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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18076 - pubb. 01/07/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 15 Settembre 2000. Est. Plenteda.

Fallimento - Liquidazione dell'attivo - Vendita di immobili - Vendita senza incanto - Sospensione - Ammissibilità - Condizioni - Provvedimento esplicito e autonomo di sospensione - Necessità - Esclusione - Apertura di una nuova gara - Implicito provvedimento di sospensione della vendita - Configurabilità


In tema di liquidazione dell'attivo fallimentare, benché nella vendita senza incanto non trovi attuazione l'istituto dell'aumento del sesto di cui all'art. 584 cod. proc. civ., tuttavia è pur sempre consentito al giudice delegato sospendere la vendita ai sensi dell'art. 108 comma terzo legge fall. quando ritenga che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello "giusto"; tale sospensione non necessita di una espressa deliberazione, dovendo invece ritenersi implicitamente presupposta nel decreto di fissazione di una ulteriore gara intervenuto prima dell'esaurimento della vendita e dopo la presentazione di offerte in aumento, dovendosi, peraltro, specificare che, in questo caso, le offerte in aumento non rilevano come condizione di apertura una nuova gara, bensì come indici della sproporzione (per difetto) del prezzo raggiunto rispetto a quello "giusto" e quindi come presupposto per l'esercizio del potere discrezionale di sospendere (anche implicitamente) la vendita. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Pellegrino SENOFONTE - Presidente -

Dott. Donato PLENTEDA - Rel. Consigliere -

Dott. Giuseppe SALMÈ - Consigliere -

Dott. Salvatore SALVAGO - Consigliere -

Dott. Luigi MACIOCE - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

TRE EMME Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA presso la CANCELLERIA CIVILE della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato ONANO MARIO, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO INSERFRUTTY Srl, COMMERCIALE ORRÙ SpA;

- intimate -

avverso il decreto del Tribunale di CAGLIARI, emesso l'01/12/98;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/03/2000 dal Consigliere Dott. Donato PLENTEDA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Domenico NARDI che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Cagliari con decreto 1.12.1998 respinse i reclami proposti dalla società Tre Emme s.r.l. avverso i decreti del giudice delegato del fallimento della società Inserfrutty del 7.9 e del 7.10.1998, con cui era stata, rispettivamente, ammessa l'offerta in aumento ex art. 584 c.p.c. nella vendita senza incanto, intervenuta il 10.8.1998 per il prezzo di L. 1.650.000.000, in proprio favore, avente ad oggetto un capannone industriale in Selargius, con fissazione di una nuova gara per il 7.10.1998, ed era stato assegnato il compendio immobiliare alla società Commerciale Orrù per il prezzo di L. 1.930.000.000. Aveva rilevato la reclamante che, pur competendo al giudice delegato il potere di sospendere la vendita ex art. 108 L.F., non ne ricorressero nella specie i presupposti, giacché il prezzo offerto dalla Tre Emme non era sensibilmente inferiore a quello giusto.

Ha ritenuto il Tribunale che pur non trovando nella vendita senza incanto applicazione l'istituto dell'aumento di sesto, tuttavia è pur sempre consentita la sospensione della vendita, al fine del miglior realizzo possibile e questo potere, assegnato al giudice delegato, fosse esercitabile anche dal tribunale in sede di reclamo. A fronte di tale normativa e del principio fissato nell'art. 156 c.p.c.v, che impedisce la dichiarazione di nullità quando l'atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato, ha considerato la sospensione equivalente alla nuova vendita disposta dal giudice delegato; e con riguardo ad essa ha ritenuto che per quanto il prezzo iniziale di aggiudicazione fosse conforme al valore di stima, ciò non impedisse di accogliere una offerta di aumento, peraltro sensibile, essendo superiore del 17%, rivelatrice del superamento da parte del mercato di quel valore.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. la società Tre emme, con unico motivo; non si sono costituiti ne' il fallimento ne' la società Commerciale Orrù.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Denunzia la ricorrente la violazione degli artt. 112, 113, 584 e 156 c.p.c.; 104 ss. e 108 L.F. Posto che l'art. 584 c.p.c. non può trovare applicazione alla vendita senza incanto, nega la ricorrente che possa ravvisarsi nel decreto di fissazione della gara una sospensione della vendita ex art. 108 L.F., tanto più che il potere di sospensione non è esercitabile ad libitum dal giudice delegato e deve essere adeguatamente motivato, mentre nella specie non lo era stato affatto. Nega comunque che fosse consentito al tribunale di esercitare in sede di reclamo quel potere e, quand'anche ammesso, che il suo esercizio potesse avere effetti ex tunc e non dal momento del deposito della decisione; mentre, una volta che la sospensione era stata disposta, avrebbe dovuto quel giudice rinviare al giudice delegato per l'esperimento di una nuova vendita, che avesse consentito alla reclamante di parteciparvi. Peraltro errata sarebbe l'applicazione dell'art. 156 c.p.c., esso supponendo la esistenza di un provvedimento che, invece, a causa della assoluta mancanza di motivazione e della circostanza di essere atto del giudice e non di parte, era insuscettibile di sanatoria.

