Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 16605 - pubb. 26/01/2017

Ostruzionismo dell’amministrazione alla conclusione di un procedimento autorizzatorio e risarcimento del danno

T.A.R. Liguria, 20 Novembre 2015. Est. Vitali.


Responsabilità civile – Comune – Obbligo di concludere il procedimento – Ostruzionismo – Risarcimento del danno – Fattispecie

Responsabilità civile – Interpretazione contrastante della legge – Errore – Scusabilità – Condizioni

Danni in materia civile – Ordinaria diligenza – Necessità di esperire tutti gli strumenti di tutela – Necessità di proporre anche il ricorso per ottemperanza



L’ostruzionismo dell’amministrazione alla conclusione di un procedimento autorizzatorio dà diritto al risarcimento del danno, quando l'amministrazione non disponga di margini di discrezionalità in relazione al rilascio dei provvedimenti richiesti (nella specie l'amministrazione non aveva provveduto, nonostante l’accertamento giudiziale della fondatezza della pretesa a un permesso di costruire,). (1) (Andrea Romano) (riproduzione riservata)

Divergenze giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, testimoniate da una pronuncia favorevole all’amministrazione in primo grado ma poi riformata in appello, non sono sufficienti per identificare un errore scusabile che escluda la responsabilità dell’amministrazione. (2) (Andrea Romano) (riproduzione riservata)

Non spetta al cittadino il risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, se il danno si sarebbe potuto evitare con l'ordinaria diligenza, anche esperendo tutti i mezzi di tutela previsti dall’ordinamento, quale il giudizio di ottemperanza. (3) (Andrea Romano) (riproduzione riservata)


Segnalazione di Andrea Romano


Il testo integrale





(1) Principio pacifico a seguito della storica sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione del 22 luglio 1999, n. 500, Foro it., 1999, I, 2487, con nota di A.PALMIERI – R.PARDOLESI, e della successiva produzione legislativa (art.7 l. 21 luglio 2000, n. 205, art.7 l. 18 giugno 2009, n.69, che ha introdotto l’art. 2-bis alla l. 7 agosto 1990, n. 241, e l’ultimo approdo normativo costituito dall’art. 30, comma 2, primo periodo, d.leg. 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.) con la quale è stata riconosciuta la risarcibilità del c.d. illecito provvedimentale, ovvero del danno ingiusto di natura patrimoniale, derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa.

Nel caso in esame il Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza 7 febbraio 2012, n. 655, id., Rep. 2012, voce Ambiente (tutela dell’), n. 163, in riforma di Tar Liguria 11 febbraio 2011, n. 265, www.giustizia-amministrativa.it, aveva già accertato il diritto del privato di vedere portato a compimento il procedimento di autorizzazione a realizzare ed esercire una centrale a biomasse, nonché aveva disposto che il comune rilasciasse il necessario titolo edilizio, previa stipulazione della convenzione urbanistica e presentazione dell'atto di asservimento, ove non si fosse ritenuto che la precedente autorizzazione unica provinciale avesse efficacia assorbente, ex art.12, commi 3 e 4, d.leg. n. 387 n. 2003, del titolo edilizio stesso; in ogni caso era richiesto, anche in tale ultima ipotesi, un atto di assenso da parte del comune, atto che invece non veniva manifestato. Per tali ragioni il privato si rivolgeva nuovamente al Tar ligure, questa volta per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’ostruzionistica condotta del comune, sul presupposto del precedente accertamento del suo interesse legittimo pretensivo alla realizzazione dell'impianto de quo.

