Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24275 - pubb. 30/09/2020

Scissione e scorporo, distinzione ed effetti

Tribunale Torino, 08 Novembre 2019. Pres. Gabriella Ratti. Est. Di Capua.


Scissione societaria – Scorporo – Effetti



Con la scissione il patrimonio di una società è scomposto ed assegnato in tutto o in parte ad altre società - preesistenti o di nuova costituzione - con contestuale assegnazione ai soci della prima di quote delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale; quindi il tratto saliente dell’istituto è costituito proprio dalla diretta attribuzione ai soci della società scissa di tali quote, differenziandosi pertanto dal cd. scorporo dove invece le quote della società beneficiaria sono invece attribuite alla stessa società scissa; la scissione come modificazione della struttura societaria produttiva anche di effetti “lato sensu” traslativi, inoltre, costituisce un tipico esempio di fattispecie negoziale a formazione progressiva, nella quale le varie fasi in cui si snoda il procedimento (progetto di scissione, delibera, atto di scissione) costituiscono tutti elementi sorretti dalla medesima causa e finalisticamente orientati al raggiungimento di unico scopo.

La scissione societaria disciplinata dagli artt. 2506 e ss. c.c., come modificati dal D.Lgs n. 6 del 2003 con effetti dall’1 gennaio 2004, consistendo nel trasferimento del patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l’assegnazione di azioni o di quote delle stesse ai soci della società scissa, produce effetti traslativi che, sul piano processuale, non determinano l’estinzione di quest’ultima ed il subingresso di quella o di quelle risultanti dalla scissione nella totalità dei rapporti giuridici della prima, ma una successione a titolo particolare nel diritto controverso.

Con riguardo agli “effetti della scissione” l’ultimo comma dell’art. 2506 quater c.c.  prevede che ciascuna società “è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico.” Si tratta dunque di un peculiare regime di responsabilità solidale tra le società coinvolte, giacché il citato ultimo comma dell’art. 2506 quater c.c. circoscrive le responsabilità delle società cui non faccia carico la posizione debitoria nel limite del valore effettivo del patrimonio netto assegnato (nel caso della beneficiaria) o rimasto (nel caso della scissa). Precisamente, è una responsabilità sussidiaria o di secondo livello rispetto a quello cui formalmente fa carico la posizione obbligatoria; la responsabilità delle altre società beneficiarie della scissione o della scissa, infatti, è non solo limitata ma anche sussidiaria perché opera solo per i debiti della società scissa o della beneficiaria non soddisfatti dalla società a cui essi fanno carico; sussidiarietà che discende dall’individuazione e descrizione dei cespiti assegnati nel progetto di scissione: una società ne diviene primo titolare, l’altra obbligata in via sussidiaria nei limiti del valore effettivo.  
La ragion d’essere della norma di cui all’art. 2506 quater, comma 3, c.c. deve rinvenirsi per un verso nella tutela della latitudine della garanzia patrimoniale generica stabilita dall’art. 2740, comma 1, c.c. in favore dei creditori e, per altro verso, nel principio generale che il debitore non può con un suo atto unilaterale, qual è la scissione rispetto ai creditori, diminuire la garanzia patrimoniale di cui essi godono; ciascun creditore della società originaria può dunque rivolgersi non solo al “suo” debitore - cioè la società (scissa o beneficiaria) cui il debito è stato assegnato in base al progetto di scissione, che risponderà illimitatamente -, ma anche a tutte le altre società coinvolte nella scissione, che risponderanno nei limiti del patrimonio rimasto o assegnato; pertanto, a garanzia del creditore ante scissione rimane a disposizione - nel caso di scissione parziale attuata mediante costituzione di nuove società - una sommatoria di patrimoni netti che, nel suo totale, è almeno pari all’ammontare di quello della società ante scissione.

L’art. 2506 quater, ultimo comma, c.c. prescrive un “beneficium ordinis” che presuppone la costituzione in mora, e non un beneficio di preventiva escussione, in relazione alla responsabilità patrimoniale delle società partecipanti la scissione per i debiti trasferiti alla società scissa da questa non soddisfatti ed il limite di tale responsabilità per le società non beneficiarie è dato dalla quota dell’effettivo patrimonio assegnato o rimasto il quale definisce la misura del credito azionabile nei confronti di queste.

Nel caso di scissione di società, l’art. 2506 quater, comma 3, c.c. va interpretato nel senso che la società scissa risponde in via solidale, unitamente alla società di nuova costituzione, beneficiaria di una parte del patrimonio originario, del debito a quest’ultima trasferito o mantenuto; tali debitrici solidali, peraltro, sono tenute con modalità diverse: da un lato, infatti, la responsabilità della società scissa, presupponendo che il credito da far valere sia rimasto insoddisfatto, postula solo la previa costituzione in mora della società beneficiaria (cd. “beneficium ordinis”), non anche la sua preventiva escussione; dall’altro, esclusivamente la società cui il debito è trasferito o mantenuto risponde dell’intero debito, mentre l’altra società risponde nei limiti della quota di patrimonio netto assegnato o rimasto al momento della scissione e, dunque, disponibile per il soddisfacimento dei creditori, atteso che la suddetta disposizione tende a mantenere integre le garanzie dei creditori sociali per l’ipotesi di scissione, non anche ad accrescerle; ogni società derivante dalla scissione può essere chiamata a rispondere solidalmente del passivo, rispondendone per intero solo la società cui il debito è trasferito o mantenuto, mentre le altre sono responsabili nei limiti della quota di patrimonio netto di loro spettanza come determinata al momento dell’avvenuta scissione.

