Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 10773 - pubb. 09/07/2014

Attribuzione della qualifica di fallito alla persona fisica e contrasto con i principi che tutelano la dignità della persona e l’uguaglianza tra i cittadini

Tribunale Vicenza, 13 Giugno 2014. Est. Limitone.


Fallimento – Attribuzione della qualifica di fallito alla persona fisica – Contrasto con i principi che tutelano la dignità della persona e l’uguaglianza tra i cittadini



Gli artt. 1, co. 1, e 5, co. 1, l.f. contrastano con gli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione, per: 1) la lesione del principio di uguaglianza, per la disparità di trattamento tra un imprenditore soprasoglia ed uno sottosoglia (e tra un soggetto fallibile ed uno non fallibile) nel subire la capitis deminutio sociale conseguente alla attribuzione dell’appellativo “fallito”, che viene dato con sentenza ad una persona fisica, per l’insolvenza della sua impresa, o della società di cui è socio illimitatamente responsabile; 2) lo iato di sensibilità (sociale e giuridica) rispetto alla vigente Costituzione materiale, che più non tollera nel proprio sentire che un soggetto persona fisica debba essere qualificato “fallito”, sol perché la sua impresa commerciale (e solo essa) non abbia funzionato a dovere, eventualmente anche per cause esterne al suo volere, come è dimostrato nei fatti dalla mutata sensibilità del Legislatore, che nella L. n. 3/2012 ha adoperato espressioni e fatto riferimento a procedure affatto diverse, comunque svincolate da una logica nominalmente punitiva fallimentaristica, ed implicanti soltanto procedure di regolazione concordata della crisi, oppure di liquidazione giudiziale, non traumatiche per la persona fisica e per la sua dignità. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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