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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1140 - pubb. 02/03/2008.

Concordato preventivo, valutazione dei voti e poteri del tribunale


Tribunale di Reggio Emilia, 01 Marzo 2007. Pres., est. Parisoli.

Concordato preventivo – Partecipazione di qualsiasi interessato al giudizio di omologazione – Individuazione dei soggetti legittimati.

Concordato preventivo – Potere del tribunale di accertare la validità dei voti espressi con riguardo alla legittimazione dei votanti ed alla esistenza dei crediti – Sussistenza.

Concordato preventivo – Divieto di voto per il coniugi e gli affini fino al quarto grado – Applicabilità al voto espresso da persone giuridiche – Esclusione.

Concordato preventivo – Esclusione dal computo del voto della società controllante – Norma a carattere eccezionale – Applicablità al concordato preventivo – Esclusione.

Concordato preventivo – Poteri del tribunale nelle fasi di ammissione e omologazione – Natura.


L’art. 180 della legge fallimentare, ove prevede che “qualsiasi interessato” possa partecipare al giudizio di omologazione del concordato preventivo, intende riferirsi a chiunque possa subire un pregiudizio immediato e diretto dalla pronuncia, indipendentemente dal fatto che tale soggetto sia anche legittimato a proporre opposizione. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

L’art. 180 della legge fallimentare rimette senz’altro al tribunale, anche in difetto di opposizioni, il compito di verificare il raggiungimento della maggioranza di cui al primo comma dell’art. 177 e tale verifica non può limitarsi ad un mero controllo formale e contabile della correttezza dei calcoli effettuati dal giudice delegato all’esito dell’adunanza dei creditori, ma deve estendersi anche ad accertare la validità dei voti espressi, sia con riferimento alla legittimazione di chi ha votato, sia con riguardo alla sussistenza dei crediti, non potendosi seriamente dubitare che un eventuale vizio del negozio dal quale trae origine il credito debba riflettersi anche sulla validità del voto espresso dal creditore o che possa dirsi validamente esercitato il diritto di voto da chi per legge aveva il divieto di votare. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

La norma di cui all’art. 177, V comma legge fallimentare, che esclude dal voto di approvazione del concordato preventivo il coniuge del debitore ed i suoi parenti ed affini fino al quarto grado, ha carattere eccezionale e non è applicabile al caso in cui le suddette persone fisiche esprimano il voto in qualità di rappresentanti di persone giuridiche, la cui distinta soggettività giuridica è riconosciuta dall’ordinamento societario, il quale tutela i soci dall’operato degli amministratori mediante appositi specifici strumenti. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Ha carattere eccezionale e non è quindi applicabile al voto espresso nel procedimento per concordato preventivo la disposizione di cui all’art. 127, VI comma, legge fallimentare che esclude dal voto e dal computo delle maggioranze le società controllanti, quelle controllate e quelle soggette al comune controllo. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Nel procedimenti di concordato preventivo, il tribunale, al momento dell’ammissione, ove la proposta non contenga la suddivisone in classi dei creditori deve limitarsi a controllare soltanto la regolarità e la completezza della documentazione; allo stesso modo, nella fase della omologazione, in mancanza di classi e di opposizioni di merito e qualora siano state raggiunte le maggioranze di legge, resta precluso al tribunale ogni indagine relativa alla fattibilità e alla convenienza del concordato. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

 

omissis

Rilevato, in premessa:

che, con ricorso depositato il 6 settembre 2006 C.C. S.r.l. in amministrazione controllata, premesso che il biennio di tale procedura concorsuale non aveva consentito di ripristinare il necessario equilibrio economico finanziario dell’impresa, chiedeva di essere ammessa alla procedura di concordato preventivo formulando ai creditori una proposta che prevedeva:

a) l’attribuzione ai creditori di tutti i beni e i crediti facenti parte del suo patrimonio, in modo che dalla loro liquidazione fosse possibile provvedere al pagamento integrale delle spese di giustizia e dei crediti in prededuzione, al pagamento integrale dei creditori privilegiati, al pagamento dei creditori chirografari in una percentuale che veniva stimata non inferiore al 12,50% dell’importo nominale dei loro crediti alla data di apertura della precedente procedura di amministrazione controllata (28 agsoto 2004);

b) la nomina in qualità di liquidatore giudiziale del dott. Bruno Batoli, commercialista in Reggio Emilia;