Ciascuna società sarà solidalmente responsabile (nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto), dei soli debiti della società scissa esistenti alla data della scissione e non soddisfatti dalla società cui fanno carico; in particolare, nel caso di scissione parziale attuata mediante costituzione di nuove società, a garanzia del creditore ante scissione rimane a disposizione una sommatoria di patrimoni netti che, nel suo totale, è almeno pari all’ammontare di quello della società ante scissione.

La  tutela dei creditori ante scissione viene attuata mediante il disposto degli artt. 2506 bis e 2506 quater c.c.: la prima norma dispone, infatti, che degli elementi del passivo la cui destinazione non è desumibile dal progetto rispondono in solido con la società scissa la società beneficiaria (nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto attribuito); la seconda norma prevede, che la società beneficiaria è solidalmente responsabile con  la società scissa (sempre nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto assegnatole) dei debiti di quest’ultima esistenti al momento della scissione e dalla stessa non soddisfatti; le disposizioni di cui agli artt. 2506 bis, comma 3, c.c. e 2506 quater, comma 3, c.c. comportano una tutela compiuta, completa e di portata sostanzialmente identica rispetto a tutti i creditori della società ante scissione, rendendosi irrilevante che la destinazione del debito sia o non sia desumibile dal progetto di scissione.

Per assolvere l’obbligo motivazionale conforme al disposto dell’art. 132 n. 4 c.p.c., il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali è fondato il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutte le altre ricostruzioni, gli altri rilievi e le circostanze che, sebbene non siano menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, dovendosi ritenere, diversamente, che la motivazione non possa qualificarsi come succinta nel senso voluto dall’articolo 118 delle disposizioni di attuazione c.p.c.; è sufficiente, cioè, il riferimento alle ragioni in fatto e in diritto ritenute idonee a giustificare la soluzione adottata; con specifico riguardo all’accertamento del fatto, dunque, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione ‘logica’ ed ‘adeguata’ dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.

In ossequio al c.d. “criterio della ragione più liquida”, la pronuncia viene emessa sulla base di una o più ragioni, a carattere assorbente, che da sole sono idonee a regolare la lite. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA  ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI TORINO

Prima Sezione Civile

Sezione Specializzata in materia di Impresa

 

Composto dai magistrati:

Dott.ssa Gabriella RATTI                                               PRESIDENTE

Dott. Edoardo DI CAPUA                                            GIUDICE REL.

Dott. Enrico ASTUNI                                                      GIUDICE

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

omissis

 

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Premessa.

1.1. Con atto di citazione datato 10.05.2016 ritualmente notificato, la società INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore e, per esso, della dr.ssa F. Emanuela, ha convenuto in giudizio presso il Tribunale di Torino la società P. S.P.A., in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore, chiedendo, nel merito, l’accoglimento delle conclusioni di cui in epigrafe.

 

1.2. Si è costituita ritualmente telematicamente la parte convenuta società P. S.P.A., in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore sig. P. Attilio, depositando e scambiando comparsa di costituzione e risposta, contestando le allegazioni e le domande di controparte e chiedendo, nel merito, l’accoglimento delle conclusioni di cui in epigrafe.

 

1.3. All’udienza di prima comparizione ex art. 183 c.p.c. il Giudice Istruttore, su richiesta delle parti, ha concesso alle stesse i seguenti termini perentori, ai sensi dell’art. 183, 6° comma, c.p.c.:

1)  un termine perentorio di trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte;

2) un termine perentorio di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dell’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali;

3) un termine perentorio di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria.

 

1.4. All’esito della successiva udienza in data 11.01.2017 il Giudice Istruttore si è riservato sulle deduzioni istruttorie proposte dalle parti e, con Ordinanza in data 16.01.2017, sciogliendo la predetta riserva, ha ammesso le prove per testi dedotte dalla parte convenuta nella memoria ex art. 183, 6° comma, n. 2), c.p.c. datata 12.12.2016 sui capitoli a., b., c., d., e., f., g., h., con i tre testi ivi indicati.

 

1.5. Con successiva Ordinanza in data 20.01.2017, sciogliendo la predetta riserva, il Giudice Istruttore ha modificato la predetta Ordinanza, fissando udienza di precisazione delle conclusioni e demandando al Collegio la valutazione delle predette deduzioni istruttorie unitamente al merito, tenuto conto, da una parte, della mancata specifica contestazione delle circostanze dedotte dalla parte convenuta nella memoria ex art. 183, 6° comma, n. 2), c.p.c. datata 12.12.2016 sui capitoli a., b., c., d., e., f., g., h. e, dall’altra, della documentazione prodotta dalle parti.

