Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18104 - pubb. 01/07/2010

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Cassazione civile, sez. I, 21 Ottobre 1993, n. 10421. Est. Sensale.


Fallimento - Organi preposti al fallimento - Tribunale fallimentare - Provvedimenti - Decisione dei reclami - Reclamo inerente ad atto esecutivo della procedura - Provvedimento relativo - Impugnazione con ricorso per Cassazione - Ammissibilità - Fattispecie



Contro il provvedimento del tribunale, che decide sul reclamo inerente ad atto esecutivo della procedura, è ammissibile il ricorso per cassazione , a norma dell'art. III Cost., per la stessa ragione per cui tale ricorso è ammesso nel processo esecutivo individuale contro la sentenza emessa ai sensi degli artt. 617 e 618 cod. proc. civ., e cioè perché la pronuncia sul reclamo risolve un incidente (di tipo cognitorio) sulla ritualità dell'atto esecutivo del giudice delegato (nella specie, trattavasi di reclamo contro il provvedimento con cui il giudice delegato dopo l'aggiudicazione e prima del trasferimento, aveva negato la sospensione della vendita di un complesso industriale, nonostante la presentazione di una nuova offerta in aumento). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Francesco FAVARA Presidente

" Antonio SENSALE Rel. Consigliere

" Salvatore NARDINO "

" Angelo GRIECO "

" Vincenzo CARBONE "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

DITTA MENCI GEREMIA ED SNC MORSILI ANGELO, elett.te dom.ta in Roma, V.le Bastioni di Michelangelo, 5-A, presso gli Avv.ti Giovanni Diurni e Antonio Diurni, che li rappresentano e difendono, giusta delega a margine del ricorso.

Ricorrente

contro

SOCIETÀ TIME-TECNOLOGIE INDUSTRIALI MECCANICHE ED ELETTRONICHE A R.L., elett.te dom.ta in Roma, Via Anapo, 29, presso lo studio dell'avv.to Dario Di Gravio che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso.

Controricorrente

e contro

SPA AVIOTECNICA (Fallita)

CURATORE DEL FALLIMENTO AVIOTECNICA SPA, BUSATO LAURA,

Intimati

Avverso il decreto del Tribunale di Roma - Sez. Fallimentare - depositato il 27.2.1990;

Sono presenti per il ric. l'avv. Diurni

Per il res. l'avv. Di Gravio

Il Cons. Dr. Sensale svolge la relazione

La difesa del ric. chiede l'accoglimento

La difesa del res. chiede il rigetto

Il P.M. dott. Martinelli conclude per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con provvedimento del 12 giugno 1989, il giudice delegato al fallimento della s.p.a. Aviotecnica, constatato che nessuna offerta era pervenuta per l'acquisto dei beni del fallito costituiti dall'intero complesso industriale, fissava un nuovo incanto al prezzo base di L. 800.000.000.

Risultava aggiudicataria la soc. Alena al prezzo di L. 860.000.000, ma il 21 ottobre 1989 Geremia Menci, titolare dell'omonima ditta, e la s.n.c. Morsilli Angelo E C. depositavano un'offerta di aumento del sesto, per cui il g.d. fissava un nuovo incanto, tenutosi il 16 gennaio 1990, all'esito del quale gli offerenti rimanevano aggiudicatari al prezzo di L. 1.200.000.000 e il 30 gennaio 1990 chiedevano l'emissione del decreto di trasferimento, dopo che, cinque giorni prima, la S.r.l. Time aveva offerto, per l'acquisto degli stessi beni, il prezzo di L. 1.300.000.000, depositando una cauzione di L. 180.000.000.

