Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15605 - pubb. 01/07/2010

Esecuzione immobiliare, prevalenza del riparto in sede fallimentare

Cassazione civile, sez. I, 19 Maggio 1992, n. 5987. Est. Bibolini.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Effetti - Per i creditori - Ripartizione dell'attivo tra creditori privilegiati, ipotecari e pignoratizi - Somme attribuite al fallimento da una procedura esecutiva immobiliare in corso alla data dello stesso - Distribuzione - Criteri - Credito assistito da iscrizione ipotecaria - Interessi da considerare collocati nello stesso grado del credito - Determinazione - Data - Riferimento - Originario pignoramento - Esclusione - Dichiarazione del fallimento - Riferimento - Necessità



Le somme attribuite al fallimento da una procedura esecutiva immobiliare in corso alla data del fallimento e proseguita ad istanza della curatela che sia subentrata al creditore procedente a norma dell'art. 107 legge fall., debbono essere distribuite ai creditori unicamente secondo i criteri del riparto fallimentare, vincolati alle risultanze dello stato passivo esecutivo, essendo inammissibili nella procedura concorsuale qualsiasi forma di riparto ai creditori ammessi al di fuori dalle forme degli art. 109 e 111 legge fall. -, che richiamano, quanto ai creditori concorrenti, le risultanze del procedimento di verificazione dei crediti. Ne consegue che, ai fini dell'applicazione dell'art. 2855 e per la determinazione degli interessi da considerare collocati nello stesso grado del credito assistito da iscrizione ipotecaria, deve aversi riguardo non alla data dell'originario pignoramento bensì a quella della dichiarazione del fallimento, giusto il disposto dell'art. 54, ultimo comma legge fall.. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giuseppe SCANZANO Presidente
" Renato SGROI Consigliere
" Salvatore NARDINO "
" Giuseppe BORRÈ "
" Gian Carlo BIBOLINI Rel. "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
CENTROBANCA - BANCA CENTRALE DI CREDITO POPOLARE S.P.A., in persona del vicepresidente in carica, con sede in Milano, rappresentata e difesa, per mandato speciale in calce al ricorso, dall'Avv. Giorgio Tarzia, elett. dom. in Roma, via Val Gardena n. 3, presso lo studio dell'Avv. Lucio De Angelis.
Ricorrente
contro
MONTE DEI PASCHI DI SIENA, ISTITUTO DI CREDITO DI DIRITTO PUBBLICO con sede in Siena, in persona del direttore della filiale di Ravenna, rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del controricorso, dell'Avv. Gabriele Spizuoco e disgiuntamente dall'Avv. Walter Testa, presso il quale ultimo è elettivamente domiciliato in Roma, via Achille Papa n. 21.
Controricorrente
e contro
BANCA POPOLARE DI RAVENNA, SOC. COOP. A.R.L. con sede in Ravenna, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, rappresentata ed assistita per procura speciale in calce al controricorso, dall'Avv. Walter Testa, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, via Achille Papa n. 21. Controricorrente
e contro
1) FALLIMENTO della S.R.L. VINICOLA CAMORANI, in persona del curatore Dott. Franco Berti;
2) CONSORZIO VIN. E.R., in persona del suo legale rappresentante e pro tempore con sede in Lugo (RA);
3) CREDITO ROMAGNOLO, SUCCURSALE DI LUGO, in persona del suo legale rappresentante p.t.;
4) CASSA DI RISPARMIO DI LUGO, in persona del legale rappresentante pro tempore;
Intimati
avverso il decreto del Tribunale di Ravenna in data 9 aprile 1990;
Udita la relazione svolta dal Cons. Gian Carlo Bibolini;
sentiti gli Avv.ti De Angelis con delega per il ricorrente e Testa per i controricorrenti, i quali hanno chiesto rispettivamente l'accoglimento ed il rigetto del ricorso;
Udito il P.M. Dr. Domenico Iannelli che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
(N.D.R.: La discordanza fra i nomi delle Parti citate nell'intestazione e nel testo della sentenza è nell'originale della sentenza).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il problema fondamentale posto dalla presente controversia attiene al rapporto fra l'espropriazione immobiliare individuale e la procedura fallimentare contro lo stesso debitore, nell'ipotesi in cui, preesistendo il pignoramento alla dichiarazione di fallimento, il curatore si sia sostituito nella relativa procedura al creditore istante ai sensi dell'art. 107, comma 1, L.F., acquisendo il provento della vendita. Il problema, in particolare, si pone sotto il profilo degli effetti per i creditori ipotecari partecipi di entrambi procedimenti, in relazione alla partecipazione della somma capitale degli interessi con riferimento alla normativa degli artt. 2855, comma 2 e 3, c.c. e 54, ultimo comma, L.F., sostenendosi alternativamente che la determinazione della somma capitale, ed il decorso degli interessi legali con prelazione ipotecaria, debba avvenire dal I giorno successivo all'anno del pignoramento, ovvero all'anno della dichiarazione di fallimento. Il problema si pone, in particolare, con riferimento al rapporto tra l'ammissione al passivo del fallimento, che abbia seguito i criteri dell'art. 54 L.F., e la partecipazione al riparto, per il quale, nella fattispecie di premessa, è sostenuta l'applicabilità del solo criterio dell'art. 2855 c.c. con decorrenza dal termine dell'anno in corso al pignoramento, indipendentemente dai dati dell'ammissione al passivo fallimentare, divenuti definitivi.