 

1.6. Infine, all’udienza in data 13.09.2017 il Giudice Istruttore, fatte precisare alle parti costituite le conclusioni così come in epigrafe, ha rimesso una prima volta la causa al Collegio per la decisione.

Con Ordinanza datata 11.12.2017, il Tribunale di Torino, in composizione collegiale:

- ha ritenuto che, anche a seguito della lettura delle comparse conclusionali e delle memorie di replica depositate dopo la rimessione della causa in decisione, è emersa la necessità di rimettere la causa in istruttoria, ai sensi dell’art. 279, 1° comma, c.p.c., al fine di esperire d’ufficio una CTU sul seguente quesito:

“ Il CTU,

- nei limiti di quanto riferito dalle parti nei rispettivi atti;

- tenuto conto dei documenti di causa;

- con espressa autorizzazione a domandare chiarimenti alle parti  e ad assumere informazioni da terzi ai sensi dell’art. 194, comma 1°, c.p.c.;

- previo esperimento di un idoneo tentativo di conciliazione tra le parti fin dall’inizio delle operazioni peritali, da rinnovarsi all’esito nel caso di esito negativo;

- tenuto conto degli artt. 2506 e seguenti c.c. dettati in materia di scissione delle società;

- rilevato che la banca INTESA SANPAOLO S.P.A. è creditrice nei confronti della società “V. S.p.A.”, in forza del Decreto Ingiuntivo del Tribunale di Torino n. 7159/14 in data 3/6/2014, notificato in data 18/6/2014 e non opposto, tra le altre delle seguenti somme:

·                    Euro 502.105,09 oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito a far tempo dall’1/05/2014, quale saldo debitore del conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00009794;

·                    Euro 463.276,18 oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito a far tempo dall’1/05/2014, quale saldo debitore del conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00015927;

- considerato che, nel caso di specie, l’atto di scissione si è perfezionato con rogito Notaio DI LEO in data 26/11/2009, rep. n. 154336/28012 tra la società V. S.p.A. e la società P. S.p.A.;

1) Accerti l’esatto ammontare del credito vantato da INTESA SANPAOLO S.P.A. nei confronti della società V. S.p.A. alla data della scissione, derivante:

·                    dal conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00009794;

·                    dal conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00015927.

2) Chiarisca altresì se, con riguardo a quest’ultimo conto, concernente un finanziamento conto anticipi assistito dai certificati di conformità delle auto, tali certificati venissero rilasciati o meno dell’istituto di credito solo dopo il versamento dell’importo anticipato.

3) Accerti se l’importo del credito di cui al Decreto Ingiuntivo del Tribunale di Torino n. 7159/14 in data 3/6/2014, notificato in data 18/6/2014, sia stato o meno determinato, in tutto o in parte, da operazioni effettuate tra la società V. S.p.A. e la banca INTESA SANPAOLO S.P.A. successivamente alla scissione, con estraneità alla convenuta società P. S.p.A.

Alleghi alla relazione scritta il verbale di tutte le operazioni effettuate”;

- ha ritenuto opportuno, in accoglimento dell’istanza art. 210 c.p.c. proposta dalla parte convenuta, ordinare alla parte attrice di esibire in giudizio copia di tutta la documentazione in suo possesso relativa ai rapporti con V. S.p.A. (per tale documentazione intendendosi anche la corrispondenza, i contratti, le contabili relative a ciascuna operazione compiuta, ecc.);

- ha ritenuto, infine, come già osservato dal Giudice Istruttore nell’Ordinanza datata 20.01.2017, che le prove per testi dedotte da parte convenuta in memoria ex art. 183, 6° comma, n. 2), c.p.c. siano inammissibili e/o irrilevanti, vertendo i capitoli a., b., c., d., e., f., g., h. su circostanze in parte irrilevante e non specificamente contestate dalla controparte;

- ha quindi rimesso la causa in istruttoria, ai sensi dell’art. 279, 1° comma, c.p.c., disponendo la CTU sul quesito sopra indicato e nominando all’uopo il Dr. F. ed ordinando, ai sensi degli artt. 210 segg. c.p.c., alla parte attrice l’esibizione in giudizio di copia di tutta la documentazione in suo possesso relativa ai rapporti con V. S.p.A. (per tale documentazione intendendosi anche la corrispondenza, i contratti, le contabili relative a ciascuna operazione compiuta, ecc.), da effettuarsi entro il 20.02.2018.

 

1.7. Il nominato CTU, dopo aver prestato giuramento, ha depositato la propria relazione scritta in data 23.10.2018 e, alla successiva udienza in data 21.11.2018:

- la parte attrice, richiamandosi a quanto rilevato dal proprio consulente, ha contestato integralmente le risultanze della relazione finale del CTU, verbalizzando testualmente quanto segue:

Preliminarmente si contesta il metodo operativo utilizzato dal CTU. Egli, infatti, lungi dal compiere indagini proprie si è affidato alle memorie e repliche stilate dai consulenti di parte. Di talché la consulenza è il risultato del confronto tra le memorie, con un’adesione, quasi passiva, del CTU alla tesi di controparte.