Conseguentemente, caduto il primo provvedimento, quello di aggiudicazione restava altrettanto caducato, ne' poteva essere convalidato dal tribunale, che, pronunziando oltre il limite della domanda e in violazione degli artt. 584 c.p.c. e 108 L.F., aveva disatteso il disposto degli artt. 112 e 113 c.p.c.. Il provvedimento impugnato è ricorribile ai sensi dell'art. 111 cpv. Cost., avendo della sentenza i caratteri della decisorietà e della definitività; esso, infatti, risolve un conflitto di diritti soggettivi, nel momento in cui impedisce all'assegnatario del bene, nel corso dell'esperimento della vendita senza incanto, la sua acquisizione e produce gli effetti del giudicato a fronte della mancanza di altri specifici rimedi (Cass. 1548/1999; 8099/1998). La censura va, tuttavia, respinta, perché infondata. Se corretta è la premessa giuridica da cui muove, erronei risultano i percorsi argomentativi e la conclusione che ne trae, con riguardo alla nullità del decreto di fissazione della nuova gara (7.9.1998) e di quello successivo della aggiudicazione (7.10.1998). È sicuramente condivisibile, ne' risulta negato dal provvedimento impugnato, l'assunto che non possa trovare applicazione alla vendita senza incanto l'art. 584 c.p.c., il quale è inserito nel corpo delle disposizioni che regolano la vendita con incanto e stabilisce che dopo l'aggiudicazione alla pubblica asta possono essere fatte offerte di acquisto, purché il prezzo offerto superi di un sesto quello già raggiunto. A nulla rileva che il secondo comma di tale norma richiami l'art. 571 e l'art. 573 c.p.c. - che disciplinano, rispettivamente, la presentazione delle offerte e la gara degli offerenti nella vendita senza incanto - atteso che presupposto dell'evento così regolamentato è l'esperimento dell'incanto, per il cui sviluppo, limitato alla fase successiva ad esso, il legislatore ha ritenuto di utilizzare come strumento più appropriato la normativa della vendita senza incanto.