Sono pacifiche tra le parti le seguenti situazioni di fatto e procedurali:
a) la Centrobanca era portatrice di due crediti ipotecari nei confronti della s.r.l. Vinicola Camorant, a seguito di due finanziamenti a medio termine, con ipoteche iscritte rispettivamente il 6-5-1978 ed il 7-5-1980 su un bene immobile della debitrice, ipoteche costituenti rispettivamente la prima e la seconda iscrizione sul bene; sullo stesso bene avevano poi iscritto ipoteche il Monte dei Paschi di Siena (il 28-7-1981) e la Banca Popolare di Ravenna (il 20-11-1981);
b) il ben immobile era sottoposto a procedura esecutiva con pignoramento trascritto il 30-10-1981 da parte della ditta Imer di Bologna, e la Centrobanca era intervenuta nella procedura con ricorso in data 26-5-1982 segnalando che la sua situazione creditoria fruente della prelazione ipotecaria ammontava, alla data del 31-12-1981 (fine anno del pignoramento) alla somma di L. 148.081.082 comprensiva di capitale residuo, interessi moratori a tasso convenzionale e spese;
c) in data 31 luglio 1984 il Tribunale di Ravenna dichiarava il fallimento della s.r.l. Vinicola Camorani, e la Centrobanca era ammessa al passivo, in relazione alle due operazioni di credito menzionate, per un credito ipotecario di L. 270.131.412 (comprensivo di capitale, interessi moratori al tasso convenzionale e spese fino alla data del 31-12-1984), oltre ad interessi al tasso legale dalla data del 1 gennaio 1985 (il primo giorno successivo all'anno in corso alla data della dichiarazione di fallimento), fino alla vendita dei beni ipotecati. Lo stato passivo, con il provvedimento di ammissione, diveniva esecutivo.
d) Il fallimento intervenne nell'esecuzione individuale sostituendosi al creditore procedente ed il bene venne aggiudicato, nella procedura individuale, il 5-10-1987, trasferito all'aggiudicatario il 22-10-1987 ed il ricavo della vendita avvenuta a L. 442.739.586, dedotte le spese, era assegnato alla procedura fallimentare il 31-10-1988.
e) In previsione del riparto la Centrobanca, segnalava alla curatela l'ammontare del suo credito, con gli interessi convenzionali fino al 31-12-1984 (anno della dichiarazione di fallimento) e gli interessi legali fino al 22-10-1987 (data di trasferimento del bene ipotecato), in complessive L. 312.095.467, con la possibilità, quindi, della piena soddisfazione in quanto il risultato della vendita, al netto delle spese di esecuzione ordinaria, ammontava al L. 356.747.361. Il curatore, peraltro, poneva in piano di riparto una somma globale di L. 221.000.000 e tale entità veniva confermata dal giudice delegato, con il provvedimento di definitività del riparto. La differenza di calcolo era data dal fatto che, mentre la Centrobanca dava applicazione alla disciplina dell'art. 54, ultimo comma, L.F., facendo decorrere gli interessi convenzionali fino al termine dell'anno in corso alla dichiarazione di fallimento (31 dicembre 1984), il curatore ed il giudice delegato facevano decorrere detti interessi fino al 31 dicembre 1981, ritenendo tuttavia applicabile la disciplina dell'art. 2855 con riferimento alla data dell'originario pignoramento immobiliare.