Nella fattispecie, in particolare, si verte in ipotesi di risarcimento danni per lesione di interesse legittimo pretensivo a seguito di mancato esercizio di attività amministrativa della p.a., vincolata non ab origine, ma a seguito della consumazione del potere discrezionale in capo all’amministrazione in forza di precedente accertamento giudiziale; non si pongono dunque nella specie i problemi recati dall’ampio dibattito in materia di risarcimento danni a seguito di attività discrezionale che involge il non semplice problema della spettanza o meno del bene della vita sulla base di categorie prognostiche (si veda, in materia di risarcibilità del danno da perdita di chance, specie in tema di aggiudicazione di contratti pubblici che ne costituisce esempio paradigmatico, Cons. Stato, sez. V, 30 giungo 2015, n. 3249, Foro it., 2015, III, 440, con nota di richiami e nota di TRIMARCHI BANFI [id., 2015, III, 442]).

La sentenza in esame fa piena applicazione dei principi ormai consolidati nella giurisprudenza amministrativa in ordine alla natura giuridica e agli elementi costitutivi della responsabilità dell'amministrazione in materia di illecito provvedimentale, incluso il ritardo nell'attivazione e conclusione del procedimento amministrativo, nonché circa la consistenza dell'onere probatorio che incombe sulla parte che propone domanda di risarcimento del danno davanti al giudice amministrativo (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, ad. plen., 19 aprile 2013, n. 7, Foro it., Rep. 2013, voce Giustizia amministrativa, n. 1090; sez. V 12 giugno 2012, n. 1441, www.giustizia-amministrativa.it; sez. IV 22 maggio 2012, n. 2974, Foro It., Rep. 2012, voce cit., n. 467; 2 aprile 2012, n. 1957, id., voce, Concorso a pubblico impiego, n. 50; sez. III 30 maggio 2012, n. 3245, www.giustizia-amministrativa.it; Cass., sez. un., ord. 23 marzo 2011, n. 6594, Foro it., 2011, I, 2387, con nota di A. TRAVI.).

Per un'ipotesi in cui non è necessario provare la colpa della p.A., che, ai sensi della direttiva 89/665/Cee, modificata dalla direttiva 92/50/Cee, risponde a titolo di responsabilità oggettiva, si veda la materia del risarcimento da illecito mancato affidamento di appalto (Cons. Stato, sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6450, in id., 2015, III, 299, con nota di SANTORO).

La giurisprudenza assolutamente maggioritaria richiede la necessità del preventivo riconoscimento giudiziale della spettanza del “bene della vita” per accedere alla tutela risarcitoria. Si veda, sez. V 25 marzo 2016, n. 1239, www.giustizia-amministrativa.it, che afferma che il solo ritardo nell'emanazione di un atto è elemento sufficiente per configurare un danno "ingiusto", con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell'amministrato, quando tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario o se sussistano fondate ragioni per ritenere che l'interessato avrebbe dovuto ottenerlo.

(Sulla necessità del riconoscimento della spettanza del “bene della vita” anche con riguardo agli interessi oppositivi: sez. V 28 aprile 2014, n. 2187, Foro it., Rep. 2014, voce Responsabilità civile, n. 233).

Tale indirizzo è stato inaugurato a partire da Cons. Stato, ad. plen., 15 settembre 2005 n.7, id., 2006, III, 1, con nota di SIGISMONDI, che ha sopito solo parzialmente il dibattito sulla risarcibilità o meno del solo interesse procedimentale, correlato cioè esclusivamente al rispetto di norme di condotta da parte dell’amministrazione indipendentemente dalla spettanza del bene della vita. Secondo l’adunanza plenaria, chiamata a esprimersi a seguito della rimessione disposta con ordinanza della IV sezione del 7 marzo 2005 n.875, in id., Rep. 2005, voce Responsabilità civile, n. 296, è risarcibile l'interesse legittimo pretensivo nelle forme del danno da ritardo, solo in caso di intervenuto accertamento giudiziale della "mancata emanazione o il ritardo nella emanazione di un provvedimento vantaggioso per l'interessato (suscettibile di appagare un "bene della vita")”. Tale principio è stato nella sostanza ribadito da Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2009 n. 242, III, 439, con nota di richiami e nota di MENZELLA (id., 2009, III, 447; v. ivi per una disamina completa degli elementi fondanti la responsabilità civile della p.a. da illecito provvedimentale).