A riprova di ciò vi è il fatto che nonostante il quesito n. 1 esplicitamente richiedesse l'esatto ammontare del debito alla data della scissione, al 26/11/2009, il consulente ha liberamente decretato che la disamina dovesse risalire al 3/12/2009, data di iscrizione della scissione nel registro delle imprese. Aderendo, così, alla tesi di controparte senza allegazioni proprie e compiendo valutazioni giuridiche non spettanti ad un consulente tecnico d’ufficio.

Entrando nel merito si contesta l’erroneità della perizia che non tiene adeguatamente conto di tutte le operazioni svolte sui due conti correnti e del loro rapporto di interdipendenza. Non vengono, infatti, mai presi in considerazione gli addebiti, sul conto ordinario 9794, delle commissioni, degli interessi e delle spese inerenti al conto anticipi 15927, che avvenivano trimestralmente e automaticamente.

Inoltre, nessuna rilevanza viene data all’addebito di euro 70.918,21 sul c/c 9794. Questo veniva effettuato in data 27/01/2014 per l’escussione da parte della Banque PSA Finance S.A, della garanzia a prima richiesta rilasciata da Intesa Sanpaolo, per conto della V., per la compravendita di autovettura. Tale garanzia era stata concessa ante scissione e viene escussa ben dopo la stessa a dimostrazione che il c/c ordinario, ancora nel 2014 continuava a regolare le operazioni antecedenti alla scissione.

Il CTU non ha considerato che trattasi di due conti correnti ordinari che come tali danno vita ad un rapporto unitario che viene meno solo con la chiusura del conto. Per tale ragione i singoli addebiti o accrediti non hanno una valenza autonoma. Tra le parti esiste un rapporto obbligatorio ma si potrà parlare di debito o di credito solo con la chiusura del conto corrente. Solo in quel momento, infatti, il credito sarà certo, liquido ed esigibile.

Quanto affermato vale anche per il conto anticipi che è ‘da intendersi quale conto corrente ordinario’ così come definito da contratto.

Il CTU, invece, non sembra aver considerato che al momento della scissione questi rapporti erano e sono rimasti pendenti, poiché erano supportati da un’apertura di credito di euro 1.500.000 per il conto anticipi e di euro 1.000.000 per il conto ordinario, affidamenti mai superati.

Sulla base di questo assunto, per quanto attiene nello specifico il conto ordinario, la circostanza che ad un certa data questo abbia registrato un saldo attivo (rinveniente, come affermato dal CTU, da un aumento del capitale sociale, i cui versamenti da parte dei soci non potevano che essere accreditati sul c/c) non può in alcun modo significare l’estinzione del debito pregresso. I versamenti effettuati hanno, infatti, l’unico scopo di ripristino della provvista e non sono considerabili pagamenti. Il debito della V. è stato, quindi, determinato solo nel 2014 con il passaggio a sofferenza del conto e di tale debito risponde la società beneficiaria.

Lo stesso valga, per il conto 15927, essendo questo come sopra esposto un conto corrente ordinario.

Non si può, quindi, in alcun modo parlare di pagamenti, a ben vedere venivano effettuati solamente dei giroconti dal conto ordinario, passivo ma affidato, al conto anticipi.

Infine, per quanto attiene ai certificati di conformità, questi in alcun modo possono essere considerate dei documenti dati in garanzia. Il fatto che la richiesta di consegna del certificato fosse contestuale al giroconto dal c/c 9794 sul c/c 15927 non dimostra che tale certificato fosse utilizzato come garanzia. Dalla mera consegna del documento e da un contestuale giroconto, nell’ ambito un’operazione che vedeva coinvolti più soggetti, tra cui la casa madre automobilistica e la banca Francese PSA, non può desumersi il carattere di garanzia di tale documento. Il rilascio del certificato contestuale al versamento dell’importo anticipato era semplicemente un modus operandi tipico in questi casi, data la mole di operazioni eseguite. Inoltre, non è dato sapere se le macchine venissero effettivamente vendute.

Da ultimo, si vuole ribadire che la ratio dell’art. 2506 quater c.c. è rinvenuta dalla giurisprudenza nella responsabilità patrimoniale del debitore che, ai sensi dell’art. 2740 c.c., risponde dei suoi debiti con tutti i suoi beni presenti e futuri. Il debitore non può diminuire la garanzia patrimoniale di cui godono i creditori i quali possono rivolgersi, in ipotesi di scissione, a tutte le società coinvolte nella stessa, che risponderanno nei limiti del patrimonio rimasto o assegnato.

Chiede, pertanto, che venga chiamato il CTU a chiarimenti.”;

- la parte convenuta si è opposta, evidenziando come la CTU si sia svolta in ossequio ai quesiti sottoposti e dando ai CTP i termini per esporre le loro ragioni; rispetto alla verbalizzazione di controparte ha evidenziato come la tesi di una mancata assunzione di rilevanza dell’addebito di euro 70.918,00 sia del tutto nuova e quindi inammissibile, così come quella con il richiamo all’art. 2740 c.c.; ha chiesto che previo esame della richiesta di svolgimento delle prove orali anche in revoca ad ordinanza del 11.12.2017 e dato atto del rifiuto dell’attrice di dare esecuzione all’ordine di esibizione nonostante la sua iterazione, si proceda alla decisione del caso.