Avverso il decreto del giudice delegato la Centrobanca proponeva reclamo ex art. 26 L.F. davanti al Tribunale di Ravenna, reclamo rigettato con decreto in data 9-4-1990.
In particolare, il Tribunale di Ravenna riteneva che la disciplina dell'art. 107, primo ed ultimo comma, L.F., nel prevedere la sostituzione del curatore al creditore procedente e la tenuta della somma assegnata in un conto speciale, può essere intesa solo nel senso che, nella fattispecie, gli effetti sostanziali del pignoramento immobiliare restino acquisiti a favore della massa e che le somme provenienti dall'esecuzione individuale mantengano le caratteristiche loro proprie, il tutto peraltro, a prescindere dalla definitività dell'ammissione allo stato passivo "che in sede di riparto non può essere posta nuovamente in discussione". Il Tribunale, poi, trae argomento a sostegno della tesi accolta anche da un'argomentazione "a contrariis", nel senso che, se il calcolo degli interessi dovesse essere effettuato in sede di ammissione al passivo, anziché in sede di riparto, si dovrebbe obbligare la curatela a scegliere tra il subentro nella procedura individuale esistente e la liquidazione del bene con le modalità fallimentari, prima della definitività dello stato passivo;
situazione che non troverebbe conforto nella normativa esistente. Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione la Centrobanca, deducendo un unico ed articolato motivo integrato da memoria; si costituivano con controricorso il Monte dei Paschi di Siena e la Banca Popolare di Ravenna.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo la Centrobanca deduce la violazione e la falsa applicazione delle norme degli artt. 107, 109 e 111, in relazione agli artt. 97 e 102 R.D. 16 marzo 1942 n. 246, oltre a motivazione incongrua e contraddittoria.
La motivazione della censura si articola su due proposizioni, e cioè:
I ) l'opinione espressa dal Tribunale, secondo cui nell'ipotesi dell'art. 107 ultimo comma L.F., si conserverebbero nella procedura fallimentare gli effetti sostanziali di quella singolare, per cui, in punto interessi, si dovrebbe fare riferimento all'art. 2855 c.c. e non al richiamo di tale norma fatta dall'art. 54 L.F. (senza cioè equiparare la dichiarazione di fallimento al pignoramento), detta opinione, si ripete, avrebbe dovuto semmai essere applicata in sede di formazione dello stato passivo, per calcolare in modo diverso gli interessi convenzionali e quelli legali ai fini della prelazione ipotecaria, mentre non poteva essere applicata per la prima volta in sede di riparto per modificare la collocazione della Centrobanca, quale già risultava dallo stato passivo definitivo. II ) Dall'art. 109 L.F., che richiama le disposizioni del "capo seguente", tra cui l'art. 111 facente espresso riferimento alle risultanze dello stato passivo, deve dedursi che lo stato passivo serve, per l'appunto, a costituire il punto di riferimento per i riparti, e per tutti i riparti, senza eccezione per quelli che distribuiscono i ricavi dell'alienazione degli immobili acquisiti al fallimento.
Conseguentemente, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale di Ravenna, non potrebbe prescindersi dalle risultanze dello stato passivo definitivo.
L'errore di diritto in cui sarebbe incorso il Tribunale di Ravenna avrebbe avuto influenza decisiva nel provvedimento impugnato, inducendolo a legittimare un piano di riparto ove l'ipoteca poziore della Centrobanca era stata in parte sacrificata ad altre ipoteche di grado inferiore.
Tali essendo i termini della controversia, quale emerge dal dibattito tra le parti, e dovendosi determinare (come già enunciato nella premessa in fatto) se, in presenza di una procedura esecutiva immobiliare nella quale il curatore si sia sostituito al creditore precedente acquisendo il netto ricavo della vendita; in presenza, inoltre, di creditori ipotecari, i quali in progressione, siano intervenuti nella procedura esecutiva ordinaria e siano poi stati ammessi al passivo fallimentare con provvedimento non impugnato e sul quale si sia verificata preclusione; se in presenza di detti due presupposti, giova ripetere, la ripartizione della somma acquisita dal curatore, come sopra detto, debba essere ripartita agli ipotecari secondo i criteri del riparto fallimentare che dia attuazione ai dati del provvedimento di ammissione al passivo, ovvero secondo le risultanze dell'intervento del creditore ipotecario nella procedura esecutiva.