Anche la giurisprudenza più recente è orientata nel senso di escludere la risarcibilità del danno identificabile nella sola lesione dell’interesse procedimentale alla tempestiva conclusione del procedimento a prescindere dalla spettanza del bene della vita, rilevandosi che, ai fini del risarcimento, è necessario verificare la sussistenza delle condizioni di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito) e di carattere soggettivo, alla stregua della clausola generale di responsabilità di cui all'art. 2043 c.c. (v. Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 2015, n. 1287, in Ragiusan, 2015, fasc. 374, 37; sez. VI 4 marzo 2015 n. 1068, in Foro it., Rep. 2015, voce Danni civili, n.135; sez. IV 18 novembre 2014 n. 5663, in ; 1° luglio 2014, n.3295, in ibid.; sez. V 27 dicembre 2013, n. 6260, in Foro it., Rep. 2014, voce Responsabilità civile, n. 219. Per una carrellata delle sentenze di primo grado si vedano, Tar Lazio, Roma, Sez. II, 8 aprile 2015 n. 5150; Tar Basilicata, 22 ottobre 2015 n. 647; Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 14 maggio 2015, n. 388 e Tar. Umbria, 9 marzo 2012, n. 80, Tar Puglia, Bari, sez. III, 14 maggio 2015 n. 709; Tar Sardegna, sez. II, 23 aprile 2015 n. 719; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 16 marzo 2015 n. 729; Tar Abruzzo, Pescara, 4 dicembre 2014 n. 490, tutte in www.giustizia-amministrativa.it).

Per la sezione V (v. sent. 13 gennaio 2014, n. 63, Foro it., Rep. 2014, voce Responsabilità civile, n. 223), se è vero che l'art. 2 bis della l. n. 241/1990 rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle Pubbliche amministrazioni, stabilendo che esse e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, tuttavia, la richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole, l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi "iuris tantum", in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda sia di carattere oggettivo, sia di carattere soggettivo.

In alcune decisioni sembrerebbe invece risarcibile il c.d. danno da mero ritardo, identificabile nella lesione dell’interesse procedimentale alla tempestiva conclusione del procedimento a prescindere dalla spettanza del bene della vita (in apparente contraddizione con il principio espresso da ad. Plen. N. 7/2005 cit., secondo cui l’intervenuto riconoscimento di avere provveduto in ritardo sulla istanza del privato non comporta, per ciò solo, la ristorabilita’ dei relativi danni).

Esempio ne è la pronuncia della sez. III 30 aprile 2014, n. 2279, ibid., n. 237 in cui è stato affermato che il ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo ed il mancato rispetto dei tempi certi del procedimento rappresentano un danno «ingiusto», sia se il bene preteso risulterà poi dovuto, sia nel caso in cui lo stesso venga negato, posto che l’incertezza sull’esito del procedimento, protratta oltre i limiti previsti dalla legge per la sua conclusione, impedisce o comunque rende più complessa la predisposizione di programmi o scelte diverse ed alternative. Occorre tuttavia rilevare come in tale fattispecie il Tar Lazio, Roma, sez. I, 3 luglio 2013, n. 7871, www.giustizia-amministrativa.it, al punto 3.2.2 della motivazione (nella decisione poi parzialmente riformata dal Consiglio di Stato) abbia dato conto che la ricorrente avesse dedotto e documentato che il (mero) ritardo dell’Amministrazione nell’evasione della richiesta aveva determinato la “perdita dell’utenza (80% dell’ascolto in fascia buona) e conseguente severa riduzione della raccolta pubblicitaria, con ... perdita di ricavi pubblicitari annui”. E’ stato anche riconosciuto da Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406, ibid., obiter dictum, che il danno da ritardo potrebbe, in via teorica, sussistere anche nel caso di legittimità della statuizione finale reiettiva.