che, in estrema sintesi, essendo la proposta concordataria estremamente articolata e complessa, la società debitrice, riconosciuto il proprio stato di crisi, dichiarava di fondare la proposta concordataria su un contratto di affitto di azienda concluso con terza società, INDUSTRIA C.C: S.p.A., in data 4 settembre 2006 e su proposta irrevocabile di acquisto dell’azienda stessa contenuta nel medesimo strumento contrattuale; in particolare, attraverso la esecuzione di tale contratto, la riscossione dei canoni di affitto mensili, come pattuiti, l’adempimento da parte dell’affittuaria ad obblighi di vario genere, concernenti la manutenzione e il miglioramento della struttura aziendale, l’acquisto del magazzino, l’assunzione di debiti facenti carico alla concedente, e da ultimo con il prezzo ricavato dalla cessione, indicato nella proposta irrevocabile, nella complessiva somma di euro 52.000.000,00, la società debitrice proponeva di giungere alla realizzazione della proposta concordataria, secondo tempi strettamente correlati alla stessa esecuzione del predetto rapporto, pur riservando al futuro liquidatore giudiziale la facoltà di rivolgersi al mercato e dunque di giungere ad una liquidazione dei beni e, in specie, del complesso aziendale che potesse conseguire la riscossione di importi anche superiori a quelli indicati, in modo da assicurare un maggior soddisfacimento, in percentuale, dei crediti chirografari;

che, dunque, stimato un attivo realizzabile (con l’attività di recupero di crediti vari, con la vendita di una partecipazione societaria, con la vendita delle giacenze di magazzino e con la vendita dell’azienda, alle condizioni pattuite nel rapporto contrattuale in essere e suscettibili di miglioramento in dipendenza dell’andamento del mercato) di complessivi euro 77.309.786 e pagati per intero crediti in prededuzione e crediti privilegiati, residuava un importo di euro 12.132.249 che, destinato al pagamento di crediti chirografari per complessivi euro 96.490.303, avrebbe consentito di soddisfare una percentuale pari al promesso 12,50%;

che, acquisito il parere favorevole del Procuratore della Repubblica, il Tribunale, con decreto in data 25 settembre 2006, ravvisata la completezza e la regolarità dei documenti depositati ai sensi dell’art. 161 cpv. lett. a), b) c) e d) L.F. e la esistenza della relazione del professionista attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario, dichiarava aperta la procedura di concordato preventivo, nominando il giudice delegato ed il commissario giudiziale e ordinando la convocazione dei creditori per il giorno 31 ottobre 2006.

che il commissario giudiziale depositava la relazione prevista dall’art. 172 L.F. in data 30 ottobre 2006, esprimendo parere favorevole alla proposta di concordato, pur evidenziando come dall’attività di verifica eseguita in sede di inventario e da una riclassificazione delle diverse voci dell’attivo e del passivo, poteva ipotizzarsi un pagamento dei crediti chirografari nella percentuale del 9,57%, percentuale che avrebbe potuto essere “significativamente” migliorata qualora, nel corso della liquidazione, un riesame della posizione creditorio del socio controllante, L.V. S.r.l., a sua volta in concordato preventivo, avesse comportato l’obbligo di convertire il credito di finanziamento verso la controllata a copertura delle perdite registrate nel periodo di amministrazione controllata e/o alla postergazione di tale somma ex art. 2467, 1° comma, c.c., e anche nella ipotesi in cui l’alienazione del complesso aziendale si fosse realizzata ad un prezzo superiore a quello indicato nella proposta irrevocabile di acquisto dell’affittuaria;

che all’esito della adunanza dei creditori, il giudice delegato riservava la verifica dei conteggi, decorso il termine di venti giorni di cui all’art. 178 L.F.;

che, con decreto reso il 21 novembre 2006, il tribunale fissava l’udienza dell’11 gennaio 2007 per la comparizione del debitore e del commissario giudiziale, dando così ingresso al giudizio di omologazione;

che in tale giudizio si costituiva la società proponente la quale concludeva per la omologazione della proposta concordataria; si costituivano altresì CO. – CONSORZIO NAZIONALE PER IL RECUPERO ED IL RICICLO DEGLI IMBALLAGGI A BASE CELLULOSICA, quale creditore dissenziente, nonché Q. FUND, C.F. FUND, B.R. FUND, M.S.R FUND LTD;

che tali ultime società riferivano di essere titolari di obbligazioni emesse dalla società L.V. FINANCE S.A., con sede in Lussemburgo, la quale aveva utilizzato il ricavato della emissione obbligazionaria per finanziare la società L.V. S.r.l. che a sua volta, quale titolare dell’intera partecipazione societaria di C DI C. S.r.l., aveva riversato in quest’ultima il finanziamento ricevuto da L.V. FINANCE S.A.;

che, dunque, i soggetti stessi – che per comodità espositiva possono indicarsi nel prosieguo come I FONDI – sostenevano di essere portatori di un interesse che legittimava la loro costituzione in giudizio ex art. 180 L.F., ancorché non fossero creditori diretti di L.V. S.r.l. e, a maggior ragione, di C DI C. S.r.l.;

che il commissario giudiziale depositava il proprio parere favorevole alla omologazione del concordato;

che, radicato il contraddittorio e avuto lo scambio di memorie difensive, il tribunale si riservava la decisione;