La scelta è di tutto rilievo perché l'entità ripartibile al primo ipotecario, nel primo caso, è notevolmente superiore, per il gioco della concorrenza tra interessi convenzionali ed interessi legali con diversa decorrenza nelle due ipotesi, rispetto al secondo, incidendo direttamente sulla capienza o sull'incapienza dei creditori ipotecari iscritti con grado deteriore.
I controricorrenti, sostenendo la soluzione adottata del Tribunale di Ravenna, adducono che la Centrobanca (prima ipotecaria iscritta) secondo il criterio adottato dagli organi fallimentari, non avrebbe subito sostanziale pregiudizio, in quanto ad essa era destinato nulla di più, e nulla di meno, di quanto avrebbe ricevuto dal riparto della esecuzione singolare, se fosse proseguita.
Il problema fondamentale, peraltro, è l'individuazione della fonte normativa dalla quale trarre la fondatezza dell'uno, o dell'altro, criterio in alternativa proposto.
L'idea fondamentale su cui il decreto del tribunale di Ravenna è improntato, si esprime nell'intangibilità, da un lato, del provvedimento di ammissione al passivo del credito ipotecario della attuale ricorrente, e nella estraneità, dall'altro, di detto provvedimento al riparto delle somme acquisite alla massa fallimentare dalla procedura esecutiva ordinaria. Nell'unica procedura fallimentare, quindi, sussisterebbero, e coesisterebbero, due forme di riparto possibili ai creditori fruenti di ipoteca; una tipica, secondo le modalità dell'art. 111 L.F. e con il procedimento previsto dagli artt. 109 e 110 L.F., in cui il riparto è vincolato e ragguagliato ai dati dello stato passivo definitivo; altra, secondo i criteri della procedura esecutiva ordinaria donde la liquidatà da distribuire proviene, ancorché attuata dal Giudice Delegato del fallimento. Non si chiarisce nel decreto oggetto del ricorso, quali siano, in questo secondo caso, le norme procedimentali attuabili; se, cioè, quelle del codice di rito con la sostituzione del giudice delegato a quello dell'esecuzione, ovvero quelle tipicamente concorsuali degli artt. 109 e 110 L.F., svincolate, peraltro, dai dati quantificativi del credito e qualificativi delle posizioni di prelazione, emergenti dallo stato passivo.
La fonte normativa del procedimento alternativo di distribuzione, nel fallimento, delle somme acquisite mediante l'intervento del curatore nel processo esecutivo ordinario, sarebbe lo stesso art. 107 L.F., e sarebbe correlata all'intervento del curatore nel processo esecutivo ordinario il quale, pertanto, proseguirebbe in deroga al principio generale diritto concorsuale espresso dall'art. 51 L.F. e, soprattutto, alla disposizione dell'ultimo comma. Nella previsione normativa del conto speciale delle vendite dei singoli immobili, vendite eseguite nel corso dell'esecuzione ordinaria, nonché dei frutti percepiti sui medesimi dalla data della dichiarazione di fallimento, sarebbe insita la previsione dei criteri differenti di ripartizione dell'attivo.
Per risolvere, quindi, il problema proposto dal dibattito tra le parti, occorre valutare se nella procedura fallimentare siano ammissibili, in presenza della fattispecie dell'art. 107 L.F., due differenti criteri di ripartizione dell'attivo, uno dei quali del MOTIVI DELLA DECISIONE
tutto svincolato dalle risultanze definitive dello stato passivo. Di fronte alla prospettata ipotesi alternativa, occorre innanzi tutto rilevare che la Legge Fallimentare delinea e disciplina un unico tipo di procedimento per la determinazione del concorso dei creditori sull'attivo liquidato e per la partecipazione dei concorrenti alla ripartizione della liquidità acquisita, tipo procedimentale che coinvolge tutti i creditori (e tra essi quelli muniti di prelazione ipotecaria), e tutta la liquidità acquisita, in applicazione dei principi di universalità soggettiva ed oggettiva cui la concorsualità sistematizzata è necessariamente improntata, quale mezzo indispensabile per l'attuazione della "par condicio creditorum". Tipo di procedimento, infine, che collega con un vincolo indissolubile la fase di formazione e di definitività dello stato passivo, alla fase di distribuzione della liquidità acquisita (nel senso che i dati della prima costituiscono il presupposto ineluttabile della seconda), senza che alcuna norma delinei espressamente discipline eccezionali in virtù delle modalità di acquisizione della liquidità, sia essa dovuta a somme trovate nel possesso del fallito ed inventariate all'origine, sia essa conseguita con la vendita fallimentare di beni inventariati, sia essa conseguente alla riscossione, volontaria o giudiziale, di crediti del fallito.