Su parere negativo del curatore, il g.d., con provvedimento del 1 febbraio 1990, riteneva l'insussistenza di validi motivi per la sospensione della vendita, non essendo sufficentemente cauzionata la nuova offerta e non essendo, questa, indicativa di una probabile aggiudicazione ad un prezzo notevolmente inferiore a quello giusto. Su reclamo della soc. Time, che aveva integrato il precedente deposito fino a L. 340.000.000 con espressa destinazione a cauzione di tale somma, il Tribunale sospendeva la vendita ai sensi dell'art. 108, 3 comma, della legge fallimentare, osservando: a) che esso aveva il potere di esaminare direttamente le circostanze costituite dall'aumento del deposito e della sua imputazione a cauzione; b) che l'aumento rappresentava un sicura indice della possibilità di alienare il bene ad un prezzo superiore a quello di aggiudicazione, c) che la sospensione della vendita fino al decreto di trasferimento è possibile anche quando la nuova offerta sia presentata senza il rispetto delle forme di cui al'art. 584 c.p.c.; d) che tale offerta rappresentava, in termini assoluti, un incremento notevole (L. 100.000.000); e) che il grande divario fra il valore di stima (L. 2.949.000.000) ed il prezzo di aggiudicazione (L. 1.200.000.000) e la proposizione della nuova offerta erano sintomo di un rinnovato e serio interesse degli operatori economici all'acquisto dei beni, tale da far presumete un rialzo del prezzo con l'apertura di un nuovo esperimento di vendita.

Contro tale provvedimento Geremia Menci e la s.n.c. Morsilli Angelo E. C. hanno proposto ricorso per cassazione in base a sei motivi.

La soc. Time ha resistito con controricorso, in cui ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'eccezione d'inammissibilità del ricorso, in quanto il provvedimento impugnato non avrebbe natura decisoria, è in contrasto con la evoluzione giurisprudenziale di questa Corte in materia e va disattesa.

Dopo alcune iniziali incertezze (v. sent. 18 aprile 1962 n. 755 e 15 novembre 1976, che negarono l'ammissibilità del ricorso per cassazione contro il provvedimento del tribunale confermativo della sospensione della vendita disposta dal g.d. a norma dell'art. 108, 3 comma, l.f., 3 dicembre 1974 n. 3939, che, invece, l'affermò; 10 giugno 1965 n. 1179, che, in tema di sospensione della vendita, ammise in ogni caso il ricorso per cassazione; 10 febbraio 1970 n. 316, che attribuì contenuto ordinatorio all'ordinanza di sospensione e decisorio all'ordinanza che dispone la vendita), la successiva giurisprudenza si è fermamente orientata nel senso dell'ammissibilità del ricorso ex art. 111 cost. contro i provvedimenti negativi o affermativi della sospensione della vendita, anche dopo l'avvenuta aggiudicazione ed il versamento del prezzo e prima del decreto di trasferimento (v. sent. 14 gennaio 1981 n. 322, 15 luglio 1984 n. 3934 e 27 febbraio 1992 n. 2420, con riguardo al provvedimento del tribunale confermativo della sospensione disposta dal g.d.; 22 novembre 1978 n. 5437; 11 maggio 1983 n. 3265, 10 dicembre 1991 n. 13258; 29 gennaio 1992 n. 930, con riguardo ad una fattispecie identica a quella in esame; 23 aprile 1992 n. 4893, che, in termini generali, ha affermato l'ammissibilità del ricorso contro il provvedimento del tribunale fallimentare che decide sul reclamo inerente ad atto esecutivo della procedura, per la stessa ragione per cui è ammesso - nel processo esecutivo individuale - contro la sentenza pronunciata ai sensi degli artt. 617 e 618 c.p.c., e cioè perché la pronuncia sul reclamo risolve un incidente, di tipo cognitorio, sulla ritualità dell'atto esecutivo del giudice delegato).

Alla stregua di tale indirizzo, il ricorso deve ritenersi inammissibile.

Con i primi due connessi motivi, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 101 e 737 e ss. c.p.c. e 23-26 del R.d. 16 marzo 1942 n. 267 (c.d. legge fallimentare), deducendo la violazione del principio del contraddittorio, in quanto essi non avevano avuto alcuna comunicazione dell'offerta in aumento e del reclamo al Collegio della soc. Time se non il giorno prima della discussione, e la violazione del diritto di difesa, per non essere stati posti nella condizione di esercitarlo, aggiungendo che in camera di consiglio doveva essere convocato anche il Comitato dei creditori, cointeressato non solo in sede di riparto dell'attivo, ma ogni volta che si vada ad incidere e decidere sugli aspetti patrimoniali del fallimento. Tali censure non hanno fondamento.