rilevato altresì:

che i motivi posti a fondamento della opposizione dei FONDI alla omologazione possono essere così identificati:

a) sussiste in primo luogo un rilevante conflitto di interessi che ha inficiato la regolarità della procedura di votazione nel concordato; invero, L.V. S.r.l. rappresenta uno dei maggiori creditori di C DI C. S.r.l. ed il suo voto è risultato determinante ai fini della formazione delle maggioranze e dell’approvazione della proposta concordataria; peraltro, C DI C. S.r.l. è società controllata per intero da L.V. S.r.l.; il C.d.A. di C DI C. S.r.l. era composta da persone fisiche che, al tempo stesso erano soci e amministratori di L.V. S.r.l. e lo stesso liquidatore della società proponente era a sua volta socio e liquidatore di L.V. S.r.l.; ne consegue che il voto espresso da L.V. S.r.l. non può essere considerato genuino né rivolto a tutelare l’esclusivo interesse dei propri creditori, giacchè risulta essere espresso dagli stessi soggetti che controllano, come amministratori o soci o come entrambi, le altre società del medesimo gruppo, inclusa la società ammessa alla procedura di c.p.;

b) in secondo luogo, deve riconoscersi l’applicabilità, anche nella procedura di concordato preventivo e al voto espresso da L.V. S.r.l., del divieto contenuto sia nell’art. 177, ultimo comma, L.F. (che proprio in relazione al concordato preventivo esclude dal voto il coniuge del debitore ed i suoi parenti o affini entro il 4° grado), sia dell’art. 127, 6° comma, L.F. (che, in tema di concordato fallimentare, esclude dal voto e dal computo delle maggioranze le società controllanti, quelle controllate e quelle soggette al comune controllo)

c) nel merito, la soluzione concordataria, imperniata in massima parte sull’affitto di azienda a terza società, non è l’unica praticabile nell’interesse dei creditori e i FONDI stessi non sono mai stati posti in grado, in corso di procedura, di interloquire con la società debitrice e con il commissario giudiziale al fine di avanzare le loro proposte alternative, nonostante la loro attività consista principalmente “nell’investimento di tempo, capacità e risorse finanziarie in società che attraversino serie difficoltà e necessitino urgentemente di supporto da parte di investitori finanziari con comprovata esperienza internazionale nel “turnaround” di società in sofferenza;

che CO. ha sollevato eccezione di incompetenza territoriale del tribunale adito osservando che la sede legale della società proponente, fino ad allora in Verona, era stata trasferita in località Castellarano soltanto il 27 agosto 2004 ossia il giorno precedente il deposito del ricorso per amministrazione controllata e che, pertanto, attesa la unicità dalla procedura e il disposto del nuovo testo dell’art. 161 L.F., come modificato dal D. Lgs 5/06, tale trasferimento avrebbe dovuto ritenersi irrilevante agli effetti della individuazione del giudice competente per territorio; nel merito, poi, CO. ha sollevato dubbi sulla legittimazione al voto della società controllante L.V. S.r.l. ed osservava che la suddivisione in classi omogenee di credito rischiava di pregiudicare la par condicio creditorum poiché il creditore L.V. non poteva essere considerato portatore di interesse economico omogeneo a quello degli altri creditori chirografari;

che la società proponente ha eccepito il difetto dei FONDI a contraddire nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, facendo loro difetto qualsiasi concreto interesse ex art. 180 L.F. e art. 100 c.p.c.;

ha altresì osservato, in ordine alla eccezione di incompetenza per territorio, che il tribunale aveva ammesso la società alla procedura di amministrazione controllata, ravvisando la propria competenza per territorio sulla scorta del principio della sede effettiva della impresa e, dunque, prescindendo dal trasferimento della sede legale avvenuto pochi giorni prima del deposito del ricorso; nel merito, poi, ha contestato la fondatezza delle doglianze espresse sia dai FONDI che da CO., difendendo la piena validità del voto espresso da L.V. S.r.l. e, con ciò, la omologabilità della proposta concordataria;

ciò premesso e ritenuto, a scioglimento della riserva:

che, quanto alla eccezione di incompetenza per territorio, deve rilevarsi, in primo luogo, come lo stesso principio invocato dal creditore CO.  a fondamento della propria eccezione, con riguardo ala sede effettiva della impresa, è stato posto a fondamento del ricorso di C DI C. S.r.l. per l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata (come si desume dal tenore stesso del ricorso, laddove si evidenziava come la delibera assembleare del 25 agosto 2004 di trasferimento della sede sociale era stata assunta al solo fine di adeguare la sde legale della società alla sua sede effettiva) ed è stato recepito e fatto proprio dal tribunale, nel decreto di apertura della procedura di a.c. di C DI C. S.r.l.;