Secondo il dettato dell'art. 110, comma 1, L.F., il progetto di riparto, su cui si imposta tutta la procedura di distribuzione dell'attivo, viene eseguito sulle "somme disponibili", senza che alcuna distinzione venga fatta in sede normativa in relazione alla fonte della disponibilità.
È sufficiente rilevare la connessione logica e strutturale tra la disciplina degli artt. 52 e 53 L.F. (secondo cui la partecipazione al concorso, anche dei crediti ipotecari, richiede il necessario accertamento secondo le norme del procedimento di verificazione), quella dell'art. 97 L.F. (secondo cui, nell'interpretazione decisamente prevalente, il decreto di esecutività dello stato passivo costituisce un provvedimento giurisdizionale di carattere decisorio che, quanto meno nell'ambito della procedura fallimentare, fa stato con effetto preclusivo), con la disciplina degli artt. 110 e 111, comma 1, n. 2 e 3 L.F. (secondo cui i redditi, ancorché muniti di titolo di prelazione, partecipano alla distribuzione delle somme se ed in quanto ammessi al passivo e secondo i dati quantitativi e qualificativi della ammissione esecutiva), per rendersi conto che l'istanza di ammissione al passivo (ed il provvedimento che ad essa corrisponde) non costituisce solo un accertamento fine a sè stesso, ma integra la modalità necessaria, unica e preclusiva di partecipazione al concorso, dando contenuto al titolo esecutivo unico del procedimento concorsuale, rappresentato dalla sentenza dichiarativa di fallimento, nonché il titolo della partecipazione del singolo creditore alla distribuzione dell'attivo. D'altronde, partecipazione al concorso null'altro significa se non partecipazione al riparto della liquidità acquisita dal fallimento, secondo la regola della par condicio creditorum e le eccezioni alla stessa normativamente previste, per cui il procedimento di verifica ed il provvedimento di chiusura e di definitività del procedimento di verificazione, nelle sue varie modalità, in quanto fase necessaria di determinazione del concorso aperto con la dichiarazione di fallimento (art. 52 L.F.), null'altro può essere se non presupposto vincolante la fase di riparto in cui il concorso si attua. La struttura, unica, lineare e monolitica nella sua logica essenziale, delineata dalla Legge fallimentare per l'instaurazione e l'esecuzione del concorso, con fasi processuali pregressive, connesse ed inscindibili, non può essere superata con riferimento alla disciplina del I , del III e del IV comma dell'art. 107 L.F., nella quale non si individua con chiarezza un'eccezione al principio rilevato, sia pure con riferimento alla liquidità che il fallimento acquisisca da una procedura esecutiva ordinaria in corso, nella quale il curatore sia succeduto, facendosi assegnare le somme derivanti dalla vendita forzata.
Non si ritiene che deroga, o eccezione alcuna, al sistema unico ed indistinto delineato, con ordinamento settoriale e speciale per il fallimento, possa derivare dal subentro del curatore nell'esecuzione immobiliare" per il fatto che "gli effetti sostanziali del pignoramento immobiliare restano acquisiti a favore della massa", con la conseguenza che le "somme provenienti dall'esecuzione individuale mantengono le caratteristiche loro proprie" e, tra gli effetti e le caratteristiche che si verserebbero nel fallimento, vi sarebbe anche la determinazione degli interessi fruenti di prelazione, da effettuarsi con riferimento alla data del pignoramento, anziché a quella del fallimento, come si legge testualmente nel decreto oggetto del ricorso.