 

1.8. Con Ordinanza datata 26.11.2018 il Giudice Istruttore:

- rilevato che, anche dopo il deposito della relazione scritta del CTU, il Giudice può sempre chiedere al CTU ulteriori chiarimenti e/o integrazioni, costituendo ciò un minus rispetto alla rinnovazione della CTU ed alla sostituzione del CTU, espressamente previste dall’art. 196 c.p.c., ha ritenuto opportuno ordinare al CTU il deposito di una breve relazione scritta contenente chiarimenti, in risposta alle suddette osservazioni, ritenuta ammissibile dalla Cassazione (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. III, 17 marzo 2005, n. 5762 in Giust. civ. Mass. 2005, f. 4; Cass. civile, sez. lav., 17 settembre 1991, n. 9672 in Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 9);

- ha rilevato che le conseguenze del mancato ottemperamento, da parte dell’attrice, dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. disposto dal Tribunale con Ordinanza collegiale datata 05 dicembre 2017, saranno valutate in fase decisionale ai sensi dell’art. 116 c.p.c.;

- ha ribadito, infine, come già osservato dal Tribunale con Ordinanza collegiale datata 05 dicembre 2017, che le prove per testi dedotte dalla parte convenuta in memoria ex art. 183, 6° comma, n. 2), c.p.c. sono inammissibili e/o irrilevanti, vertendo i capitoli a., b., c., d., e., f., g., h. su circostanze in parte irrilevante e non specificamente contestate dalla controparte;

- ha fissato udienza per la precisazione delle conclusioni (a data successiva al deposito della predetta relazione scritta del CTU contenente chiarimenti), dandosi atto fin da ora che ulteriori eventuali osservazioni alla CTU saranno valutate unitamente al merito in fase decisionale;

 

 

1.9. Infine, all’udienza in data 12.06.2019 il Giudice Istruttore, fatte precisare alle parti costituite le conclusioni così come in epigrafe, ha rimesso la causa al Collegio per la decisione, disponendo il deposito delle comparse conclusionali entro il termine perentorio di 60 giorni e delle memorie di replica entro il successivo termine perentorio di 20 giorni a norma dell’art. 190 c.p.c., oltre al periodo di sospensione feriale dei termini processuali previsto dall’art. 1, 1° comma, Legge n. 742/1969 (come modificato dall’art. 16, 1° comma, D.L. n. 132/2014 convertito, con modificazioni, nella Legge n. 162/2014), ai sensi del quale il decorso dei termini processuali “è sospeso di diritto dal 1° al 31 agosto di ciascun anno, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione.”

Decorsi i predetti termini perentori la causa è stata decisa dal Collegio riunito in Camera di Consiglio, così come previsto dagli artt. 275 e segg. c.p.c.

 

 

2. Sulla competenza della Sezione Specializzata in materia di Impresa.

2.1. In via preliminare, va rilevato che la causa rientra tra quelle che l’art. 50 bis c.p.c. (introdotto dall’art. 56 D.lgs. n. 51/1998) riserva al giudizio del Tribunale in composizione collegiale e, precisamente, nell’ipotesi prevista dal n. 3) del citato articolo, trattandosi di causa devoluta alle Sezione Specializzata in materia di impresa.

 

2.2. L’art. 3 D.Lgs. n. 168/2003 (come modificato dal  D.L. n. 1/2012, convertito in Legge n. 27/2012), sotto la rubrica “Competenza per materia delle sezioni specializzate”,  infatti, prevede testualmente quanto segue:

“1. Le sezioni specializzate sono competenti in materia di:

    a) controversie di cui all’articolo 134 del decreto legislativo10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni;

    b) controversie in materia di diritto d’autore;

    c) controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della  legge  10 ottobre 1990, n. 287;

    d)  controversie  relative  alla   violazione   della   normativa antitrust dell’Unione europea.

2. Le sezioni specializzate sono altresì competenti, relativamente alle società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, e titolo VI, del codice civile, alle società di cui al  regolamento  (CE)  n. 2157/2001 del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22  luglio  2003,  nonché  alle stabili organizzazioni nel  territorio  dello  Stato  delle  società costituite all’estero, ovvero alle società che rispetto alle  stesse esercitano o sono sottoposte a  direzione  e  coordinamento,  per  le cause e i procedimenti:

    a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli  concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o  l’estinzione  di un rapporto societario, le  azioni  di  responsabilità  da  chiunque promosse  contro  i  componenti  degli  organi  amministrativi  o  di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il  dirigente preposto alla redazione dei documenti  contabili  societari,  nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti  illeciti  commessi  nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei  confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni  di  cui  agli  articoli  2445, terzo  comma,  2482,  secondo  comma,  2447-quater,  secondo   comma, 2487-ter, secondo comma, 2503, secondo comma, 2503-bis, primo  comma, e 2506-ter del codice civile;

    b) relativi al trasferimento delle partecipazioni  sociali  o  ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni  sociali  o  i diritti inerenti;

    c) in materia di  patti  parasociali,  anche  diversi  da  quelli regolati dall’articolo 2341-bis del codice civile;

    d) aventi ad  oggetto  azioni  di  responsabilità  promosse  dai creditori delle  società  controllate  contro  le  società  che  le controllano;

    e) relativi a rapporti di cui  all’articolo  2359,  primo  comma, numero 3), all’articolo 2497-septies e all’articolo 2545-septies  del codice civile;

    f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi  o forniture di rilevanza comunitaria dei  quali  sia  parte  una  delle società di cui al presente comma, ovvero  quando  una  delle  stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove  comunque  sussista  la  giurisdizione  del giudice ordinario.