che, in ogni caso, poiché, com’è noto, la competenza deve determinarsi al momento della presentazione della domanda è certamente da escludersi l’applicabilità dell’art. 161 L.F., nel testo riformato, con riguardo al momento di apertura della procedura di amministrazione controllata, quando ancora la norma neppure esisteva;

che, del pari, ove volesse farsi applicazione della medesima norma con riguardo alla data del deposito del ricorso per concordato preventivo non potrebbero sorgere dubbi sulla competenza territoriale di questo giudice adito, poiché, come evidenziato dallo stesso creditore opponente, la sede legale della società debitrice venne trasferita a Castellarano nel mese di agosto del 2004;

che la consecuzione delle due procedure concorsuali, richiamata dal creditore opponente, è un fenomeno di unificazione delle procedure che consente l'applicazione, per interpretazione estensiva, della disciplina dell'ultimo procedimento della serie, alle situazioni anteriori e non anche il contrario e comunque non può incidere sulle regole di determinazione della competenza territoriale così come non può incidere sulla loro diversa disciplina formale;

che, in ogni caso, non vi sono ragioni – né CO. ha saputo evidenziarle – per disattendere la decisione già presa dal tribunale con il decreto di apertura di a.c. in data 27 agosto 2004, ove si consideri che ai fini di individuare la competenza territoriale in ordine alla dichiarazione di fallimento e alle altre procedure concorsuali, nella vigenza della legge anteriore, non rilevava il luogo di svolgimento dell’attività produttiva dovendosi avere riguardo al luogo in cui si trovava il centro direzionale e organizzativo della impresa stessa e che, nel caso di specie, fu proprio la sede di Castellarano ad essere individuata quale sede effettiva della società;

che, in ordine alla legittimazione a costituirsi in giudizio dei FONDI, ad avviso del collegio, il “qualsiasi interessato” menzionato dall’art. 180 L.F. può identificarsi nel soggetto che può subire un pregiudizio immediato e diretto dalla pronuncia resa nel giudizio di omologazione, come nel caso tipico del creditore che non abbia espresso il voto o che lo abbia espresso oltre il termine dei venti giorni successivi alla adunanza e che, pertanto, non può annoverarsi tra i soggetti dissenzienti, ma si troverà inevitabilmente assoggettato agli effetti del concordato, ovvero anche nel caso del creditore o del terzo che intendano sostenere le ragioni della omologazione (atteso che alla luce della nuova disciplina la costituzione in giudizio non è più consentita ai soli fini di proporre opposizione  e che il giudizio di omologazione deve comunque svolgersi anche in caso di mancato conseguimento della maggioranza di legge nella adunanza);

che invece solleva perplessità l’assunto dei FONDI secondo cui l’interessato in questione dovrebbe assimilarsi al medesimo interessato legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza che dichiara il fallimento o a reclamare i provvedimenti del g.d. ex art. 26 L.F.;

che, infatti, se pure deve riconoscersi che la identificazione di tale interesse può associarsi alla esistenza di un pregiudizio patrimoniale derivante dalla decisione oggetto del gravame, è pur vero che siffatto pregiudizio – per consentire la esistenza di un interesse ad impugnare – deve atteggiarsi come conseguenza diretta della pronuncia, come potrebbe accadere per il soggetto che, per effetto della sentenza dichiarativa, si trova esposto ad azione revocatoria o si vede sciolto ex lege un rapporto contrattuale in essere con il fallito;

che, peraltro, se si dovesse accedere alla tesi dei FONDI si verrebbe ad ampliare a dismisura e senza confini logico-giuridico la categoria dei soggetti legittimati alla opposizione ma soprattutto si verrebbe a riconoscere in concreto la possibilità che i creditori del creditore del creditore ammesso al voto, pacificamente esclusi dalla votazione, possano poi agire, in sede di opposizione, al fine di porre nel nulla l’operato del creditore del proprio creditore che, tra l’altro, non è rimasto inerte, ma ha espresso volontà di segno opposto.

che, del resto, anche i diversi casi di legittimazione alla opposizione della omologazione concordataria esaminati nel passato, sia in dottrina che in giurisprudenza, riferentisi, ad es., al creditore non ammesso al voto o ai creditori personali del socio illimitatamente responsabile della società debitrice o, ancora, al fideiussore del socio (di società di persone) che aveva ceduto i propri beni per agevolare l’accettazione della proposta, riflettono tutti la esistenza di interessi suscettibili di un pregiudizio direttamente connesso agli effetti della omologazione del concordato;

che, tuttavia, la sussistenza o meno di legittimazione dei FONDI ad interloquire in giudizio è marginale, posto che la questione principale da essi sollevata, e relativa alla validità del voto espresso da L.V. S.r.l., deve comunque essere esaminata d’ufficio dal tribunale;