Come gli stessi ricorrenti sostanzialmente ammettono, nel procedimento camerale, e segnatamente in sede fallimentare, in cui vigono particolari esigenze di speditezza, la legge non stabilisce specifici termini a comparire, purché il contraddittorio risulti rispettato e il diritto di difesa sia assicurato, sì che, se i suddetti principi non subiscano concreto pregiudizio, le parti non hanno motivo di dolersi della brevità del termine loro assegnato. Nel caso concreto, non è dubbio che l'esercizio del diritto di difesa sia concretamente avvenuto, attraverso la discussione svoltasi in camera di consiglio e il deposito di difese; ne' gli odierni ricorrenti si sono avvalsi della facoltà di chiedere un ulteriore termine per un più approfondito esame della situazione (la cui negazione da parte del giudice avrebbe giustificato le doglianze ora prospettate), mostrando in tal modo di essere stati posti in condizione di far valere le proprie ragioni.

Quanto alla mancata convocazione in camera di consiglio del Comitato dei creditori, del quale l'art. 108, 1 comma, l.f. prescrive l'audizione solo se la vendita immobiliare sia disposta senza incanto, la giurisprudenza (da condividere), secondo la quale il tribunale è tenuto a sentire, oltre al reclamante, al fallito, al curatore e ad altri controinteressati che ne facciano richiesta, anche il Comitato dei creditori (sent. 14 marzo 1985 n. 1983 e 10 luglio 1987 n. 6019), trova ampia giustificazione nella materia in cui è stata affermata, ossia nella formazione dei piani di riparto, in cui vengono immediatamente e direttamente in gioco i diritti del ceto creditorio e, specificamente, quelli di ciascun creditore alla collocazione nella misura ammessa e con le riconosciute cause di prelazione, in modo da non vedere modificata in pejus tale collocazione o compromessa la possibilità di soddisfacimento totale o parziale del credito (in tal senso, sent. 9 luglio 1991 n. 7555). Ma, nei casi in cui tale interesse immediato e diretto non è configurabile e non è attribuibile una specifica legittimazione al Comitato dei creditori, questo, ai sensi dell'art. 41 l.f., riprende la veste istituzionale di organo consultivo, il cui parere può essere richiesto, oltre che nei casi previsti dalla legge (e, in tema di vendita immobiliare, solo se debba procedersi senza incanto), quando il tribunale o il giudice delegato lo creda opportuno, e non necessariamente per ogni singolo atto della procedura. Con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 586 c.p.c. e 26 l.f., sostenendo che il g.d., dopo avere rigettato la richiesta di sospensione della vendita con il provvedimento del 1 febbraio 1990, avrebbe dovuto emettere il decreto di trasferimento in favore di essi ricorrenti, aggiudicatari provvisori, oppure, in seguito al reclamo della Time, sospendere la vendita fino alla discussione di esso e solo in quest'ultimo caso avrebbe potuto evitare l'emissione del decreto di trasferimento. Con il quarto motivo, denunziandosi la violazione e falsa applicazione dell'art. 584 c.p.c., si deduce che non poteva essere sospesa la vendita in presenza di un aumento del prezzo inferiore ad un sesto.

Il Tribunale - si sostiene con il quinto motivo, con il quale viene denunziata la violazione e falsa applicazione dell'art. 587, 1 comma, c.p.c. - non avrebbe potuto considerare cauzione in senso tecnico la somma depositata dalla Time, in quanto la (eventualmente) mancata partecipazione di essa ai nuovi esperimenti di vendita non le avrebbe fatto perdere la cauzione, tale effetto potendo prodursi solo se, avvenuta l'aggiudicazione, non venga depositato, nel termine fissato dal giudice, il prezzo della vendita; ed avrebbe errato - si aggiunge, infine, con il sesto motivo denunciandosi la violazione e falsa applicazione dell'art. 108 l.f. - nel sospendere la vendita sulla base di un incremento del prezzo di sole L. 100.000.000, a fronte del quale il prezzo dell'aggiudicazione, a favore degli odierni ricorrenti, di L. 1.200.000.000 non appariva notevolmente inferiore al prezzo giusto.

