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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 13988 - pubb. 14/01/2016.

Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci esercitata dal curatore, decorrenza della prescrizione e presunzione di coincidenza con la dichiarazione di fallimento


Cassazione civile, sez. I, 04 Dicembre 2015, n. 24715. Est. Lamorgese.

Fallimento - Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci esercitata dal curatore - Caratteristiche - Esercizio di entrambe le azioni di cui agli articoli 2393 e 2394 c.c. - Prescrizione - Decorrenza - Insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori - Manifestazione del decremento patrimoniale

Fallimento - Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci esercitata dal curatore - Facoltà del curatore di esercitare una o entrambe le azioni di cui agli articoli 2393 e 2394 c.c.

Fallimento - Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci esercitata dal curatore - Prescrizione - Decorrenza dell'azione di cui all'articolo 2394 c.c. - Momento in cui i creditori sono stati posti in grado di conoscere lo squilibrio patrimoniale della società

Fallimento - Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci esercitata dal curatore - Onere della prova - Oggetto della prova - Oggettiva percepibilità dell'insufficienza dell'attivo - Presunzione juris tantum e coincidenza della decorrenza della prescrizione con la dichiarazione di fallimento - Prova contraria - Ammissibilità

Fallimento - Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci esercitata dal curatore - Prescrizione - Insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale - Bilancio di esercizio - Fatti sintomatici - Fattispecie


L'azione di responsabilità contro gli amministratori e sindaci, esercitata dal curatore del fallimento, a norma dell'art. 146 legge fall., compendia in sé le azioni contemplate dagli artt. 2393 e 2394 c.c. ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia dei soci e dei creditori sociali; essa sorge nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente per il soddisfacimento dei creditori della società (il che consente di affermare che il danno da essi subito costituisce la misura del loro interesse ad agire) e si manifesti il decremento patrimoniale (sotto forma di danno emergente e lucro cessante) costituente il pregiudizio che la società non avrebbe subito se non vi fosse stato il loro illegittimo comportamento commissivo od omissivo (Cass. n. 10937 del 1997, n. 10488 del 1998). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Pur avendo un contenuto inscindibile (Cass. n. 17033 del 2008), nell'esercizio dell'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci, il curatore può scegliere quale delle due azioni esercitare (l'una contrattuale a favore della società, l'altra extracontrattuale a favore dei creditori sociali), diversi essendo il regime della decorrenza del termine di prescrizione, l'onere della prova e i criteri di determinazione dei danni risarcibili (Cass. nn. 10378 e 15955 del 2012); si tratta evidentemente di una facoltà, ben potendo il curatore scegliere di esercitare entrambe le azioni. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In tema di azione di responsabilità contro amministratori e sindaci promossa dal curatore ai sensi dell'articolo 146 legge fall., con riguardo alla decorrenza del termine di prescrizione (quinquennale per entrambe le azioni di cui agli articoli 2393 e 2394 c.c.), quella ex art. 2394 c.c. decorre non dal momento in cui i creditori abbiano avuto effettiva conoscenza dell'insufficienza patrimoniale - che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica, non corrisponde allo stato di insolvenza di cui all'art. 5 legge fall. né alla perdita integrale del capitale sociale (che non implica necessariamente la perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale) - ma dal momento, che può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione del fallimento, in cui essi siano stati in grado di conoscere lo stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società (Cass. n. 9619 del 2009, n. 20476 del 2008, n. 941 del 2005). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In tema di azione di responsabilità contro amministratori e sindaci promossa dal curatore ai sensi dell'articolo 146 legge fall., in ragione dell'onerosità della prova a carico del curatore, avente ad oggetto l'oggettiva percepibilità dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando all'amministratore convenuto nel giudizio, che eccepisca la prescrizione dell'azione di responsabilità, dare la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (Cass. n. 13378 del 2014). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La prova dell'insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, ai fini della decorrenza della prescrizione dell'azione di responsabilità promossa dal curatore ai sensi dell'articolo 146 legge fall., se è vero che può desumersi anche dal bilancio di esercizio (Cass. n. 20476 del 2008), deve pur sempre avere ad oggetto "fatti sintomatici di assoluta evidenza" (indicati da Cass. n. 8516 del 2009 nella chiusura della sede sociale, nell'assenza di cespiti suscettibili di esecuzione forzata, ecc.), nell'ambito di una valutazione che è riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa. (Nella fattispecie, si è escluso che il dies a quo del termine prescrizionale potesse farsi decorrere da una data antecedente alla dichiarazione di fallimento, e cioè dalla pubblicazione di un determinato bilancio, dal momento che, a quell'epoca, l'incapienza patrimoniale non era oggettivamente percepibile da parte dei terzi, essendo stata verosimilmente occultata, come indirettamente risultava da una delibera che aveva disposto l'aumento del capitale sociale e il ripianamento delle perdite di esercizio). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Il testo integrale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Curatela del Fallimento della Foods & Fruits s.r.l. convenne in giudizio T.F.A., amministratore unico nel periodo tra l'11 settembre 1997 e il 31 maggio 2001 (data della sentenza di fallimento della società), a norma della L. Fall., art. 146, per sentirne accertare la responsabilità verso la società e i creditori sociali per numerosi illeciti e per sentirlo condannare al risarcimento dei danni. Si trattava, in particolare, del mancato rinvenimento di rimanenze in magazzino per oltre un miliardo di lire;