  3. Le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione  con  quelli  di cui ai commi 1 e 2.”

 

 

3. Sulle deduzioni istruttorie proposte dalle parti nelle rispettive conclusioni definitive.

3.1. Come si è detto, nelle proprie conclusioni definitive, la parte attrice ha contestato le risultanze dei chiarimenti forniti dal CTU non avendo compiutamente risposto al quesito sottopostogli.

3.1.1. Peraltro, trattasi di una contestazione estremamente generica e, in quanto tale, sostanzialmente irrilevante, tenuto conto che, secondo l’orientamento della Cassazione prevalente, meritevole di essere condiviso, il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, ogni qual volta non siano mosse alla consulenza censure puntuali, precise, specifiche e tali da condurre ad una decisione diversa da quella adottata (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. III 19 giugno  2015 n. 12703; Cass. civile, sez. III, 06 settembre 2007, n. 18688;  Cass. civile, sez. I, 13 dicembre 2006, n. 26694;  Cass. civile, sez. III, 11 marzo 2002, n. 3492;  Cass. civile, sez. I, 22 febbraio 2000, n. 1975;  Cass. civile, sez. I, 9 giugno 1998, n. 5677; Cass. civile, sez. lav., 23 maggio 1998, n. 5158).

Inoltre, sempre secondo la Cassazione  prevalente, le osservazioni critiche alla CTU, dovendo essere avanzate tempestivamente, in modo da rispettare il principio del contraddittorio, non possono esser formulate in comparsa conclusionale e, pertanto, se ivi contenute non possono esser esaminate dal giudice, perché in tal modo sono sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 1 luglio 2002, n. 9517;   Cass. civile, sez. II, 26 novembre 1998, n. 11999).

3.1.2. In ogni caso, va rilevato che, per le parti rilevanti ai fini di causa,  il CTU ha fornito tutti gli elementi tecnici necessari per la decisione.

3.1.3. Inoltre, in ossequio a quanto previsto dall’art. 195 c.p.c., 3° comma, c.p.c. il CTU ha trasmesso la relazione provvisoria alle parti costituite, dopo di che le parti hanno trasmesso al CTU le proprie osservazioni sulla relazione e, infine, il CTU ha depositato in cancelleria la relazione conclusiva, comprensiva delle osservazioni delle parti e di una sintetica valutazione sulle stesse.

Ora, secondo l’orientamento della Cassazione, meritevole di essere condiviso, quando il giudice di merito accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poiché l’obbligo della motivazione è assolto già con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso. Non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie argomentazioni della parte e/o sulle contrarie deduzioni dei consulenti tecnici di parte che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte. Ciò vale, a maggior ragione:

- quando il consulente tecnico abbia tenuto conto nella relazione, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte (ciò che attualmente avviene sempre, in forza del novellato art. 195, 3° comma, c.p.c.); precisamente, il Giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, ai rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte; le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360, n. 5, c.p.c.;

- qualora le parti e i loro consulenti non abbiano sviluppato argomentazioni atte ad infirmare quelle conclusioni.

In proposito, possono richiamarsi le seguenti pronunce della Cassazione: Cass. civile, sez. III 19 giugno  2015 n. 12703; Cass. civile, sez. II, 10 aprile 2015 n. 7266; Cass. civile, sez. VI, 02 febbraio 2015 n. 1815; Cass. civile, sez. lav. 17 dicembre 2014 n. 26590; Cass. civile, sez. III, 15 luglio 2011, n. 15666; Cass. civile, sez. III, 29 gennaio 2010, n. 2063; Cass. Cass. civile, sez. III, 07 luglio 2009, n. 15904; Cass. civile, sez. I, 04 maggio 2009, n. 10222;  Cass. civile, sez. III, 30 aprile 2009, n. 10123; Cass. civile, sez. I, 09 gennaio 2009, n. 282; Cass. civile, sez. I, 03 aprile 2007, n. 8355;   Cass. civile, sez. lav., 22 febbraio 2006, n. 3881;   Cass. civile, sez. III, 14 febbraio 2006, n. 3191;   Cass. civile, sez. I, 21 febbraio 2001, n. 2486;  Cass. civile, sez. lav., 8 agosto 1998, n. 7806;   Cass. civile, sez. lav., 14 maggio 2003, n. 7485;   Cass. civile, sez. I, 26 aprile 1999, n. 4138.

3.1.4. Infine,  come si è detto, a seguito dei rilievi avanzati dalla parte attrice all’udienza in data 21.11.2018, il Giudice ha demandato al CTU di depositare una seconda relazione scritta a chiarimenti, nella quale il CTU stesso ha preso in considerazione i suddetti rilievi, attraverso adeguata ed esaustiva motivazione.

