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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 12804 - pubb. 11/06/2015.

Autorizzazione allo scioglimento di un contratto ex articolo 169 bis L.F. in sintonia con il progetto di superamento della crisi proposto dal debitore e determinazione dell'indennizzo in conformità alle indicazioni dallo stesso fornite


Tribunale di Roma, 16 Febbraio 2015. Est. Lucia Odello.

Concordato preventivo - Contratti in corso di esecuzione - Sindacato del tribunale - Scioglimento del contratto strumentale al progetto di superamento della crisi - Determinazione dell'indennizzo in conformità alle indicazioni del proponente


Il tribunale può autorizzare lo scioglimento ai sensi dell'articolo 169 bis L.F. di un contratto in corso di esecuzione qualora lo stesso si riveli necessario e strumentale rispetto ai contenuti del progetto di superamento della crisi e dunque utile al soddisfacimento dei creditori concordatari, determinando l'indennizzo in conformità alle indicazioni del proponente. (1) (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Segnalazione del Dott. Mattia De Luca


Il testo integrale




(1) Dall'articolo "I contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo: il compito dell’imprenditore di dar forma alla proposta e la tutela del terzo contraente" di Franco Benassi:

[...]

2. La discrezionalità del debitore nella scelta dei contratti sui quali intervenire. La nuova disciplina di cui stiamo parlando non prevede che il giudice della procedura disponga lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione, ma, più precisamente, dispone che il debitore che propone il concordato possa chiedere l’autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione.

La norma affida, quindi, al debitore che formula la proposta e che progetta il piano non solo l’iniziativa di formulare al tribunale o al giudice delegato la richiesta, ma prima ancora il compito di scegliere quali rapporti proseguire e quali, invece, sciogliere.

Il debitore dispone, perciò, di un potere discrezionale che, come autorevole dottrina ed una decisione di merito hanno affermato subito dopo l’introduzione della nuova disciplina, consiste in un diritto potestativo che la legge attribuisce a colui che propone il concordato preventivo1.

Il concordato è una procedura che prevede una componente negoziale, la quale si esplica soprattutto nella facoltà concessa al debitore che si trova in stato di crisi o di insolvenza di formulare ai creditori una proposta di soluzione, di superamento di questa sua condizione.2

E’, quindi, la stessa disciplina del concordato ad affidare al debitore l’onere di progettare una modalità di superamento della crisi: a lui spetta la scelta se proporre o meno un concordato ed a lui solo è affidato il compito di determinare il contenuto della proposta e del piano3.

Ma se su questo aspetto del concordato non vi sono dubbi, come non ve ne sono sul fatto che il debitore possa scegliere le modalità attuative più varie, anche diverse dal puro e semplice pagamento, appare allora evidente che essendo la gestione dei contratti pendenti parte della proposta e del piano concordatari, non possa essere altri che lo stesso debitore a scegliere quali contratti dovranno proseguire e quali invece no.

Possiamo affermare, in sostanza, che tale decisione attiene ed è strettamente connessa con le modalità di soluzione della crisi che il debitore intende sottoporre al voto dei creditori. 4

Da questo rilievo emerge con evidenza come, nella scelta dei contratti pendenti da abbandonare, non sia concepibile un intervento autoritativo del tribunale, il quale, come sappiamo, non interviene nella progettazione della soluzione concordataria, ma la controlla in un momento successivo, mantenendola entro i binari tracciati dalla normativa, quali interpretati dalla nota sentenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione 25 gennaio 2013, n. 15215.

Questo specifico profilo è stato colto e sottolineato da una recente decisione, che ha evidenziato come il conferimento all’impresa che propone il concordato di un potere sui rapporti pendenti destinato a prevalere sull’interesse dell’altra parte contrattuale sia espressione di una scelta di favore per l’iniziativa concordataria tesa al superamento dello stato di crisi o di insolvenza6.