della sottrazione dalle casse della società dell'importo (L. 262.700.000) di un assegno tratto dalla Franzese s.r.l. all'ordine della Foods & Fruits sul Banco di Napoli e negoziato dal T.;

della mancata richiesta ai soci del versamento dei decimi di un aumento di capitale deliberato e sottoscritto; dell'incauto acquisto per conto della società di un capannone dichiarato come libero da pesi e formalità ma in realtà gravato da ipoteca giudiziale e sottoposto a procedura espropriativa; di un furto di beni custoditi nel capannone aziendale.

2.- Nel contraddittorio con il T., il Tribunale di Nola rigettò l'eccezione di prescrizione e, in parziale accoglimento della domanda, lo condannò al pagamento della complessiva somma di Euro 251.669,43, oltre accessori, avendolo giudicato responsabile degli illeciti contestati, con esclusione del furto dei beni inventariati e del mancato rinvenimento delle rimanenze di magazzino.

3.- La Corte d'appello di Napoli, con sentenza 10 aprile 2012, ha rigettato il gravame di T. e, in parziale accoglimento del gravame incidentale del Curatore, lo ha condannato al pagamento dell'ulteriore importo di Euro 410.000,00, oltre accessori, per la dispersione e/o sottrazione delle rimanenze di magazzino.

La Corte ha ritenuto infondato il motivo di gravame con il quale il T. aveva sostenuto che il termine di prescrizione dovesse decorrere da una data antecedente alla sentenza di fallimento, cioè dall'anno 1995 in cui vi era stato ed era divenuto conoscibile ai terzi l'azzeramento del patrimonio sociale, anche per effetto della pubblicità del bilancio depositato nel registro delle imprese. La Corte, premesso che l'azione di responsabilità prevista dalla L. Fall., art. 146, racchiude in sè le due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c., (verso la società e i creditori sociali), ha ritenuto che unico fosse il dies a quo del termine prescrizionale, coincidente con la sentenza dichiarativa del fallimento, anche tenuto conto della sospensione prevista dall'art. 2941 c.c., n. 7, per il periodo in cui l'amministratore è stato in carica (nella specie, fino alla sentenza dichiarativa del fallimento), ferma la possibilità di provare che l'insufficienza patrimoniale sia divenuta manifesta in una data anteriore, prova che nella specie non era stata fornita dal T.; ha poi valutato positivamente la sussistenza degli illeciti contestati.