 

3.2. Nelle proprie conclusioni definitive, la parte convenuta ha chiesto (sia pure “qualora ritenuto necessario”) la revoca dell’ordinanza istruttoria e l’ammissione delle prove dedotte nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183, 6° comma, n. 2), c.p.c.

L’istanza non può trovare accoglimento.

Invero, come già osservato più volte sia dal Giudice Istruttore sia dal Tribunale in composizione collegiale, le prove per testi dedotte da parte convenuta in memoria ex art. 183, 6° comma, n. 2), c.p.c. risultano inammissibili e/o irrilevanti, vertendo i capitoli a., b., c., d., e., f., g., h. su circostanze non specificamente contestate dalla controparte e tenuto anche conto della documentazione prodotta dalle parti.

 

 

4. Sulla domanda di merito proposta dalla parte attrice.

4.1. Come si è detto, la parte attrice INTESA SANPAOLO S.P.A. ha chiesto, nel merito, di accertare e dichiarare la responsabilità solidale della P. S.p.A. relativamente ai debiti della V. S.p.A. nei confronti della banca e, conseguentemente, condannare la P. S.p.A. a pagare alla banca attrice l’importo complessivo di Euro 965.381,27, oltre agli interessi al tasso contrattualmente pattuito a far tempo dall’1/05/2014, o, in ogni caso, la maggior o minor somma che sarà accertata in corso di causa

La suddette domanda risulta soltanto in parte fondata, nei limiti e secondo le precisazioni che seguono.

 

4.2. Invero, a sostegno della propria domanda la parte attrice ha dedotto, in sintesi:

- che la banca INTESA SANPAOLO S.P.A. è creditrice nei confronti della società “V. S.p.A.”(doc. 1), in forza del Decreto Ingiuntivo  del Tribunale di Torino n. 7159/14 in data 3/06/2014, notificato in data 18/06/2014 e non opposto, tra le altre delle seguenti somme:

·                    Euro 502.105,09 oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito a far tempo dall’1/05/2014, quale saldo debitore del conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00009794;

·                    Euro 463.276,18 oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito a far tempo dall’1/05/2014, quale saldo debitore del conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00015927 (doc. 2);

- che, a seguito di scissione perfezionata con rogito Notaio DI LEO in data 26/11/2009, rep. n. 154336/28012 (doc. 3), la società debitrice ha trasferito alla società P. S.p.A., costituita ad hoc dai medesimi soci della V. S.p.A. (doc.4), il proprio patrimonio immobiliare;

- che all’epoca della scissione la V. S.p.A. era debitrice della banca INTESA SANPAOLO S.P.A. in ragione (doc.5-6-7):

·                    di una linea di credito, a tempo indeterminato, sul c/c 00232/1000/00009794 sino ad Euro 1.100.000,00 e

·                    di una linea di credito, sempre a tempo indeterminato, sul c/c 00232/1000/00015927, sino ad Euro 1.500.000,00;

- che, in particolare, la V. S.p.A. ha intrattenuto, sia antecedentemente alla scissione che successivamente, con la banca INTESA SANPAOLO S.P.A., i rapporti di conto corrente n. 00232/1000/00009794 e n. 00232/1000/00015927, entrambi a tempo indeterminato, entrambi proseguiti sino al passaggio a sofferenza e la conseguente chiusura del conto; la suddetta società godeva di linee di credito, a tempo indeterminato, in forza di contratto in data 9/11/2004 (doc.5):

·                    sul c/c 00232/1000/00009794 sino ad Euro 1.100.000,00 e

·                    sul c/c 00232/1000/00015927 sino ad Euro 1.500.000,00, in forza di contratto in data 16/3/2007;

- che, nell’ambito di siffatti rapporti, i versamenti eseguiti dal cliente non sono qualificabili come pagamenti, né tantomeno essi sono estintivi dell’obbligazione in capo al debitore, tenuto conto di quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione: “Di pagamento, potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale … Un versamento eseguito dal cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso dalla banca con l’apertura di credito non ha né lo scopo né l’effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi restituire le somme date (credito che, in quel momento, non sarebbe scaduto né esigibile), bensì quello di riespandere la misura dell’affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista. Non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà d’indebitamento del correntista…...” (Cassazione civile, Sezioni Unite, n. 24418/10); non appare, quindi, fondata la tesi di controparte, secondo cui il debito sarebbe stato pagato da V. S.p.A. in quanto il suddetto c/c avrebbe, occasionalmente, il 31/12/2010, avuto saldo attivo; solo alla chiusura del conto, infatti, è possibile regolare le reciproche posizioni di debito-credito e solo allora termini come pagamento ed estinzione potranno essere utilizzati;