che invero l’art. 180 L.F., nel nuovo testo, rimette senz’altro al tribunale, anche in difetto di opposizioni, il compito di verificare il raggiungimento della maggioranza di cui al primo comma dell’art. 177 e tale verifica non può limitarsi ad un mero controllo formale e contabile della correttezza dei calcoli effettuati dal giudice delegato all’esito dell’adunanza dei creditori, ma deve estendersi anche ad accertare la validità dei voti espressi, sia con riferimento alla legittimazione di chi ha votato, sia con riguardo alla sussistenza dei crediti, non potendosi seriamente dubitare che un eventuale vizio del negozio dal quale trae origine il credito debba riflettersi anche sulla validità del voto espresso dal creditore o che possa dirsi validamente esercitato il diritto di voto da chi per legge aveva il divieto di votare;

che ad avviso del collegio la questione della validità o meno dei voti della società controllante L.V. S.r.l. è mal posta se inquadrata in termini di conflitto di interessi, vuoi perché alla esistenza di tale conflitto la legge non ricollega nel caso di specie alcuna conseguenza in ordine alla validità del voto – né pare lecito che sia il tribunale ad elaborare categorie di invalidità che devono essere espressamente previste dalla legge – vuoi perché la fattispecie del conflitto sussiste ogni volta che un soggetto, dovendo perseguire gli interessi di un altro soggetto, persegue invece i propri, come accade ad es. nella ipotesi dell’amministratore di società che vota in modo determinante nelle deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo (artt. 2391, 2629 bis c.c.) o del rappresentante che conclude un contratto con se stesso, in proprio o come rappresentante di un'altra parte (art. 1395 c.c.);

che nel caso in esame non può dirsi che L.V. S.r.l., nella espressione del voto, abbia realizzato un conflitto con interessi di terzi soggetti che era chiamata formalmente o istituzionalmente a rappresentare, essendo incontestabile, a parere del collegio, che la società, nel votare, abbia inteso realizzare un proprio interesse e che in definitiva tale interesse era del tutto coincidente con quello della sua debitrice; e, del resto, che poi il voto – e l’interesse da esso sotteso e perseguito da L.V. S.r.l. – si sia posto in conflitto con il voto dei creditori dissenzienti è fatto che appartiene alla stessa fisiologia della procedura concorsuale e non è certo idoneo a configurare la esistenza di un conflitto di interessi nel senso evocato dai FONDI, se non altro perché in alcun modo la società era portatrice di interessi degli altri creditori concorsuali;

che, in definitiva, la decisione adottata dalla società controllante di votare a favore del concordato preventivo della società del gruppo può in tesi essere fonte di specifiche responsabilità degli amministratori nei confronti dei loro creditori ma non sembra dare vita ad alcun conflitto di interessi che consenta di ravvisare, per questa via, la invalidità del voto manifestato nel corso dell’adunanza dei creditori;

che, a parere del tribunale, neppure può escludersi il voto di L.V. S.r.l. in forza del disposto degli artt. 177, 5° comma, e 127, 6° comma, L.F.;

che, com’è noto, la prima norma esclude dal voto e da computo delle maggioranze nel concordato talune categorie di creditori legati al debitore da rapporti di coniugio, parentela o affinità mentre la seconda, introdotta con il D. Lgs. 5/06, dispone che in tema di concordato fallimentare la medesima disciplina sulla esclusione dal voto e dal computo delle maggioranze prevista per coniuge, parenti e affini, trovi applicazione anche al caso delle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo;

che i FONDI opponenti hanno affermato la possibilità di applicare in via analogica entrambe le disposizioni normative al caso di specie; in particolare, hanno sostenuto che il 5° comma dell’art. 177, dettato specificamente per la procedura in esame, non può intendersi riferita soltanto agli insolventi persone fisiche, ma è applicabile anche alle società con riferimento a coloro che esprimono o concorrono ad esprimere la volontà di tali società, essendo evidente la volontà del legislatore di evitare il formarsi di maggioranze fondate su rapporti personali o di partecipazione al medesimo gruppo e come tali espressione di volontà viziate e non meritevoli di tutela; alla medesima ratio  è ispirata la esclusione dal voto di cui al 6° comma dell’art. 127, il quale di conseguenza, ancorché dettato nel contesto del concordato fallimentare, deve applicarsi anche al voto del concordato preventivo;

che, peraltro, entrambe le norme, ad avviso del collegio, hanno natura di norme eccezionali e dunque sono soggette ad interpretazione restrittiva e certamente non suscettibile di estensione in via analogica;

che, invero, la natura di norma eccezionale, come si ricava dal disposto dell’art. 14 preleggi, deve essere riconosciuta ogni volta che una norma fa eccezione a regole generali o ad altre leggi;

che pare al tribunale potersi ricavare dalla disciplina di entrambe le procedure concordatarie, sia fallimentare che preventiva, il principio generale che il creditore del fallito o del debitore proponente ha diritto di esercitare il proprio voto in ordine alla proposta di concordato, nell’ambito più generale di quella stessa autonomia privata (art. 1322 c.c.), la quale riconosce alle parti piena libertà di regolare i propri interessi e, del resto, è stata valorizzata proprio nella nuova disciplina del concordato preventivo;