 

3. Gli effetti dell’autorizzazione ottenuta dall’imprenditore. L’art. 169-bis legge fallim. contiene un altro termine che connota ancora di più l’istituto dal punto di vista di cui stiamo parlando. La norma, infatti, non stabilisce che, in caso di accoglimento della richiesta del debitore, il tribunale o il giudice delegato dichiari sciolti i contratti; prevede soltanto che il giudice autorizzi l’imprenditore a sciogliersi o a sospendere i contratti.

Autorizzare il titolare di un rapporto contrattuale a compiere un determinato atto non significa sostituirsi a lui nel compimento di quell’atto, significa attribuirgli la facoltà di scegliere se avvalersi o meno del potere di compiere l’attività per la quale l’autorizzazione è stata chiesta ed ottenuta.

Per questa ragione, riteniamo vadano considerate con la necessaria prudenza quelle decisioni, le quali, accogliendo l’istanza proposta dall’imprenditore ai sensi dell’art. 169-bis legge fallim., si sono pronunciate dichiarando direttamente lo scioglimento dei rapporti e, in certi casi, ordinando al terzo contraente di riversare al debitore le somme che la normale prosecuzione del rapporto gli avrebbe consentito di incassare7.

Se il debitore, una volta ottenuta l’autorizzazione allo scioglimento, vorrà farne uso, lo dovrà fare mediante un atto di natura negoziale, il quale consisterà nel portare a conoscenza della sua controparte contrattuale la volontà di esercitare il potere di scioglimento o di sospensione nei limiti consentiti dall’autorizzazione concessa dal giudice.

Ottenuto il provvedimento, il debitore potrà, pertanto, comunicare al terzo di essere stato autorizzato a sciogliersi o a sospendere il contratto ed espressamente dire cosa intende fare, ponendo così in essere una comunicazione a contenuto negoziale che incide sul rapporto contrattuale. L’imprenditore, potrà, inoltre, notificare al terzo il provvedimento autorizzatorio ai fini della sua eventuale impugnazione, trattandosi di atto reclamabile ai sensi dell’art. 26 legge fallim.

Sulla scorta di queste considerazioni, si ritiene, pertanto, di condividere quella giurisprudenza, la quale ha sostenuto che la dichiarazione di volontà del debitore di avvalersi dell’autorizzazione ottenuta è implicita nell’atto di notifica del provvedimento del giudice al terzo8.

Quanto agli effetti veri e propri della modifica ex art. 169-bis legge fallim. dei contratti in corso, ci pare che gli stessi non possano che prodursi dal momento della comunicazione effettuata dall’imprenditore al terzo con l’intenzione di provocare l’effetto dello scioglimento o della sospensione. Lo scioglimento non potrà quindi prodursi in modo automatico dalla data della decisione del tribunale o dalla domanda di concordato.

Se l’opzione offerta dall’istituto in esame deve essere considerata una parte del piano di concordato, appare evidente che l’effetto su ogni singolo contratto dovrà essere coerente con la prorgammazione prevista nel piano. Non è detto, quindi, che, per ragioni che attengono alla configurazione del piano e della proposta, lo scioglimento non possa avere effetto in un momento successivo. Il debitore che sia stato autorizzato ad avvalersi delle facoltà di cui stiamo parlando dovrà, quindi, comunicare al terzo anche la decorrenza degli effetti della scelta operata9.

Ed è questo un adempimento di particolare importanza, poiché se lo scioglimento (o la sospensione) ha effetto dalla comunicazione al terzo, prima di tale momento potranno prodursi oneri di natura prededotta che inevitabilmente graveranno sulla fattibilità della proposta. E’, dunque, evidente che anche la tempistica degli effetti ha importanza determinante: il debitore non solo dovrà prevedere la decorrenza di questi effetti, ma dovrà anche far sì che essi si producano al momento opportuno, in armonia a quanto previsto dal piano rispetto al quale l’opzione di cui parliamo deve essere funzionale. 10

 