In conclusione, sicuramente può affermarsi la risarcibilità del danno per il ritardo (naturalmente con tutti i suoi presupposti oggettivi e soggettivi) nei casi in cui sia certo che l’amministrazione debba accogliere l’istanza del privato.

Incertezze permangono ancora invece laddove, fornita risposta negativa al giudizio di spettanza del bene, tuttavia il mero ritardo dell’Amministrazione abbia provocato un danno al cittadino, (si vedano sul punto le obiezioni sollevate, nella già citata nota di SIGISMONDI, ad adunanza plenaria n. 7/2005 cit., in merito all’elusione da parte del massimo consesso amministrativo della questione [centrale nell’ordinanza di rimessione] relativa alla consistenza degli interessi procedimentali e alla correlativa loro autonoma risarcibilità).

In entrambi i casi, però, non appare configurabile un mero automatismo tra illegittimità del silenzio e presupposto soggettivo della tutela aquiliana, in quanto diversamente opinando si trasformerebbe il risarcimento (quale misura ripristinatoria di una situazione giuridica lesa) in una forma esclusiva di sanzione, che muove da presupposti del tutto diversi, specie in punto di quantificazione della misura del dovuto, che dovrebbe essere predeterminato per legge o comunque sulla base di essa (così Tar Lazio, sez. II, 12 aprile 2016, n. 4329, ibid.). Ciò che dunque può dirsi sicuramente esclusa è la risarcibilità del mero ritardo senza che lo stesso abbia determinato anche una correlativa (e dimostrata) diminuzione patrimoniale, rientrando al più tale ipotesi – ricorrendone i presupposti – nella diversa e marginale fattispecie di cui all’art.2-bis, comma 1-bis, l. 241/1990.

In ogni caso, tali diverse affermazioni, non concludono per l’esistenza di “forme” diverse di risarcimento del danno (danno da ritardo, danno da c.d. mero ritardo), quanto piuttosto di diverse interpretazioni delle condizioni della responsabilità dell’Amministrazione e dunque dei presupposti della risarcibilità del suo operato (TRAVI).

Nel vasto panorama giurisprudenziale in merito alla casistica sulla risarcibilità dell’illecito provvedimentale, si segnalano: Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675, Foro it., Rep. 2015, voce Responsabilità civile, n. 203, secondo cui l’annullamento per vizi formali del provvedimento non contiene alcun accertamento sulla “spettanza”, non consentendo pertanto di fondare la pretesa risarcitoria; 22 gennaio 2015, n. 252, ibid, n. 202, ove si introduce la distinzione, a fini risarcitori, tra l’illegittimità formale, che non contiene alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, e illegittimità sostanziale, laddove invece il vizio provvedimentale costituisce titolo risarcitorio purché risulti provata la spettanza del bene della vita (nello stesso senso, 22 gennaio 2014, n. 318, id., Rep. 2014, voce cit., n. 225 e sez. VI 11 dicembre 2013, n. 5938, ibid., n. 215) Per sez. IV 4 giugno 2014, n. 2856, ibid., n. 240, il giudice, al fine del decidere la causa di risarcimento, può valutare elementi ostativi al riconoscimento del danno verificatisi anche molti anni dopo l’adozione del provvedimento illegittimo, qualora idonei ad escludere l’esistenza del pregiudizio.

 

(2) Circa la questione se la presenza di una pronuncia di primo grado favorevole all’Amministrazione, poi riformata in appello, integri o meno la fattispecie del contrasto giurisprudenziale al fine della scusabilità dell'errore sotto il profilo dell’elemento psicologico, si veda Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5100, in Ragiusan, 2010, 315-316, 100. Qui si afferma il principio per cui il contrasto di soluzioni offerte in primo ed in secondo grado non basta ad escludere il presupposto della colpa dell’amministrazione, poiché altrimenti si finirebbe per ravvisare la sussistenza della colpa nelle sole ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi del giudizio, dandosi così valore decisivo al giudizio di primo grado; nello stesso senso Tar Sicilia (Catania), sez. I, 10 dicembre 2008,  n. 2338, in www.giustizia-amministrativa.it, laddove tuttavia si pone l’accento, ai fini della ricerca dell’elemento soggettivo, non tanto sull’esito dei giudizi, quanto sulla suscettibilità di varia interpretazione della normativa applicata nel caso controverso e sull’uniformità degli orientamenti giurisprudenziali (Sulla nozione di colpa della p.A., si veda S. CIMINI, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, Torino, 2008, 377 segg., secondo cui essa va ricercata non tanto nella inosservanza delle norme la cui violazione ha portato al vizio del provvedimento [che rileva sotto il profilo dell’ingiustizia del danno], quanto nella trasgressione delle regole di condotta il cui rispetto avrebbe potuto evitare il pregiudizio al terzo.).