che, pertanto, le norme in esame, nell’introdurre, in deroga al principio generale del diritto di voto dei creditori, un caso di presunzione assoluta di non genuinità del voto dei soggetti indicati, a prescindere dalla esistenza e validità del loro credito, devono dirsi eccezionali e perciò di stretta interpretazione;

che, del resto, riferire il divieto di voto del coniuge, dei parenti e degli affini del debitore anche al voto degli amministratori di una società significa disconoscere la autonoma soggettività giuridica dell’ente, laddove, peraltro, è lo stesso ordinamento societario che predispone apposita tutela per i soci e i terzi creditori verso l’operato degli amministratori;

che, inoltre, nonostante la recente riforma fallimentare abbia sensibilmente ridotto le differenze tra il concordato fallimentare e il concordato preventivo, soprattutto in ordine al contenuto della proposta rivolta al ceto creditorio, la linea di demarcazione rappresentata dalla dichiarazione di fallimento del debitore è argomento decisivo per rendere conto delle diverse scelte compiute dal legislatore, che si riflettono, ad es. in tema di legittimazione alla presentazione della domanda di concordato, di contenuto del parere reso dal curatore (nel nel c.f. deve fare specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione), di svolgimento dello stesso giudizio di omologazione;

che in conclusione deve ravvisarsi la validità del voto espresso da L.V. S.r.l. (il cui credito verso C DI C. S.r.l., del resto, non è mai stato posto in discussione, quantomeno nella sua esistenza ed entità) e di conseguenza il raggiungimento della maggioranza di cui al 1° comma dell’art. 177 L.F., come attestato dal riepilogo dei voti depositato il 20 novembre 2006;

ritenuto altresì:

che, in alcuni precedenti giudizi di omologazione di concordati preventivi, nella vigenza della legge 80/05, questo tribunale ha aderito ad un primo orientamento espresso da diversi giudici di merito secondo cui l'oggetto del giudizio di omologazione, oltre all'accertamento della maggioranza di cui all'art. 177 L.F. (quando la proposta, come accaduto nel caso di specie non contempli una suddivisione dei creditori in classi), è rappresentato dalla verifica delle condizioni di ammissibilità del concordato (esclusi, invece, gli ulteriori profili di convenienza, di meritevolezza, di serietà delle garanzie che, già previsti dall'art. 181 L.F., non sono stati ripresi nella novella del 2005);

che, secondo tale orientamento, alla luce della nuova disciplina rinvenibile negli artt. 160, 161 e 163 L.F., siffatte condizioni devono identificarsi, sul piano soggettivo, nella qualità di imprenditore commerciale del debitore, e, in termini oggettivi, nella esistenza dello stato di crisi, nella presentazione di un piano avente il contenuto di cui alle lettere a), b), c) o d) dell'art. 160, e, soprattutto, per quanto qui interessa, nella attendibilità e fattibilità del piano stesso;

che, peraltro, tale orientamento non è pacifico né in giurisprudenza né in dottrina giacchè vi è chi ritiene, fondandosi sulla lettera del disposto normativo di cui all’art. 180 4° comma L.F., che il tribunale, in assenza di opposizioni, non deve svolgere alcuna indagine nel merito circa la fattibilità o anche la convenienza del concordato o in ordine alla eventuale soddisfazione dei dissenzienti (laddove non vi sia opposizione da parte di alcuni di essi) né può, in base ad una valutazione autonoma, negare l’omologazione se le maggioranze sono raggiunte, di modo che, in presenza dell’approvazione, avvenuta con l’osservanza delle norme procedimentali previste, l’omologazione diventa, per il tribunale, un atto dovuto;

che una più approfondita rimeditazione della materia induce questo tribunale a rivedere la propria precedente posizione e ad aderire a tale secondo orientamento;

che, invero, come è stato efficacemente rammentato da autorevole dottrina, il diverso orientamento urta inevitabilmente con la considerazione che il legislatore della riforma aveva a disposizione un modello metodologico da seguire – il quale scandiva il contenuto dell’esame demandato al tribunale in fase di omologazione – e tuttavia ha introdotto una disciplina radicalmente difforme, che ha espressamente limitato il controllo del tribunale alla verifica del raggiungimento delle maggioranze;

che un primo riscontro normativo della fondatezza di tale tesi si rinviene nel 3° comma dell’art. 180, per il quale “il tribunale, nel contraddittorio delle parti, assume anche d’ufficio tutte le informazioni e le prove necessarie, eventualmente delegando uno dei componenti del collegio per l’espletamento dell’istruttoria”;