4. L’ambito di valutazione del giudice chiamato a decidere sulla richiesta di autorizzazione. Una volta affermato che la decisione se sciogliere o meno determinati contratti compete al debitore, perché si tratta di opzione strettamente ed inscindibilmente legata alla progettazione della proposta concordataria e che, dopo aver ottenuto dal giudice l’autorizzazione, il debitore dovrà attivarsi per comunicare e rendere efficace nei confronti del contraente la propria decisione, occorre chiedersi quale significato dare al termine autorizzazione, letto dal punto di vista del giudice chiamato a decidere se accogliere o meno la richiesta.

La norma ha voluto, infatti, che la facoltà concessa all’imprenditore di sciogliere o sospendere i contratti in corso di esecuzione fosse esercitata sotto il controllo del tribunale. Il legislatore, pur lasciando all’imprenditore la libertà di progettare la proposta ed il piano di concordato, ha voluto che la parte del piano che riguarda lo scioglimento dei rapporti contrattuali in essere con i terzi fosse sorvegliata dall’autorità giudiziaria.

Per individuare la ragione che ha indotto il legislatore a prevedere l’intervento del giudice nella delicata fase di progettazione della proposta, dobbiamo tenere presente che il contesto di applicazione dell’istituto in esame è quello della soluzione concordataria della crisi di impresa, posto che esso è previsto da una norma speciale che riguarda esclusivamente il concordato preventivo.

Questa considerazione porta alla riflessione di carattere preliminare se gli effetti derivanti dalla sospensione dei contratti possano avere, come alcune decisioni di merito hanno affermato11, carattere permanente e prodursi anche al di fuori ed indipendentemente dalle sorti della domanda di concordato.

Non si vuole in questa sede approfondire tale complesso argomento, ma solo evidenziare come potrebbe essere contrario allo spirito della norma attribuire effetti permanenti e, ciò che più importa, esorbitanti dall’ambito della procedura, ad una disciplina speciale concepita per progettare la proposta concordataria. Riesce difficile credere che l’atto negoziale nel quale si concreta lo scioglimento, un atto che trova la sua causa, la sua ragione giuridica ed economica, nella formulazione di una domanda di concordato, possa conservare efficacia anche nel caso in cui la proposta sia rinunciata, dichiarata inammissibile o semplicemente non approvata dai creditori.

Su questo specifico aspetto, due recenti arresti hanno sostenuto che l’autorizzazione di cui all’art. 169-bis legge fallim. non determina di per sé l’effetto sostanziale del definitivo scioglimento del contratto, ma solo quello procedimentale di consentire al proponente di presentare ai creditori una proposta e un piano che lo prevedano12 e che “i timori in ordine alle conseguenze dello scioglimento o della sospensione dei contratti in corso di esecuzione disposta ai sensi dell'articolo 169-bis legge fallim. per l'ipotesi di esito anomalo del concordato con riserva (rinunzia o inammissibilità o improcedibilità della domanda) possono essere fugati dalla correlata caducazione ex tunc di tutti gli effetti prenotativi e protettivi, con conseguente riespansione del diritto risarcitorio del contraente in bonis in regime di “prededuzione di fatto”, legata al venir meno della condizione concorsuale.”13

Riprendendo il tema dell’ambito di valutazione del giudice chiamato a decidere sull’istanza ex art. 169-bis legge fallim., crediamo che per la corretta impostazione del problema si possa attingere ai principi enunciati dalla già citata decisione della Suprema Corte, la quale ha distinto la fattibilità giuridica della proposta da quella economica.

Facendo applicazione di siffatto principio anche ai contratti pendenti, riteniamo sia possibile definire l’ambito di intervento del giudice in maniera coerente ed armonica con il resto del sistema.