Ciò posto, devesi però rilevare che anche in quest'ultimo procedimento liquidatorio trova applicazione l'art. 108 III° comma L.F., che consente al giudice delegato di sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello "giusto" (Cass. 665/1996; 11887/1992), poiché al fine dell'esercizio di detto potere "le offerte in aumento del prezzo rilevano non come condizioni per procedere ad una nuova gara, ma solo come indici della sproporzione - per difetto - del prezzo raggiunto dall'immobile rispetto a quello giusto, indipendentemente dalla forma e dalle modalità della vendita, nonché dall'osservanza della disciplina delle offerte successive all'incanto dettata dall'art. 584 c.p.c." (Cass. 11887/1992). Se tanto è incontrovertibile, senza pregio risulta l'assunto che il decreto di fissazione della ulteriore gara, emesso dopo che era stata presentata una offerta in aumento - quando la vendita non si era ancora esaurita, per esser mancato il decreto di trasferimento - non fosse legittimo, perché non consentito dalla normativa, e comunque non fosse idoneo ad integrare il provvedimento di sospensione previsto dall'art. 108 L.F.. Tale decreto più che integrare la sospensione implicitamente la suppone, perché, dando ulteriore corso alla procedura a suo tempo avviata e riaprendo una nuova gara, considera realizzato l'effetto di averne arrestato il primo esperimento liquidatorio. Nè rileva che sia mancata una espressa ed autonoma deliberazione del giudice delegato in ordine a tale sospensione, essendo della riapertura della gara presupposto logico giuridico o quanto meno indispensabile premessa il blocco della precedente fase, che della successiva costituisce un punto pregiudiziale, sussistendo tra la nuova gara e la sospensione della vendita un rapporto indissolubile di dipendenza, come pure non rileva che tale deliberazione risulti immotivata, avendo il giudice del reclamo integrando il decreto del primo giudice, espressamente apprezzato lo scarto - con giudizio insuscettibile del sindacato di legittimità - come congruo a giustificare la nuova gara, esplicitando, così le ragioni sottese al provvedimento reclamato. È dunque del tutto inconferente la deduzione in ordine alla inapplicabilità dell'art. 584 c.p.c., atteso che la presa d'atto della offerta in aumento - quale che fosse il fondamento normativo utilizzato dall'offerente, condiviso o meno dal giudice - oggettivamente equivalse alla sospensione, cui si associò, nell'unico provvedimento, la apertura della nuova gara, nella quale il compendio immobiliare fu assegnato, nel contesto della liquidazione senza incanto, alla società Immobiliare Orrù. Del pari infondato è l'assunto che la sospensione sia stata deliberata dal tribunale sicché non avrebbe potuto avere effetti se non ex nunc e cioè dalla data del suo provvedimento. Sebbene nel decreto impugnato un potere siffatto il giudice del reclamo abbia per sè riconosciuto, la enunciazione appare piuttosto rivolta a significare l'ampiezza del potere di sospendere, in ogni momento, in qualunque procedimento liquidatorio e persino in sede di reclamo ex art. 26 L.F. dal tribunale (Cass. 486/1991), e tanto con riferimento alla esigenza di affermare che anche nella specie, pur vertendosi nella fattispecie della vendita senza incanto, la sospensione poteva essere correttamente disposta. Ed infatti detto provvedimento finisce per attribuire al decreto reclamato l'effetto sospensivo, rilevando che l'atto aveva contenuto precettivo identico a quello che consegue all'esercizio del potere di cui all'art. 108 L.F. e "che, pur senza procurare la sospensione o la revoca, è stata disattesa la precedente aggiudicazione e disposta una nuova vendita senza incanto".

Alla stregua delle considerazioni che precedono, perde rilevanza l'argomento del decreto impugnato - censurato dalla ricorrente - secondo cui avrebbe ragione di essere applicato il principio della convalidazione dell'atto nullo o della sua conversione per raggiungimento dello scopo, di cui all'art. 156 III° comma c.p.c.; non tanto perché, come afferma la ricorrente, l'atto del giudice non sia suscettibile di sanatoria, essendo l'assunto contraddetto dall'ampia portata della norma citata, che riguarda tutti gli atti processuali, (Cass. 1729/1998; 68/1995; 2326/1993; 4336/1992), sia quelli che costituiscono (generalmente atti di parte) che quelli che definiscono (generalmente atti del giudice) il rapporto processuale; quanto per il fatto che esso suppone una nullità, che non è dato rinvenire, poiché, al di là del referente normativo utilizzato dalla ricorrente (art. 584 c.p.c.) o più correttamente utilizzabile (art. 108 L.F.), il provvedimento del 7.9.1998, cui seguì quello di assegnazione del 7.10.1998, fu, come ha ritenuto il giudice del reclamo, correttamente emesso, in relazione alla funzione di acquisire maggiori risorse all'attivo fallimentare. Il ricorso va pertanto respinto; nulla va disposto con riguardo alle spese del processo, in difetto di costituzione della controparte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Roma, 28.3.2000.

Depositata in cancelleria il 15 settembre 2000.