Ritiene il tribunale ligure che, laddove si fornisse sistematicamente risposta affermativa a tale argomentazione, si dovrebbe concludere che il giudice amministrativo di appello non potrebbe mai — riformando gli esiti della pronuncia di primo grado — riconoscere un danno ingiusto, poiché l'esistenza di una sentenza di primo grado di segno favorevole sortirebbe sempre e comunque l'effetto di sterilizzare, nel senso del contrasto di giurisprudenza, la valenza della pronuncia di appello, ciò che si porrebbe in contrasto con il canone della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale di cui all'articolo 24 Cost. Invero spetta all’Amministrazione provare l’assenza di colpa, dimostrando l’errore scusabile, ove si accerti che essa è stata indotta in errore da equivocità del dato normativo, da contrasti giurisprudenziali, da interpretazioni divergenti fornite da altri organi, dalle risultanze istruttorie ovvero dalla complessità del fatto concreto (v., ex pluribus, e da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2016 n. 1584, che ha riconosciuto esistenza dell'errore scusabile derivante da un contrasto interpretativo in ordine a cosa si intende per inizio di lavori; sez. IV 6 aprile 2016,  n. 1347; sez. III 28 luglio 2015,  n. 3707;  1° aprile 2015 n. 1717, tutte in ibid).

Sulla scusabilità dell’errore, si veda in dottrina, F. TRIMARCHI BANFI, L’elemento soggettivo nell’illecito provvedimentale, in Dir. amm., n. 1/2008; S. CIMINI, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, cit., 440 segg., il quale, contestando l'atteggiamento della giurisprudenza amministrativa che allorché rileva la complessità della questione affrontata dal soggetto pubblico automaticamente ne esclude del tutto la colpa ritenendo l'errore scusabile, con ciò creando vere sacche di impunibilità per la p.A., sostiene che essa invece vada verificata caso per caso, anche scrutinando l'operato del dipendente pubblico che ha concretamente agito, sorgendo in tali situazioni una fattispecie riconducibile nello schema della colpa professionale ex art. 2236 c.c. che circoscrive le ipotesi di responsabilità alla colpa grave, ma non le esclude tout court. Laddove invece l'attività amministrativa non sia complessa, bensì routinaria, rileva l’Autore, la prova liberatoria che deve fornire la p.A. onde andare esente da responsabilità è quella del caso fortuito o della forza maggiore.

In giurisprudenza: Cass. Civ., sez. III, 28 ottobre 2015, n. 21931 in Foro it., Rep. 2015, voce Responsabilità civile, n. 229, circa l’esclusione di colpa della P.A. laddove il comportamento di quest’ultima risponda a prassi consolidata avallata da normativa regolamentare e precedenti giurisprudenziali; sez. III 6 ottobre 2015, n. 19883 in id., 2016, I, 604, con nota di richiami, dove si precisa che la diligenza esigibile dalla P.A. è diversa da quella media, richiedendosi efficienza, zelo, solerzia e conoscenza della legge; sez. VI 5 marzo 2015, n. 1099, id., Rep. 2015, voce cit., n. 207 e sez. VI 4 marzo 2015, n. 1053, ibid., n. 206, dove si afferma che l’illegittimità dell’atto vale come presunzione semplice di colpa, spettando alla P.A. la dimostrazione che trattasi di errore scusabile; ancora, sez. IV 12 giugno 2009, n. 3727, in id., Rep. 2009, voce Espropriazione per pubblico interesse, n. 79, circa l’insussistenza di responsabilità della P.A. in caso di contasti giurisprudenziali di così ampia portata da dover poi essere risolti da una pronuncia dell’adunanza plenaria.