Non crediamo, allora, che siano da avallare le opinioni di coloro che hanno attribuito al giudice la facoltà di valutare la convenienza dello scioglimento o della sospensione dei contratti in quanto trattasi di valutazione riservata al debitore che deve dar forma alla proposta ed ai creditori chiamati ad approvarla.14

Alla luce di questo principio, si dovrebbe escludere che al giudice competa la valutazione di convenienza in ordine a scelte di carattere imprenditoriale ed economico che comportano un rischio, ovvero che il giudice possa, ad esempio, stabilire se sia più conveniente un contratto di locazione di un immobile piuttosto che una locazione finanziaria o altre soluzioni, in quanto si tratta di scelte che vanno lasciate all’ambito loro proprio dell’iniziativa economica.

Questa posizione ha trovato conforto in un arresto della giurisprudenza di merito che offre più di uno spunto di approfondimento nella direzione che abbiamo imboccato15.

In esso si legge che al tribunale compete uno scrutinio di legittimità, che si articola nella qualificazione del rapporto come contratto effettivamente in corso di esecuzione. Si tratta, in realtà, di una verifica imposta dallo stesso articolo 169-bis, il quale prescrive che la disciplina di cui parliamo è applicabile non a tutti i rapporti ma solo a quelli in corso di esecuzione.

Si legge, poi, nella decisione, che al tribunale non spetta alcun accertamento di merito, salvo quello relativo alla funzionalità16 dello scioglimento con il piano concordatario. E tale concetto viene vieppiù esplicitato ove si afferma che, a ben vedere, l’indagine del tribunale si risolve nella mera verifica di non contraddizione del piano in generale con la parte relativa allo scioglimento dei contratti. Non solo, quindi, il giudice non indaga sul merito della scelta, ma si limita a verificare che questa non si ponga in contraddizione con la struttura generale del piano.

Le due affermazioni, la prima che esclude l’indagine sul merito e la seconda che la limita ad una verifica di non contraddizione, rivelano il tentativo di evitare una valutazione erroneamente destinata a sovrapporsi a quella demandata ad altri soggetti: l’imprenditore che confeziona la proposta e i creditori chiamati ad esprimersi sulla sua approvazione. 17

La giurisprudenza ha, poi, compiuto ulteriori progressi sulla definizione dell’ambito valutativo del tribunale, precisando che quest’ultimo potrà rigettare l’istanza esclusivamente quando appaia incongruente con la proposta concordataria e che ogni ulteriore vaglio, ivi compreso quello della convenienza per gli stessi creditori, comporta un giudizio sull’opportunità economica e sulla meritevolezza della proposta che esula dal sindacato sulla causa concreta, che costituisce il limite di giudizio del tribunale18.

Si va facendo strada, dunque, l’applicazione, anche ai contratti pendenti, della linea interpretativa proposta dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, la quale ha tracciato l’ambito di valutazione del giudice nel concordato preventivo attraverso la distinzione tra fattibilità giuridica e fattibilità economica19.

E questa impostazione è a nostro avviso da condividersi, atteso che, come abbiamo detto, l’opzione offerta dal 169-bis legge fallim. è uno strumento per la progettazione della proposta concordataria che può essere utilizzato solo dall’imprenditore.

La previsione del potere autorizzativo del giudice al quale viene formulata la richiesta ha lo scopo di prevenire l’abuso di questo strumento, il quale, senza il controllo del tribunale, potrebbe essere utilizzato senza effettivo rapporto con la domanda di concordato e per fini estranei alla causa del superamento della situazione di crisi che la caratterizza.

Per non porsi sul terreno scivoloso di categorie dai confini in continuo mutamento, si potrebbe ipotizzare che l’indagine del tribunale debba avere ad oggetto il rapporto dello scioglimento dei contratti con il piano e la proposta e, quindi, la verifica che tra i due fattori vi sia un nesso logico e funzionale, con esclusione di ogni valutazione di convenienza.

