delegato, non diversa natura assume il provvedimento del tribunale in sede di reclamo, confermativo della stessa che, in mancanza di diversi mezzi di impugnazione, diverrebbe definitiva. Nella specie si controverte proprio sulla legittimità del provvedimento che ha posto nel nulla il decreto di aggiudicazione, per cui la questione proposta attiene proprio alla sussistenza, o no, della lesione di diritto indicata.

Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 105 e 108 L.F., nonché degli artt. 570, 571, 573, 574, 575 e 576 c.p.c. (art. 360 n.3 c.p.c.) oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), censurando l'impugnato provvedimento, sia sotto il profilo della violazione di legge, sia sotto quello della carenza motivazionale, per non essersi tenuto conto che dall'aggiudicazione, pur non sortendo effetti reali connessi al decreto di trasferimento, derivano pur tuttavia effetti obbligatori, tant'è che il legislatore del codice di rito ha usato proprio il termine di "vendita" per qualificare la fase che si conclude con il decreto di aggiudicazione: per cui la fase conclusiva della vendita sarebbe caratterizzata da due provvedimenti, di cui il primo (l'aggiudicazione) ha la valenza di un contratto ad effetti obbligatori, mentre al secondo si collegano gli effetti del trasferimento di proprietà.

In quest'ambito si inserirebbe, in tesi, la disciplina dell'art. 108, comma 3 , L.F., nella quale il prezzo "offerto" non può essere il prezzo successivo all'aggiudicazione, volta anche in detta fase non vi è più offerta di prezzo, ma solo obbligazione di pagarlo, con la conseguenza che in una fase processuale in cui non sia più attuale la proposizione o la pendenza di un'offerta, non sussisterebbe più il potere del giudice delegato di disporre la sospensione.

La tesi prospettata dal ricorrente ripropone argomentazioni interpretative che questa corte, con risalenti e costanti pronuncie, ha decisamente superato (9-11-1956 n. 4212, 18-4-62 n.. 755, Cass.23-5-79 n.. 2991, 2-4-1985 n.. 2259, sent. 31-3-1989 n.. 1580) secondo cui, in tema di liquidazione dell'attivo fallimentare, l'art.108, comma 3 , del R.D. 16 marzo 1942 n.. 267 assegna al giudice delegato un potere discrezionale esercitabile anche dopo l'aggiudicazione, fino a quando non venga emesso il decreto di trasferimento del bene.

La funzione pubblicistica inerente all'intera procedura fallimentare, ed alla sua fase liquidativa volta alla realizzazione massima per la soddisfazione dei creditori concorrenti, nonché l'impulso di ufficio ed il carattere autoritativo, che dominano la procedura, giustificano sia il superamento dell'interpretazione letterale dell'articolo citato consentendo, con un'interpretazione estensiva, di considerare il termine "vendita", cui applicare la sospensione, come indicativo dell'intero ciclo procedurale destinato a concludersi con il trasferimento della proprietà, sia il riconoscimento che l'espressione "prezzo offerto" utilizzata nel terzo comma dell'articolo citato, sia indicativo della normalità della sospensione, senza che da esso possano derivare preclusioni temporali all'esercizio del potere di sospensione prima che il ciclo procedurale di liquidazione, relativo al singolo bene, sia esaurito con il decreto di trasferimento (già in tale senso Cass. 9-11-1956 citata).

All'indirizzo giurisprudenziale richiamato, al quale il tribunale di Milano si è attenuto, si ritiene di dovere dare continuità, non essendo state esposte dal ricorrente argomentazioni diverse da quelle che, nelle citate sentenze, hanno già trovato costante ed adeguata risposta.

Con il secondo mezzo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 108 L.F. e 574 c.p.c. (art. 360 n.. 3 c.p.c.). A parte il settore del motivo con cui il ricorrente sembra ribadire che il giudice delegato aveva consumato il suo potere di intervento discrezionale con l'emissione dell'aggiudicazione (argomento che, in quanto ripetitivo, viene assorbito dal rigetto del primo mezzo), il ricorrente si duole del fatto che il giudice delegato abbia ritenuto il prezzo di aggiudicazione notevolmente inferiore a quello giusto, sulla base esclusivamente del prezzo offerto dalla soc. Briapadana successivamente all'aggiudicazione, mentre il giudice già prima dell'aggiudicazione stessa era in possesso di tutti gli elementi (valore di stima originario, esito dei precedenti incanti), in base ai quali valutare quale fosse il giusto prezzo. Non avere il giudicato delegato utilizzato detti elementi per sospendere la vendita prima dell'aggiudicazione, costituirebbe, in tesi, un errore non sanabile successivamente in base al nuovo elemento acquisito (la nuova offerta).

Anche il rilievo ora citato, se bene si sono comprese le ragioni addotte, si base sul presupposto che il giudice delegato alla procedura non abbia il potere di sospendere la vendita, una volta provveduto all'aggiudicazione, e trova la sua ragione di rigetto sulla stessa base svolta in relazione al primo motivo. Può ben sostenersi che il giudice delegato non possa determinare il giusto prezzo solo in base al mero fatto della maggiore entità offerta da un terzo; alla sospensione, peraltro, egli può procedere anche in considerazione di detto elemento, valutato in relazione ad ogni altra circostanza, tale da evidenziare che il prezzo di aggiudicazione sia notevolmente inferiore a quello giusto (v. Cass. sent. 27-7-1982 n.. 4329). A questo criterio si è attenuto il Tribunale di Milano, evidenziando come la giustezza del prezzo potè essere determinata dalla correlazione tra la nuova offerta, il prezzo originario di stima e l'esito dei vari incanti, con motivazione coerente ed immune dai vizi di diritto dedotti.

Col terzo mezzo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 25 e 108 L.F. (art. 360 n.. 3 c.p.c.), rilevando che il Dott. Barcella, che ha emesso il decreto di sospensione, non era il giudice delegato al fallimento, ma ha agito in sostituzione del delegato. Sostiene, in proposito, il ricorrente che il potere dell'art. 108 compete al giudicato delegato, non a chi lo sostituisce interinalmente per il disbrigo delle ordinarie incombenze non specificamente titolate. Si tratterebbe di nullità insanabile, rilevabile di ufficio, e non esaminata dal Tribunale in sede di reclamo.

La censura non merita accoglimento, ove si consideri che la delega da parte del tribunale ad un giudice per la direzione ed il controllo di una procedura fallimentare, con le inerenti funzioni giurisdizionali, non è altro che un particolare sistema, previsto dalla legge, per la assegnazione ad un giudice di un procedimento. Per i principi che regolano l'attività degli organi di giurisdizione, è ben possibile che il giudice cui sia assegnato un procedimento venga sostituito da altro per suo assoluto impedimento, a causa di assenza determinata da gravi esigenze di servizio ovvero per godere del normale turno feriale. Tale principio, in assenza di diversa disciplina specifica per il giudice delegato, non soffre eccezione o deroga rispetto agli atti di cui all'art. 108 L.F. Il fatto che, quindi, altro giudice abbia provveduto al posto del giudice delegato, lascia presumere che sia verificata una delle legittime ipotesi indicate, in mancanza di deduzione, da parte del ricorrente (il quale neppure aveva mosso doglianza sul punto in sede di reclamo), di espressa e diversa situazione.

In virtù della soccombenza, sul ricorrente debbono gravare le spese della presente fase processuale.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese della presente fase processuale L. 102.100 oltre a L. 2.000.000 per onorari di avvocato. Roma 24-10-1990.