Nella specie si tratta di c.d. “colpa di apparato”, secondo la definizione scolpita nella sentenza n. 500/1999 cit. e seguita dalla giurisprudenza successiva, imputabile cioè non al singolo funzionario che ha posto in essere la condotta lesiva, bensì alla P.A. come struttura organizzata, la quale è configurabile quando l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell’ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza (cfr. Cons. Stato, sez. III, 10 settembre 2014, n.4618, in id., Rep. 2014, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 315 e, più di recente, Sez. IV 21 settembre 2015, n.4375, Foro amm., 2015, 2253. Per una pervasiva critica alla teorica della colpa d’apparato si veda S. CIMINI, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, cit., 299 segg., secondo cui nella responsabilità da attività provvedimentale non sembra possibile ignorare del tutto la condotta del funzionario agente nella formazione ed emanazione dell’atto, sino ad escludere la responsabilità dell'ente allorché esso abbia adottato i necessari ed efficaci modelli organizzativi preventivi del danno; sull’applicabilità dell’errore scusabile anche alla colpa dell’organizzazione, che vi concorrano o no colpe individuali, v. F. TRIMARCHI BANFI, Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Torino, 2009, 30).

L’orientamento giurisprudenziale prevalente prima della sentenza n. 500/1999 riteneva la colpa sussistere in re ipsa (interpretazione accolta anche da Cass., sez. un. 22 maggio 1984 n.5361, Foro it., 1985, I, 2358; in dottrina, con riferimento alla colpa, si vedano, per tutti, i contributi monografici di S. CIMINI, La colpa nella responsabilità civile delle Amministrazioni pubbliche, cit. e di F. FRACCHIA, Elemento soggettivo e illecito civile dell’amministrazione pubblica, Napoli, 2009.); a seguito dello storico arresto del 1999, invece, componente essenziale della verifica dell’illecito da illegittimo esercizio della funzione pubblica, diventava l’accertamento in concreto del dolo o della colpa della p.A. Nella giurisprudenza successiva, il Consiglio di Stato, traendo spunto dagli orientamenti comunitari (cfr. Corte giust.Ue, sez. III, 30 settembre 2010,  n. 314, id., 2012, IV, 195) ha accolto una nozione oggettiva di colpa, riconoscendo la ricorrenza dell’elemento soggettivo laddove l’illegittimità del provvedimento fosse cagionata da una violazione “grave”; cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 giugno 2011,  n. 3814, id., Rep. 2011, voce Responsabilità civile, n. 396. Le critiche a tale tesi (si veda, S. CIMINI, La colpa è ancora è ancora un elemento essenziale della responsabilità dell’attività provvedimentale della P.A.?, in Giust. amm., 2011, 1, che osserva come il modello della responsabilità oggettiva imposto dall’ordinamento comunitario dovrebbe applicarsi solo alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici in ragione dell’interesse oggettivo alla concorrenza che le ispira), motivate specialmente dal fatto che si introdurrebbe una limitazione della responsabilità della P.A. alla colpa grave in assenza di parametri normativi in tal senso, ha indotto la giurisprudenza ad abbandonare la concezione della gravità come elemento essenziale della colpa, divenuta così recessiva, individuando invece nell’illegittimità dell’atto un indizio della colpa dell’amministrazione, cosicché per la verifica dell'elemento soggettivo la parte danneggiata può limitarsi a fornire elementi indiziari (v. già Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2004,  n. 5500, id,., 2005, III, 295, con nota di FRACCHIA; più recentemente, sez. III  29 aprile 2014, n. 2202 e sez. V  8 aprile 2014 n. 1644, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it; v. anche sez. IV  21 settembre 2015, n. 4375 cit. e sez. V 31 dicembre 2014, n. 6450, Foro it., 2015, III, 299, con nota di richiami, laddove, pur non abbandonandosi definitivamente il canone della “gravità” della colpa della P.A., purtuttavia si sottolinea come la sua ricorrenza – e, dunque, l’acclarata illegittimità dell’atto – fungano non da elementi determinanti della affermazione della colpa, ma quali semplici indici presuntivi ex artt.2727 e 2729, comma 1, c.c., della sua sussistenza).

