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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15183 - pubb. 01/07/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 07 Ottobre 2015. .

Fallimento - Effetti sui beni del fallito - Domande di rivendica - Regime probatorio - Disciplina delle opposizioni di terzo all'esecuzione - Onere della prova - Prova per testimoni e per presunzioni - Limiti


La dichiarazione di fallimento attua un pignoramento generale dei beni del fallito, con la conseguenza che le rivendiche dei beni inventariati proposte nei confronti del fallimento hanno la stessa natura e soggiacciono alla stessa disciplina delle opposizioni di terzo all'esecuzione, regolate per l'esecuzione individuale dagli artt. 619 c.p.c. e ss.; pertanto, il terzo che rivendichi la proprietà o altro diritto reale sui beni compresi nell'attivo fallimentare, deve dimostrare, con atto di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, di avere acquistato in passato la proprietà del bene ed altresì che il bene stesso non era di proprietà del debitore per essere stato a lui affidato per un titolo diverso dalla proprietà o altro diritto reale, trovando applicazione l'art. 621 c.p.c., norma che esclude che il terzo opponente possa provare con testimoni (e quindi anche per presunzioni) il proprio diritto sui beni pignorati nell'azienda o nella casa del debitore, consentendo di fornire la prova tramite testimoni (o presunzioni) nel solo caso in cui l'esercizio del diritto stesso sia reso verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore.
(Nel caso di specie, la Corte del merito aveva rilevato che, anche indipendentemente dal limite del valore, la prova testimoniale era inammissibile, in quanto le prove capitolate vertevano, in sostanza, sulla dimostrazione delle date in cui sarebbero stati sottoscritti i documenti invocati dalla parte, ossia sulla data delle richieste di locazione finanziaria e di consegna degli automezzi, oltre che sul titolo della consegna, in palese elusione dell'art. 2704 c.c., trattandosi di prova vertente direttamente sulla data della scrittura. La Corte territoriale ha pertanto condiviso la decisione del Tribunale di non dare corso alla prova testimoniale, posto che non solo gli elementi offerti dalla parte non erano univoci per consentire la deroga al divieto generale, ma che in ogni caso i capitoli come formulati si ponevano in contrasto totale con i principi indicati). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)