Tutte le volte in cui non possa rinvenirsi questo legame della domanda di scioglimento con la proposta e con il piano, tutte le volte in cui lo strumento non sia giustificato nell’ambito del più ampio contesto della formulazione di una proposta di concordato che abbia come causa il superamento della situazione di crisi o di insolvenza, l’autorizzazione dovrà essere negata.

 

5. Coordinamento tra la proposta e l’istanza ex art. 169-bis legge fallim. e la quantificazione dell’indennizzo spettante al terzo. Se la scelta in ordine ai contratti spetta al debitore ed è un parte inscindibile del piano, perché è funzionale alla sua realizzazione, allora è evidente che l’istanza debba, di regola, essere proposta unitamente al piano di concordato e prevedere la quantificazione dell’indennizzo dovuto al terzo contraente, così come disposto dal secondo comma dell’art. 169-bis legge fallim.

La quantificazione dell’indennizzo, che la norma prescrive sia determinato in misura pari al risarcimento del danno che il terzo contraente subisce per effetto dell’inadempimento, è, pertanto, un compito che compete all’imprenditore che propone il concordato.

Questi, così come ha l’onere di dichiarare e quantificare gli altri debiti, allo stesso modo dovrà quantificare e dichiarare l’indennizzo dovuto al terzo che subisce lo scioglimento o la sospensione degli effetti del contratto. 20

L’omissione di detta indicazione potrebbe costituire un profilo di inammissibilità della domanda di scioglimento forse rilevabile d’ufficio da parte del giudice, in quanto priva questo istituto di uno dei suoi elementi essenziali, il quale peraltro, come vedremo, ha una precisa funzione nell’ambito della procedura.

La mancata indicazione dell’indennizzo si traduce nella omissione di una passività espressamente prevista da una norma di legge, un’omissione che può ripercuotersi in diverse direzioni, perchè rende opaca la stessa vicenda dello scioglimento non solo agli occhi del giudice chiamato ad autorizzarla, ma anche al cospetto dei creditori, i quali non possono valutare la convenienza della scelta alla luce degli oneri che comporta e della sua stessa funzionalità al buon esito del piano.

In termini più generali, questa omissione determina la mancata dichiarazione di una passività che la legge vuole sia collocata tra i crediti concordatari.

E’ poi evidente che l’omesso assolvimento a questa prescrizione porta ad uno squilibrio nell’ambito del piano di concordato, poiché quello del terzo contraente potrebbe essere un credito in grado di influire sulla fattibilità della proposta, oltre che intaccare la attendibilità della stessa, perché non offre ai creditori informazioni essenziali per stimare la convenienza 21.

Per queste ragioni, la sostenibilità della scelta in ordine ai contratti dovrà essere oggetto di valutazione da parte del professionista attestatore nella sua relazione di cui all’art. 161, comma 3, legge fallim.22.

La quantificazione dell’indennizzo, che nei casi di particolare complessità potrebbe richiedere adeguati approfondimenti, oltre ad avere la finalità di dare a tutti i creditori un’informazione chiara e completa in ordine alla proposta, ha lo scopo di offrire allo stesso terzo contraente elementi di valutazione della propria posizione e del proprio credito, così come esposto dal debitore e come tale appostato al passivo concordatario23.

Qualora, poi, come è consigliabile che sia, il credito del terzo venga collocato in apposita classe, l’informazione di cui stiamo parlando consentirà al giudice di esprimersi sulla corretta formazione della classe sotto il profilo della comunanza di posizione giuridica e di interessi economici dei creditori che la compongono.

Non dovrebbero, infine, esservi dubbi sul fatto che la soluzione dell’eventuale controversia tra debitore e terzo relativa alla misura dell’indennizzo sia demandata al giudice ordinario24, secondo le disposizioni sulla competenza per materia e per valore dettate dal codice di procedura civile. Anche per questa ragione, devono essere respinte quelle opinioni che vorrebbero giustificare la convocazione del terzo contraente in sede di istanza ex art. 169-bis legge fallim. con la necessità di determinazione dell’indennizzo.