 

(3) Il principio codificato all’art.30, secondo periodo, comma 3, secondo periodo, c.p.a., per cui l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti dall'ordinamento costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile alla stregua dei principi di buona fede e solidarietà ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza è stato espresso, in tema di omessa impugnazione dell’atto lesivo, dalla fondamentale sentenza del Consiglio di Stato, ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3, id., 2012, III, 31, con nota di GIANNELLI (più di recente, sez. V 17 luglio 2014, n. 3812, www.giustizia-amministrativa.it; sez. VI 15 giugno 2015, n. 2906, Foro it., Rep. 2015, voce Giustizia amministrativa, n. 533; sez. IV 7 aprile 2014, n.1605, ibid., n. 542, quest’ultima circa la non necessarietà dell’esperimento di mezzi di tutela giudiziale, ma della sufficienza di mettere in condizione la P.A. di approntare gli opportuni rimedi. In dottrina, circa il dibattito in ordine alla opportunità e validità della previsione legislativa in esame, si veda, TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2014, 213: in particolare, osserva l’Autore che, da un lato, la misura del risarcimento inerisce al diritto sostanziale ed era perciò estranea alla delega legislativa per il codice, dall’altro, è discutibile la conformità di tale soluzione codicistica agli indirizzi maturati in ambito civilistico rispetto all’art. 1227 c.c. sul concorso del creditore nel danno, secondo cui, tale ultima norma, non configurerebbe mai a carico del creditore un onere di proporre azioni giudiziali.).

Sempre in tema di omesso esperimento della domanda di annullamento è stato precisato che la pretermissione, da parte del danneggiato da un atto (o da un comportamento) dell'amministrazione, della previa domanda di giustizia contro l'atto stesso non costituisce sempre e comunque una violazione del canone di ordinaria diligenza: una tale pretermissione può impedire, o limitare, il sorgere del diritto al risarcimento soltanto se, in concreto, emerge che: a) la mancata azione giudiziale è caratterizzata da colpevolezza (secondo una concreta e ordinaria esigibilità); b) fra la pretermissione e l'insorgenza del danno sussiste un nesso di consequenzialità diretta, perché il secondo non si sarebbe verificato se l'interessato avesse debitamente svolto l'azione di annullamento (T.A.R. Genova [Liguria], sez. I,  23 novembre 2011, n. 1635, www.giustizia-amministrativa.it).

In particolare, in merito alla rilevanza dell’omessa proposizione del giudizio di ottemperanza di precedente giudicato ai fini della esclusione dal risarcimento dei danni, la massima in esame parrebbe porsi in aperto contrasto con quanto recentemente espresso in materia dalla quasi coeva sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283, Foro it., Rep. 2015, voce Giustizia amministrativa, n. 538, laddove si afferma che l’utilizzo nel secondo periodo del comma terzo dell’art. 30 c.p.a., della formula al plurale “attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti” non ha certamente il significato di imporre al danneggiato l’esperimento di tutti quegli strumenti che l’ordinamento processuale prevede per la tutela in forma specifica dell’interesse legittimo (e, quindi, l’onere di esperire oltre alla tutela di annullamento, anche la tutela esecutiva mediante il giudizio di ottemperanza al giudicato di annullamento).