che, dunque, un potere istruttorio è dato al giudice solo nel contraddittorio delle parti che si instaura soltanto quando siano state proposte opposizioni e nei limiti di quanto in esse dedotto, sicchè deve dedursi che in mancanza di opposizioni il tribunale sia privo di poteri istruttori e l’oggetto del giudizio sia limitato alla sola verifica delle maggioranze, la quale non richiede assunzione di prove;

che ancora il 5° comma dello stesso art. 180 precisa che, nel caso in cui il creditore abbia effettuato la suddivisione dei creditori in classi, “il tribunale, riscontrata in ogni caso la maggioranza di cui al primo comma dell’art. 177, può approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di creditori, se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili”;

che in sostanza la norma evidenzia come, in presenza di classi, e a prescindere da opposizioni, l’oggetto della indagine del tribunale in sede di omologa comprende, oltre alla verifica del raggiungimento delle maggioranze, anche una valutazione di merito consistente nel verificare la convenienza della proposta per i creditori appartenenti alle classi dissenzienti;

che, tuttavia, da tale considerazione deriva anche che quando il legislatore ha inteso attribuire al giudice un controllo più ampio, qualunque esso sia, di quello limitato alla verifica delle maggioranze, lo ha detto espressamente, individuando l’oggetto e i destinatari dello stesso; ma deriva altresì che, quando, come in assenza della divisione dei creditori in classi, non ha previsto un controllo di merito richiedendo soltanto la verifica delle maggioranze, ha inteso espressamente restringere a tale valutazione l’attività giurisdizionale;

che, del resto, se si aderisse alla diversa tesi che rimette al tribunale un controllo di merito della proposta concordataria nel giudizio di omologa, si finirebbe per configurare tale giudizio, in assenza di una predeterminazione dell’oggetto, come aperto a qualsiasi petitum e per riconoscere al giudice la facoltà di svolgere qualsiasi indagine di merito, estesa, pur in assenza di opposizioni sul punto o della formazione di classi, al sindacato non solo della fattibilità ma anche della convenienza del piano concordatario per tutti i creditori dissenzienti, secondo una interpretazione che è sicuramente da escludere data la accentuazione privatistica impressa dalla riforma all’istituto del concordato e la connessa riduzione dei margini del controllo giurisdizionale;

che, in conclusione, così come, al momento della ammissione, il tribunale deve limitarsi a controllare soltanto la regolarità e la completezza della documentazione, in mancanza della prospettazione di classi di creditori, allo stesso modo, nella fase della omologazione, in mancanza di classi e di opposizioni di merito, resta precluso al tribunale ogni indagine relativa alla fattibilità e alla convenienza del concordato, anche per i creditori dissenzienti, senza il potere di negare l’omologa, in base ad una valutazione autonoma, se le maggioranze sono raggiunte;

che nel caso di specie l’opposizione proposta da CO. nel merito, si fonda su una pretesa suddivisione dei creditori in classi che, in realtà, non si è mai verificata;

che, invero, la debitrice si è limitata a suddividere i creditori in privilegiati e in chirografari, muovendo da una previsione normativa di portata generale, ma non ha prospettato classi differenti destinatarie di trattamenti differenziati tra loro e suscettibili di incidere sulla graduatoria dei crediti derivante dalla legge;

che in realtà la censura mossa in parte qua da CO. pare risolversi, sostanzialmente, in una doglianza sulla mancata suddivisione dei creditori (chirografari) in classi fondate su posizione giuridica e interessi omogenei, laddove, peraltro, la nuova disciplina dell’istituto si limita a consentire all’imprenditore di proporre trattamenti differenziati per classi di creditori, ma non gli pone nessun obbligo in tal senso;

che l’opposizione dei FONDI, anche a voler riconoscere la loro legittimazione a contraddire, appare priva di serie censure nel merito della proposta concordataria, dal momento che i FONDI hanno lamentato un’asserita carenza di possibilità di comunicazione con il commissario giudiziale e l’imprenditore, in corso di procedura, e si sono limitati a prospettare una propria generica e indimostrata capacità di proporre differenti soluzioni della crisi, senza formulare alcun progetto o proposta, di contenuto concreto, idonei a porsi quale seria alternativa alla domanda della società debitrice;

che, del resto, la stessa opposizione proposta dai FONDI pare racchiudere la pretesa di sostituirsi all’imprenditore nella gestione della crisi dell’impresa, senza tener conto che, per espresso disposto di legge, durante la procedura di concordato preventivo, a differenza di quanto accade nel concordato fallimentare, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, vincolato soltanto dalla vigilanza del commissario giudiziale e con le ulteriori specifiche limitazioni connesse agli atti di straordinaria amministrazione, e che pertanto il debitore stesso, entro tali limiti, conserva la propria libertà di decisione in ordine alla soluzione della crisi dell’impresa;

che, dunque, verificato il conseguimento della maggioranza di legge, resta preclusa al collegio ogni ulteriore valutazione sulla proposta concordataria;