Nell’ambito del procedimento di concordato la quantificazione del credito dei creditori e del terzo contraente può, infatti, avere rilievo solamente ai fini della votazione e, come prevede l’art. 176 legge fallim., viene risolta in via provvisoria dal giudice con un giudizio sommario che ha effetti esclusivamente con riguardo al voto ed al calcolo delle maggioranze, senza, come dice la norma, che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi25.


1 INZITARI, I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 169-bis L.Fall., cit.: “Il sopravvenire della procedura di concordato attribuisce al debitore un potere nuovo, quello di esercitare il diritto potestativo allo scioglimento del contratto, che … deve essere integrato dall’autorizzazione del tribunale o del giudice delegato.”; nello stesso senso Tribunale Salerno, 25 ottobre 2012, in Fallimento, 2013, 1, pag. 75, con nota critica di P.Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo con riserva, ivi, pag. 95 s., secondo il quale l’art. 169-bis non indica "un criterio in base al quale parametrare questo genere di autorizzazioni", che perciò costituirebbero "una mera presa d’atto di un diritto potestativo del debitore, che sceglie di sciogliersi da un determinato rapporto giuridico nell'ambito di un proprio disegno imprenditoriale, che nel caso del pre-concordato non è obbligatorio comunicare al tribunale, chiamato ad attendere il deposito del piano".

2 Il contenuto del piano è rimesso alla valutazione del debitore in piena autonomia, laddove ai creditori è rimesso il potere di esprimere il proprio parere attraverso il voto, così Fimmano’, Contratti d’impresa in corso di esecuzione e concordato preventivo in continuità, in Dir. Fall. 2-2014, p. 227.

3 L’art. 160, al primo comma, lascia al debitore la scelta se proporre o meno il concordato: L’imprenditore può (e non deve) proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può (e non deve) prevedere.

4 Tribunale Modena, 7 aprile 2014, in Il Caso.it, I, 10335.

5 Cassazione, Sez. Un. Civ., 25 gennaio 2013, n. 1521, In Il Caso.it, I, 8401.

6 Tribunale Rovigo, 6 marzo 2014, in Il Caso.it, I, 10170.

7 Tribunale Piacenza, 8 giugno 2013, in Il Caso.it, 8631; Tribunale Piacenza, 5 aprile 2013, ivi, I, 8798; Tribunale Monza, 27 novembre 2013, ivi, I, 9823. Frequente è il caso dei rapporti bancari con linee auto-liquidanti. Si sono viste decisioni che, in accoglimento della richiesta di scioglimento, anziché autorizzare il debitore a sciogliersi o a sospendere i contratti bancari in corso, hanno dichiarato sciolti i rapporti ed anche ordinato alla banca di versare all’imprenditore in concordato le somme che la banca avrebbe incassato per effetto dei mandati all’incasso previsti nei contratti di credito. Poiché l’art. 169-bis non prevede la pronuncia di un siffatto ordine al terzo, lo stesso dovrebbe essere censurabile ex art. 26 legge fallim. Sul tema dello scioglimento dei rapporti bancari Appello Brescia, 19 giugno 2013, ivi, I, 9155, la quale ha affermato la legittimità della compensazione dei pagamenti ricevuti da terzi in relazione al portafoglio presentatole dalla debitrice ed oggetto di anticipazione qualora il credito anticipato al cliente sia anteriore alla ammissione alla procedura e la riscossione del relativo credito sia invece posteriore; Tribunale di Genova, 4 novembre 2013, ivi, I, 10059; Tribunale Monza, 27 novembre 2013, ivi, I, 9823.

8 Appello Genova, 5 febbraio 2014, in Il Caso.it, I, 10080.

9 Appello Genova, 5 febbraio 2014, cit., che sul punto afferma che gli effetti del provvedimento del tribunale che autorizza il debitore a valersi dello scioglimento dai rapporti pendenti ai sensi dell’art. 169 bis decorrono solo dal momento in cui il debitore comunica al proprio creditore di voler esercitare tale facoltà: tale dichiarazione di volontà è implicita nella notifica del provvedimento giudiziale che autorizza il debitore allo scioglimento; Tribunale Modena, 7 aprile 2014, cit.