Innanzi tutto non si vede come una diversa decorrenza degli interessi consensuali e legali per il primo ipotecario, individui un interesse per la "massa" passiva fallimentare, da realizzarsi al di fuori delle tipiche modalità alimentari, volta che anche il creditore ipotecario è "massa", e componente di essa. Se per massa passiva fallimentare si intende l'insieme unitario dei creditori concorrenti, e se il concorso è dato dall'ammissione al passivo cui tutti i creditori concorsuali sono soggetti per divenire concorrenti, ne discende che anche i creditori ipotecari, che al procedimento di ammissione sono soggetti, sono componenti della massa. Individuare, quindi, un interesse della "massa" come criterio cui debba essere improntata la condotta della curatela (anche nella scelta tra fare proseguire, o no, la procedura esecutiva immobiliare pendente alla data del fallimento, così come nella condotta processuale da attuare), può assumere un duplice significato, e cioè:
A) un interesse che coinvolga tutti i concorrenti in quanto tali, indipendentemente dall'entità e dal titolo della loro partecipazione al concorso. In tale ambito è compreso indubbiamente l'interesse della curatela, in quanto sussista, ad avvalersi delle attività già espletata in una procedura esecutiva ordinaria in corso, per il minore aggravio di spese ed impiego di tempo che esso comporterebbe rispetto all'inizio ex novo di una parallela liquidazione fallimentare; non è compreso, invece, un interesse connesso all'entità della partecipazione al concorso del creditore ipotecario, giacché essa non delinea una situazione che coinvolga unitariamente la massa creditoria, ma che contrappone singolarmente l'interesse di alcuni creditori ad altri (quello del primo ipotecario agli ipotecari di grado deteriore; quella degli ipotecari rispetto ad altri privilegiati o ai chirografari, e così via). La funzione della sostituzione processuale di cui la curatela possa avvalersi nella fattispecie dell'art. 107, comma 1, L.F., non è quella di subentrare alla posizione sostanziale di alcuni creditori contro altri, ne' di sostenere alcuni a discapito di altro, ma molto semplicemente quella di avvalersi, quale elemento strumentale di liquidazione e di acquisizione del provento della liquidazione, delle modalità della procedura esecutiva in corso, volta che tra esenzione individuale ed esecuzione concorsuale vi è concordanza di finalità liquidative ed acquisitive, e fino al limite in cui detta concordanza sussista. Sotto tale profilo, quindi, il problema fondamentale della presente controversia, attinente alla decorrenza degli interessi ipotecari, con riferimento alla data del pignoramento ovvero a quella della dichiarazione di fallimento, non individua affatto un interesse globale della massa in quanto tale, che il subentro della curatela nella procedura esecutiva ordinaria debba, o possa, conservare alla "massa", al di fuori delle risultanze della verifica dello stato passivo ed al di fuori della procedura di distribuzione dell'attivo fallimentare che alla prima è necessariamente collegato. B) Sotto un diverso profilo, interesse della "massa", di cui la curatela sia portatrice nell'intervento nell'esecuzione singolare, è anche quello connesso all'equilibrio delle posizioni reciproche dei creditori concorrenti (entità dei crediti e dei relativi titoli di prelazione) in attuazione del fondamentale principio della "par condicio creditorum". Peraltro detto principio, nella procedura fallimentare si attua con il procedimento di verificazione dei crediti ai cui dati è indissolubilmente connessa la fase del riparto, non già con procedimenti extrafallimentari o prefallimentari, ove si consideri che anche il creditore munito di titolo esecutivo (sia pur anche esso di natura giudiziale), non può opporre direttamente il titolo alla massa per partecipare al riparto, ma deve sottoporlo alla verifica del procedimento di ammissione al passivo. Non differentemente alla verifica deve sottostare che il titolo abbià già fatto valere promuovendo o intervenendo in una procedura esecutiva immobiliare in corso alla data della dichiarazione di fallimento, le cui risultanze non sostituiscono per nulla le fasi essenziali con cui la procedura fallimentare attua il principio della par condicio creditorum, nella necessaria espressione dell'università soggettiva ed oggettiva cui il fallimento è improntato.