In relazione alle censure ora riassunte deve osservarsi che il sospendere, oppur no, la vendita costituisce esercizio di un potere discrezionale attribuito al giudice delegato e, in sede di reclamo, al tribunale, esercitabile, pur se non ad libitum e con motivazione non inesistente o meramente apparente (attesi i limiti dei motivi prospettabili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 111 cost.), finché non sia emanato il decreto di trasferimento qualora, in base al loro discrezionale apprezzamento, ritengano che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto (sent. 10 febbraio 1970 n. 316; 23 maggio 1979 n. 2991; 14 gennaio 1981 n. 322; 26 ottobre 1981 n. 5580; 11 maggio 1983 n. 3265; 18 gennaio 1991 n, 486; 10 dicembre 1991 n. 13258; 27 febbraio 1992 n. 2420), atteso che l'art. 108, 3 comma, l.f. è rivolto ad assicurare la realizzazione del massimo valore pecuniario, a tutela degli interessi della massa e dello stesso debitore (sent. 2 aprile 1985 n. 2259). L'esercizio di tale potere (che a volte è stato svincolato perfino dai presupposti richiesti dall'art. 108, 3 comma, l.f.: v., in tal senso, sent. 4 febbraio 1992 n. 1209) è consentito anche senz'alcun riferimento al prezzo della precedente gara, potendo essere fissato un nuovo prezzo base (sent. 2259-85) e può ricollegarsi anche ad un'offerta in aumento del prezzo presentata dopo il termine di cui all'art. 584 c.p.c., essendo tale norma inapplicabile nella procedura concorsuale, perché incompatibile con l'esigenza di realizzare, attraverso la vendita coattiva, un ricavato conforme al comune interesse dei creditori (sent. 31 marzo 1989 n. 1580; 3 novembre 1992 n. 11887). Quest'ultima sentenza ha, inoltre ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 108, 3 comma, l.f. perché non viola il principio di uguaglianza, dato che la diversità del regime della vendita fallimentare, rispetto a quello dettato dal codice di rito per l'esecuzione individuale, trova razionale giustificazione nelle esigenze tipiche della procedura concorsuale, correlate alla tutela dell'interesse collettivo dei creditori, ne' contrasta con il precetto dell'art. 24 cost., considerato che la legge appresta specifici rimedi a tutela dei diritti dell'aggiudicatario. Alla stregua di tali principi, nessuna delle censure svolte dai ricorrenti può indurre alla cassazione del provvedimento impugnato. È evidente, che, formulata la maggiore offerta dalla soc. Time in data 25 gennaio 1990, il g.d. non era tenuto ad emanare il decreto di trasferimento a seguito dell'istanza a tal fine rivoltagli dagli aggiudicatari; ne' vi era tenuto fino a quando il tribunale non si fosse pronunciato sul reclamo proposto dalla Time contro il provvedimento di diniego del g.d. in data 1 febbraio 1990. È, del pari, evidente che l'offerta in aumento non fosse soggetta alla disciplina dell'art. 584 c.p.c. ne' per il tempo della presentazione ne' per l'entità dell'offerta; ed è del tutto irrilevante stabilire se il deposito effettuato dalla Time a garanzia della serietà della maggiore offerta fosse, oppur no, cauzione in senso tecnico, anche se la volontà in tal senso manifestata dalla offerente, vincolatasi ad attribuire alla somma depositata gli effetti propri della cauzione, è elemento correttamente valutato dal tribunale come indicativo, tra gli altri, delle prospettive di maggior realizzo che il nuovo esperimento di vendita avrebbe aperto. Infine, il provvedimento impugnato contiene, quanto al merito, un'adeguata motivazione circa la convenienza a procedere a nuova vendita, anche nella parte in cui ha ritenuto "notevole" l'incremento di L. 100.000.000 rispetto al prezzo ricavato nella precedente vendita, tale da non consentire la proposizione, ai sensi dell'art.111 cost., di censure, che, senza addurre la inesistenza e la mera apparenza della motivazione, tendono a sindacare l'esercizio, correttamente avvenuto, del potere discrezionale attribuito, in materia, al tribunale.

Pertanto, il ricorso dev'essere rigettato, con la condanna delle parti ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a favore dell'unica parte intimata, che vi ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, a favore della S.r.l. Time, in L. 75.000, oltre a L. P.Q.M.

6.000.000 per onorario di difesa.

Così deciso in Roma il 18 maggio 1993.