4.- Avverso questa sentenza il T. ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi. La Curatela resiste con controricorso (nel quale è inserito un ricorso incidentale condizionato) e memoria.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Nel primo motivo del ricorso principale il T. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 146, artt. 2394 e 2949 c.c., per avere erroneamente fatto decorrere il dies a quo della prescrizione dalla data della sentenza di fallimento, anzichè dal momento della esteriorizzazione dell'insufficienza patrimoniale in data antecedente alla sentenza di fallimento e, in particolare, dalla pubblicazione del bilancio di esercizio del 1995.

Il motivo è infondato.

L'azione di responsabilità contro gli amministratori e sindaci, esercitata dal curatore del fallimento, a norma della L. Fall., art. 146, compendia in sè le azioni contemplate dagli artt. 2393 e 2394 c.c., ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia dei soci e dei creditori sociali; essa sorge nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente per il soddisfacimento dei creditori della società (il che consente di affermare che il danno da essi subito costituisce la misura del loro interesse ad agire) e si manifesti il decremento patrimoniale (sotto forma di danno - emergente e lucro cessante) costituente il pregiudizio che la società non avrebbe subito se non vi fosse stato il loro comportamento (commissivo od omissivo) illegittimo (cfr. Cass. 10937 del 1997, n. 10488 del 1998).

E' stato rilevato che, pur avendo un contenuto inscindibile (in tal senso Cass. n. 17033 del 2008), il curatore possa scegliere quale delle due azioni esercitare (l'una, a favore della società, contrattuale e l'altra, a favore dei creditori sociali, extracontrattuale), diversi essendo il regime della decorrenza del termine di prescrizione, l'onere della prova e i criteri di determinazione dei danni risarcibili (v. Cass. n. 10378 e 15955 del 2012). Si tratta evidentemente di una facoltà, ben potendo il curatore - come accertato nella fattispecie dai giudici di merito - scegliere di esercitare entrambe le azioni.

Tanto premesso, con riguardo alla decorrenza del termine di prescrizione (quinquennale per entrambe le azioni), quella ex art. 2394 c.c., decorre non dal momento in cui i creditori abbiano avuto effettiva conoscenza dell'insufficienza patrimoniale - che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica, non corrisponde allo stato di insolvenza di cui alla L. Fall., art. 5, nè alla perdita integrale del capitale sociale (che non implica necessariamente la perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale) - ma dal momento, che può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione del fallimento, in cui essi siano stati in grado di venire a conoscenza dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società (v. Cass. n. 9619 del 2009, n. 20476 del 2008, n. 941 del 2005). In ragione dell'onerosità della suddetta prova a carico del curatore, avente ad oggetto l'oggettiva percepibilità dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando all'amministratore convenuto nel giudizio (che eccepisca la prescrizione dell'azione di responsabilità) dare la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (v. Cass. n. 13378 del 2014). La relativa prova, se è vero che può desumersi anche dal bilancio di esercizio (v. Cass. n. 20476 del 2008), deve pur sempre avere ad oggetto "fatti sintomatici di assoluta evidenza" (indicati da Cass. n. 8516 del 2009 nella chiusura della sede sociale, nell'assenza di cespiti suscettibili di esecuzione forzata, ecc), nell'ambito di una valutazione che è riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa. Nella fattispecie in esame, la Corte d'appello ha escluso che il dies a quo del termine prescrizionale potesse farsi decorrere, come invocato dal T., da una data antecedente alla dichiarazione di fallimento, e cioè dalla pubblicazione del bilancio del 1995, dal momento che, a quell'epoca, l'incapienza patrimoniale non era oggettivamente percepibile da parte dei terzi, essendo stata verosimilmente occultata, come indirettamente risultava da una delibera del 29 aprile 1995 che aveva disposto l'aumento del capitale sociale e il ripianamento delle perdite di esercizio. Sulla base di questa congrua valutazione, non specificamente censurata con apposito mezzo ex art. 360 c.p.c., n. 5, il motivo in esame è infondato nella parte in cui invoca, ai fini della decorrenza della prescrizione dell'azione di responsabilità nei confronti dei creditori sociali, una data diversa e anteriore rispetto a quella della dichiarazione di fallimento.