Non per nulla anche la valida voce di dottrina che ha sostenuto, nella fattispecie dell'art. 107 L.F., la possibilità della distribuzione del prezzo in base alle norme del codice di procedura civile (509, 510, 596 c.p.c.), con la sostituzione del giudice delegato al giudice dell'esecuzione, non richiede l'applicazione dell'art. 598 c.p.c. al progetto di distribuzione del prezzo, essendo sufficiente la corrispondenza di tale progetto ai dati dello stato passivo ed al progetto di cui all'art. 109 L.F., evidenziando così l'inderogabilità delle risultanze della verificazione dei crediti, qualunque sia la fonte di acquisizione della liquidità da distribuire, e ponendo nella situazione processuale dell'art. 107 L.F., non una deroga al principio della par condicio, ma tutt'al più una differente modalità di sua attuazione. Alla tesi nel suo complesso, peraltro, può ben opporsi che se si ammette che la distribuzione debba essere fatta dal giudice delegato, il richiamo alle norme del codice di rito non appare più di alcuna necessità, pervenendo ad un'applicazione contraddittoria di norme legate a diverse strutture procedimentali.
Non per nulla, inoltre, chi in dottrina ipotizza che nel terzo comma dell'art. 107 L.F. sia insita in una deroga alla par condicio creditorum, valorizzando la letteralità del terzo comma in esame allorché prevede la necessità della integrazione del procedimento con l'intervento del curatore, sostiene altresì che la distribuzione dell'attivo debba avvenire da parte dello stesso giudice dell'esecuzione nel concorso tra i creditori ipotecari (i quali in tesi potrebbero anche non essersi insinuati nel fallimento) intervenuti nella procedura esecutiva ordinaria ed il curatore, lasciando intatti i principi e le modalità tipiche della procedura concorsuale per cui (e ciò sarebbe sufficiente al fine di contrastare la tesi seguita dal Tribunale, anche nella prospettiva ora indicata), quando la fase dell'esecuzione individuale sia superata e chiusa con l'attribuzione alla curatela dell'intero provento netto della vendita coattiva, il riparto può essere eseguito solo dal giudice delegato secondo le modalità tipiche della concorsualità sistematizzata, con il rilevato vincolo tra i dati dello stato passivo definitivo e la partecipazione al riparto. Giova rilevare, peraltro, (per l'affinità che evidentemente il giudice del merito ha inteso rilevare tra la tesi in esame e l'ipotesi del riparto successivo nel fallimento), che anche questa tesi nel suo complesso, collegata al tenore letterale del terzo comma dell'art. 107 L.F. ed all'opinione che nell'ipotesi in esame si sia al di fuori del fallimento, perché la norma in esame avrebbe portato una deroga al divieto di proseguire azioni esecutive individuali, non è accoglibile. In primo luogo, infatti, l'art. 107, comma 3, L.F., non implica alcuna deroga al principio dell'art. 51 L.F., poiché a proseguire la procedura esecutiva ordinaria non è il creditore procedente o creditori intervenuti, ma la curatela del fallimento quale portatrice degli interessi della massa, e non i singoli creditori.
In secondo luogo, rilevato che la legge delinea la sostituzione della curatela al creditore istante, se avvenuta prima del procedimento della distribuzione del prezzo, e l'integrazione del procedimento con l'intervento del curatore, se al momento del fallimento nella esecuzione ordinaria era in corso il procedimento della distribuzione del prezzo, ma non regola espressamente la distribuzione del prezzo allorché l'intervento del curatore sia avvenuto nel momento con le modalità del primo comma (ed è pacifico che anche in tale caso debba esservi una distribuzione, essendo il fine dell'attività sostitutiva della curatela), non vi è ragione di interpretare lo "intervento" del terzo comma con modalità e funzione diversa dalla sostituzione del primo comma, sostituzione che realizza pur essa latu sensu un intervento.
Tutto il problema, quindi, viene riportato alla funzione del primo comma dell'art. 107 L.F., alla funzione della sostituzione processuale del curatore al creditore procedente.
Il curatore opera la sostituzione nella funzione, funzione che attribuisce a lui, quale esponente dell'ufficio fallimentare, determinati poteri sull'attivo del fallito, e determinati doveri d'ufficio per la realizzazione delle finalità istituzionali della procedura concorsuale.