Secondo la sezione VI la scelta del legislatore del Codice di utilizzare il plurale (senza concentrarsi esclusivamente sulla proposizione della sola domanda di annullamento) ha un significato totalmente diverso: come si evince anche dai lavori preparatori e come indirettamente emerge anche dal dibattito sulla questione della pregiudizialità che ha preceduto l’approvazione del Codice del processo amministrativo, quel riferimento, al plurale, agli “strumenti di tutela previsti” ha il significato di consentire al privato danneggiato di poter attivare, per sottrarsi alla regola del concorso di colpa del danneggiato, strumenti di tutela, anche di natura extraprocessuale (ad esempio una istanza di autotutela, un ricorso amministrativo, una sollecitazione mediante diffida), diversi e meno onerosi (anche dal punto di vista economico) rispetto alla proposizione della domanda giudiziale di annullamento. Il senso della scelta compiuta dal Codice – prosegue la VI sezione – sarebbe, invece, completamente sovvertito se, a fronte di un privato che, anziché limitarsi a mere istanze extraprocessuali, ha intrapreso la strada più faticosa e costosa del giudizio di annullamento, si potesse poi obiettare che questi è comunque in colpa, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c., in quanto, ottenuta la sentenza di annullamento, non si è ulteriormente attivato per ottenerne l’esecuzione forzata tramite l’ottemperanza. Si verrebbe, in tal modo ad introdurre una pregiudiziale (che viene qualificata, nel corpo della sentenza, quale “pregiudiziale di ottemperanza”) ancora più severa di quella che, prima dell’intervento del Codice, veniva sostenuta da alcune voci nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale, in base alla quale è considerato “negligente” anche il privato che, pur avendo impugnato con successo il provvedimento illegittimo, non ha proposto il giudizio di ottemperanza per costringere l’Amministrazione inadempiente a dare esecuzione al giudicato. Conclude il Consiglio di Stato che di un così gravoso onere di diligenza non vi è traccia nell’ordinamento processuale, non potendosi esso ricavare nella previsione di cui all’art. 30, comma 3, secondo periodo, c.p.a., che, invece, non solo ha eliminato la regola della pregiudizialità, ma, al fine di evitare, che essa potesse essere surrettiziamente reintrodotta attraverso una disinvolta applicazione dell’art. 1227, comma 2, c.c., non si è limitato ad un generico rinvio alla disposizione del codice civile, ma ha specificato, tramite l’utilizzo del plurale “strumenti di tutela”, che il privato può soddisfare il suo onere di diligenza anche attivando strumenti di tutela (eventuale extraprocessuali) diversi dalla proposizione giudiziale dell’azione di annullamento.

Va peraltro segnalata la differenza tra le situazioni sostanziali sottese alle fattispecie, giungendo la pronuncia del Consiglio di Stato a valle di una vicenda relativa ad una mancata aggiudicazione di appalto ormai giunto ad avanzato stato dei lavori e dunque non più utilmente eseguibile da parte del ricorrente, mentre quella del Tar ligure in seguito a precedente condanna al rilascio di un titolo edilizio teoricamente ancora appetibile per la ricorrente; dunque i relativi giudizi di ottemperanza avrebbero potuto avere esiti differenti in relazione alla diversa attualità dell'interesse ad agire ad essi sotteso.

Per una rassegna sulle pronunce di primo grado circa la necessità di esperire il giudizio di ottemperanza di precedente giudicato al fine di evitare il concorso di colpa del creditore ex art.1227 c.c., si vedano: in senso affermativo, Tar Piemonte (Torino), sez. I, 19 aprile 2012, n. 459 e Tar Sicilia (Catania), sez. IV, 10 gennaio 2012, n. 13. Contra, Tar Lazio (Roma), 8 gennaio 2015, n. 166, secondo cui ai sensi dell'art. 1227 comma 2, c.c. è ininfluente nella considerazione della misura del risarcimento la tempestiva attivazione da parte del creditore del rimedio dell'ottemperanza, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.


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