10 Non si deve dimenticare che la progettazione della proposta e del piano potrebbe richiedere le soluzioni più disparate. Potrà per esempio presentarsi la necessità di sospendere un contratto per il tempo necessario alla cessione del medesimo unitamente all’azienda e fare in modo che lo stesso riprenda a produrre i suoi effetti in capo al cessionario. Se il periodo di sospensione è anche solo in parte successivo all’inizio della procedura (anche con riserva ex art. 161, comma, 6, legge fallim.) si potranno evitare i costi in prededuzione generati dalla prosecuzione del rapporto.

11 In termini dubitativi Tribunale Rovigo, 6 marzo 2014, cit.

12 Tribunale Pistoia, 23 gennaio 2014, in Il Caso.it, I, 10277, con nota di T.Stanghellini.

13 Tribunale Terni, 27 dicembre 2013, in Il Caso.it, I, 9856.

14 Così P.Vella, nota a Tribunale Salerno, 25 ottobre 2012, cit.

15 Tribunale di Pistoia, 9 luglio 2013, in Il Caso.it, I, 9381.

16 Anche Tribunale Modena, 7 aprile 2014, cit. si esprime in termini di “funzionalità”.

17 Tribunale Pistoia, cit., secondo cui lo scioglimento o la prosecuzione del contratto pendente prevista dall'articolo 169 bis L.F. integra anche una questione di convenienza, come tale rimessa ai creditori nell'ambito della più ampia valutazione della proposta concordataria, diritto, questo, che non può essere espropriato senza negare la funzione stessa del concordato preventivo. Ne consegue che il luogo deputato a valutare se sia conveniente una prospettiva concordataria con lo scioglimento dei contratti o un'alternativa ove nel patrimonio del debitore sia ancora presente un rapporto contrattuale altrimenti destinato alla risoluzione, non può che essere quello dell'approvazione del concordato mediante il conseguimento delle maggioranze di cui all'articolo 177 legge fallim.

18 Tribunale Rovigo, 6 marzo 2014, citata.

19 Cass. Sez. Un. Civ., 23 gennaio 2013, n. 1521, citata, commentata da FABIANI, Guida rapida alla lettura di Cass. S.U. 1521/2013, in Il Caso.it, II, 343.

20 Tribunale Modena, 7 aprile 2014, citata; Fimmano’, Contratti d’impresa in corso di esecuzione e concordato preventivo in continuità, cit., p. 236, secondo cui la determinazione dell’indennizzo deve avere riguardo all’equilibrio delle prestazioni con riferimento al margine di guadagno derivante dalla scelta operata.

21 Tribunale Modena, 7 aprile 2014, citata, dove, nel caso specifico, la mancata e ritardata comunicazione al terzo contrarente della volontà di sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione ha comportato l’emersione di passività in prededuzione che hanno assorbito le risorse destinate ai creditori chirografari e pregiudicato la fattibilità del concordato.

22 Tribunale Modena, 7 aprile 2014, citata.

23 Particolarmente complessa si prospetta la determinazione dell’indennizzo spettante al terzo nei rapporti bancari ove si è in presenza di mandati all’incasso ma anche di cessioni munite di data certa anteriore, e quindi opponibili, alla procedura di concordato ex artt. 45 e 169 legge fallim.

24 Fimmanò, Contratti d’impresa in corso di esecuzione e concordato preventivo in continuità, cit., p. 238; Tribunale Pistoia, 9 luglio 2013, cit.

25 Cassazione civile, 12 novembre 1993, n. 11192, in Giust. Civ. 1994, I, 357 con nota di LO CASCIO, Dir. Fall., 1994, 291 e in Fallimento 1994, 291.