Il fatto stesso che l'ufficio fallimentare, nel suo organo esterno, possa proseguire la procedura esecutiva ordinaria in corso alla dichiarazione di fallimento ovvero, avvalendosi dei poteri insiti nel fallimento, possa procedere alla liquidazione in sede fallimentare, a seconda di una valutazione di convenienza connessa alle finalità della funzione propria dell'Ufficio fallimentare, è di per sè dimostrativo del fatto che la curatela, con la sostituzione, non perde per nulla i poteri propri dell'Ufficio, ma è proprio in virtù di quei poteri, e per la realizzazione delle finalità istituzionali che al loro esercizio sono connesse, che la sostituzione può avvenire.
Poiché la funzione dell'Ufficio fallimentare è quella di acquisire la disponibilità dell'attivo fallimentare, liquidarlo e distribuirlo ai creditori, previamente oggetto di accertamento con il procedimento di verifica, secondo il principio della par condicio, è in virtù di questa funzione che la sostituzione avviene, e la procedura esecutiva individuale viene perseguita, o no, senza che vi sia spazio per il rilevo degli interessi di singoli creditori, ai quali è inibito qualsiasi potere nella procedura esecutiva, in virtù della generale disciplina concorsuale dell'art. 51 L.F.. L'unica eccezione, di conseguenza, che la sostituzione del curatore comporta rispetto alla disciplina dell'art. 51 L.F., non è la tutela dell'interesse di singoli creditori, ne' il potere di essi di fare valere nell'esecuzione ordinaria diritti quesiti non individuabili al di fuori del concorso fallimentare, ma solo il potere del curatore, ed unicamente della curatela, di dare, o non, impulso alla procedura singolare unicamente per la realizzazione delle finalità concorsuali.
Il sistema della Legge fallimentare, le esigenze dell'esecuzione collettiva ed il fine pubblicistico della stessa, non consentirebbero che il subentro della curatela corrisponda alla tutela di interessi di singoli creditori, volta che, come pure esattamente è stato rilevato in dottrina, l'apertura del fallimento non consente la sopravvenienza dell'espropriazione singolare come esercizio di azione esecutiva individuale, ma la traduce in un modo di svolgimento della liquidazione fallimentare che si vale del procedimento già in corso solo come mezzo tecnico, quale struttura efficiente ed operante, per convergerla a fini dell'esecuzione collettiva. In questa prospettiva l'uso dell'impulso processuale che spetta unicamente al curatore, per le finalità tipiche della procedura concorsuale, comporta che il gettito della vendita così ottenuta pervenga unicamente nella MOTIVI DELLA DECISIONE
disponibilità della curatela (come nella specie in effetti è avvenuto), per la distribuzione secondo le norme del sistema della concorsualità sistematizzata, già sopra richiamata. Con questa prospettiva, e non in contrasto con essa, ben si coordina la previsione del 4 comma dell'art. 107 L.F., secondo cui la necessità di tenere in un conto speciale il provento degli immobili e dei frutti, corrisponde proprio alle esigenze di attuazione dell'art. 111 L.F., per l'attribuzione ai creditori che, nel riparto fallimentare, abbiano titoli di prelazioni riconosciuti con la verifica, sugli immobili liquidati e sul provento della loro liquidazione, non diversamente da quanto avviene di norma quanto alla liquidazione provvedano gli stessi organi fallimentari, senza che da esso possa trarsi la conclusione della permanenza, e della permanente efficacia, nel fallimento, di situazioni già evidenziatesi nel corso della procedura esecutiva singolare ed in difformità delle risultanze dello stato passivo.
Consegue la cassazione del decreto del Tribunale di Ravenna. Il Giudice del rinvio si atterrà al seguente principio:
le somme attribuite al fallimento da una procedura esecutiva immobiliare in corso alla data del fallimento e proseguita ad istanza della curatela che sia subentrata al creditore procedente a norma dell'art. 107 L.F., debbono essere distribuite ai creditori unicamente secondo i criteri del riparto fallimentare, vincolati alle risultanze dello stato passivo esecutivo, essendo inammissibile nel fallimento qualsiasi forma di riparto ai creditori concorrenti al di fuori delle forme degli artt. 109 e 111 L.F. che richiamano, quanto ai creditori concorrenti, le risultanze del procedimento di verificazione dei crediti.
Sussistono giustificati motivi per la compensazione delle spese.

P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso; cassa e rinvia al Tribunale di Ravenna, compensa le spese.
Roma 14-1-1992.