Analogamente, con riguardo all'azione sociale, il termine prescrizionale decorre dal momento in cui il danno diventi oggettivamente percepibile all'esterno e cioè si sia manifestato nella sfera patrimoniale della società, non rilevando a tal fine che l'azione di responsabilità abbia natura contrattuale ex art. 2392 c.c., in virtù del rapporto fiduciario intercorrente con l'amministratore (analogamente, sulla decorrenza della prescrizione nelle azioni di responsabilità contrattuale, v. in generale Cass. n. 12666 del 2003, n. 10493 del 2006, n. 19022 del 2007, n. 5504 del 2012). La Corte napoletana ha tenuto conto della sospensione del termine fino a quando l'amministratore sia in carica (art. 2941 c.c., n. 7) e, pertanto, essendo il T. cessato dalla carica alla data della dichiarazione del fallimento, correttamente ha ritenuto che il termine prescrizionale non decorresse da una data antecedente.

2.- Nel secondo motivo il T. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 184 e 210 c.p.c., D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 12, artt. 24 e 111 Cost., a proposito del rigetto dei mezzi di prova, che sarebbero invece ammissibili e rilevanti, volti a dimostrare l'infondatezza dell'addebito contestatogli di avere riscosso indebitamente l'importo dell'assegno destinato alla società.

Il motivo è infondato, essendo volto a una impropria revisione del giudizio di fatto compiuto dai giudici di merito, senza la specifica indicazione di vizi logici o rilevanti lacune argomentative della sentenza impugnata, limitandosi il ricorrente a riproporre il motivo di appello con il quale egli si era lamentato di non essere stato ammesso a provare che l'assegno (di L. 262.700.000) era stato riscosso da un fornitore della società (sig. A.). La Corte territoriale lo ha ritenuto infondato, valutando la suddetta prova come irrilevante, essendo illecito il fatto in sè di avere favorito la riscossione da parte di un creditore con preferenza rispetto agli altri, senza alcuna contabilizzazione e senza alcun vantaggio per la società e la massa, dal momento che il debito della società non si era estinto e che lo stesso A. aveva proposto domanda tardiva di ammissione del credito al passivo. E' una valutazione non specificamente censurata e, quindi, insindacabile in sede di legittimità.

3.- Nel terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 1476 c.c., e vizio di motivazione, in ordine all'affermata sua responsabilità per l'acquisto per conto della società di un capannone gravato da ipoteca, senza tuttavia considerare la responsabilità del notaio rogante che non aveva effettuato le necessarie visure catastali e ipotecarie, avendo i giudici di merito illogicamente ritenuto che egli fosse a conoscenza dell'ipoteca in virtù del rapporto di parentela esistente tra di lui e il venditore, al quale, invece, non avrebbe dovuto darsi alcun rilievo.

Il motivo è infondato per ragioni analoghe a quelle riguardanti il precedente motivo. La Corte d'appello ha condiviso la valutazione del primo giudice circa la mala fede del T., il quale non poteva non essere informato del risalente vincolo ipotecario esistente sull'immobile venduto dal padre, situato nello stesso compendio immobiliare in cui vi era l'azienda della società fallita; inoltre, la eventuale responsabilità del notaio rogante per la mancata rilevazione del vincolo non faceva escludere quella del T..

Il ricorrente vorrebbe una rivalutazione di questo giudizio di fatto, inammissibile in sede di legittimità, non avendo puntualmente denunciato specifici vizi argomentativi.

4.- Nel quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., e vizio di motivazione, perchè la Corte d'appello, in accoglimento del secondo motivo dell'appello incidentale della Curatela, lo aveva ritenuto responsabile del mancato rinvenimento delle rimanenze di magazzino in mancanza di prove al riguardo. Anche rispetto a questo motivo la censura del ricorrente mira a una revisione del giudizio di fatto che è stato congruamente effettuato dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto che egli non avesse fornito alcuna giustificazione attendibile della mancanza della merce al momento delle operazioni di inventario.

5.- Il ricorso principale è quindi infondato.

Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.

6.- Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2015