ritenuto, da ultimo:

che, per quanto la questione sia ancora controversa, ad avviso del tribunale il presente provvedimento, conclusivo della fase della omologazione del concordato preventivo, deve assumere la forma del decreto;

che, invero, l’art. 180, 5° comma, L.F., nel testo riformato, prevede espressamente che il tribunale, se la maggioranza di cui al 1° comma dell’art. 177 è raggiunta, approva il concordato con decreto motivato e il 7° comma aggiunge che il decreto è comunicato al debitore e al commissario giudiziale, che provvede a darne notizia ai creditori, ed è pubblicato ed affisso a norma dell’articolo 17; l’art. 181, poi, in termini inequivocabili, dice che la procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione ai sensi dell’articolo 180;

che il dubbio sulla forma che deve assumere il provvedimento che definisce il giudizio di omologa deriva dalla sopravivenza, nella nuova disciplina del concordato preventivo, di altre norme, già contenute nella pregressa normativa e non modificate, che ancora accennano testualmente alla sentenza quale provvedimento conclusivo dell’omologazione;

che, invero, l’art. 182 dispone che il tribunale debba nominare uno o più liquidatori, quando il concordato consiste nella cessione dei beni, “nella sentenza di omologazione”; l’art. 183 stabilisce che contro “la sentenza che omologa o respinge il concordato” deve essere proposto appello dagli opponenti o dal debitore, e, ancora, l’art. 168, 1° comma, si occupa degli effetti della presentazione del ricorso per concordato dalla data del deposito “fino al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato” e l’art. 185, infine, precisa che, dopo l’omologazione, il commissario giudiziale sorveglia l’adempimento del concordato “secondo le modalità stabilite nella sentenza di omologazione”;

che, tuttavia, deve condividersi l’assunto di chi ritiene che la permanenza, nel testo delle norme da ultimo citate, del termine sentenza sia la conseguenza di una mancanza di coordinamento delle norme stesse, nel testo non modificato, con il nuovo testo degli artt. 180 e 181;

che, invero, a seguito della riforma, il giudizio di omologazione non si svolge più nelle forme del giudizio ordinario di cognizione che si conclude con sentenza, come accadeva nel passato, ma assume le forme del procedimento in camera di consiglio e resta assoggettato, dove non diversamente previsto, alle regole generali di tali procedimenti, contenute negli artt. 737 e segg. c.p.c.;

che lo stesso art. 737 c.p.c. prevede che i provvedimenti che devono essere pronunciati in camera di consiglio hanno forma di decreto motivato, salvo che la legge disponga altrimenti;

che, infine, essendo prevista la cessione del patrimonio del debitore ai creditori, il tribunale deve provvedere alla nomina di un liquidatore e dettare le modalità di esecuzione della liquidazione;

che, nonostante la società abbia indicato il nominativo del liquidatore come parte integrante della proposta, è indubbio che la proposta non può in alcun modo vincolare il tribunale e che la nomina del o dei liquidatori, come prevista dall’art. 183 L.F., costituisca prerogativa del tribunale;

P.Q.M.

visto l’art. 180 L.F.,

ogni diversa e contraria istanza disattesa, così provvede:

1) omologa la proposta di concordato preventivo presentata da C DI C. S.r.l. con ricorso depositato il 6 settembre 2006;

2) nomina quale liquidatore il dott. Alberto Peroni;

3) dispone che a) la cessione del compendio aziendale, ove non debba darsi corso alla proposta irrevocabile di acquisto di INDISTRIA C.C. S.p.A., venga eseguita dal liquidatore con le forme della vendita con incanto, senza incanto o a trattativa privata, secondo la maggior convenienza, previa, in ogni caso, effettuazione di adeguata pubblicità ed acquisito il parere del commissario giudiziale; b) che gli atti di cui all’art. 35 L. F. vengano compiuti dal liquidatore previa acquisizione del parere del commissario giudiziale; c) che il ricavato delle vendite e ogni altra entrata in favore della procedura venga depositata sul libretto intestato alla procedura medesima (senza vincolo di mandato da parte del giudice delegato); d) che il pagamento dei creditori avvenga tramite piani di riparto da sottoporre al preventivo parere del commissario giudiziale, con il deposito delle somme dovute ai creditori irreperibili o contestati nelle forme di cui all'art. 117, ultimo comma, L.F.; e) che il commissario giudiziale riferisca al tribunale sull'andamento della liquidazione con relazione semestrale; f) che al termine delle operazioni di liquidazione il liquidatore renda il conto della gestione a norma dell’art. 116 L. F; g) che il giudice delegato provveda, con decreto, su ogni altra necessità che dovesse sorgere in corso di liquidazione.

Così deciso in Reggio Emilia, nella Camera di Consiglio della sezione fallimentare il 1° marzo 2007

Il Presidente Parisoli