- che tali considerazioni valgono anche per il conto corrente n. 15927 che, peraltro, esso è sempre stato pacificamente passivo; come già dedotto, si trattava di un conto anticipi con apertura di credito sino all’ importo di Euro 1.500.000,00; tale conto era utilizzato dalla V. S.p.A. nell’esercizio della propria attività che consisteva (anche) nella compravendita di autovetture; la V. S.p.A., nell’ambito di tale attività, acquistava le auto, che poi rivendeva, dalla casa produttrice e per pagarle utilizzava l’apertura di credito relativa al c/c n. 15927; la casa produttrice, tramite la propria banca, consegnava i documenti/certificati relativi alle auto vendute alla V. alla banca INTESA SANPAOLO S.P.A.; allorchè doveva perfezionarsi la rivendita nei confronti del cliente finale, la V. S.p.A. chiedeva alla banca di consegnarle i documenti/certificati relativi alla vettura e di pagare alla casa produttrice il costo della vettura medesima; la banca addebitava il costo sul conto anticipi n. 15927, pagava (utilizzando le linee di credito in essere) la fattura alla casa produttrice tramite la banca indicata da quest’ ultima e consegnava i documenti, relativi alla vettura compravenduta, alla V. S.p.A. (doc.10); l’operazione in oggetto, quindi, era null’altro che un’apertura di credito (nella fattispecie sino all’ importo di Euro 1.500.000) in conto corrente, in cui l’unico limite per il correntista era non superare la linea di credito concessa;

- che, al momento della chiusura dei suddetti rapporti di conto corrente, tali posizioni debitorie ammontavano rispettivamente ad Euro 502.105,09 e ad euro 463.276,18, per un totale di Euro 965.381,27, oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito (doc. 2); si precisa, inoltre, per completezza, pur ritenendo tale dato irrilevante, attesa la natura a tempo indeterminato e la preesistenza alla scissione dei rapporti di c/c e delle aperture di credito in essere, il saldo passivo nei confronti della INTESA SANPAOLO S.P.A. ammontava:

·                    al 30/11/2009, ad Euro 379.400,13 relativamente al c/c 00232/1000/00009794 (doc. 6-novembre 2009) e ad Euro 688.175,41 relativamente al c/c 00232/1000/00015927 (doc. 7- novembre 2009);

·                    al 31/12/2009, ad Euro 131.920,24 relativamente al c/c 00232/1000/00009794 (doc. 6 11 a pag. 181 e 208) e ad Euro 746.945,88 relativamente al c/c 00232/1000/00015927 ( doc. 7 10 a pag. 19 e 27);

- che, in ogni caso, come esposto, il credito vantato da INTESA SANPAOLO S.p.A. è fondato sul Decreto Ingiuntivo del Tribunale di Torino n. 7159/14  in data 3/6/2014, non opposto e divenuto definitivo (doc.2);

- che, con Sentenza del Tribunale di Ivrea n. 42/2014 in data 21/10/2014, la V. S.p.A. è stata dichiarata fallita (doc. 8);

- che, in forza di tale titolo, la banca INTESA SANPAOLO S.P.A. ha proposto ricorso per insinuazione al passivo del Fallimento V. SPA (Tribunale di Ivrea n. 49/14) ed il credito è stato regolarmente ammesso al passivo in via chirografaria con Decreto ai sensi dell’ art. 96 della Legge Fallimentare (docc. 9 e 12);

- che, alla luce di tali evidenze documentali, il credito della banca nei confronti di V. S.p.A. non può essere contestato in quanto scaturisce dal Decreto Ingiuntivo del Tribunale di Torino e dal Decreto del Giudice Delegato del Fallimento V. e la convenuta società P. S.P.A., soggetto obbligato ex lege ex art. 2506 quater, 3° comma, c.c., non è legittimata a formulare alcuna eccezione relativamente ai rapporti di c/c intrattenuti tra la banca e la V. S.p.A. che hanno dato luogo ai suddetti provvedimenti giudiziali; ogni questione relativa ai rapporti intervenuti tra INTESA SANPAOLO S.P.A. e V. S.p.A. è coperta da giudicato e non può più essere oggetto di eccezione;

- che la V. S.p.A., a seguito della scissione parziale, ha conferito alla società P. S.P.A. il proprio patrimonio immobiliare, come risulta dal progetto di scissione valutato Euro 32.463.226,92 (doc. 3); la convenuta, beneficiaria a seguito di scissione parziale dell’intero patrimonio immobiliare della V. è, perciò, solidalmente responsabile dei debiti della suddetta società nei confronti della banca INTESA SANPAOLO S.P.A.; si applica, infatti, alla fattispecie l’art. 2506-quater, 3° comma, c.c. che prevede, per il caso di scissione, quanto segue: “ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico”; la norma consente ai creditori che hanno subito un danno dall’operazione di scissione di trovare ristoro facendo leva su una forma di garanzia che il sistema giuridico predispone utilizzando lo schema della responsabilità solidale e sussidiaria; il sistema della responsabilità solidale e sussidiaria è appunto diretto a sostituire l’avvenuto deterioramento dell’ originaria garanzia; come noto, in caso di scissione, la forma principale di danno che può interessare il creditore della società scissa deriva proprio dalla suddivisione di attivo e passivo fra le società interessate all’operazione; infatti, i debiti rimasti alla scissa possono trovare maggiori difficoltà di soddisfacimento, qualora essa subisca una rilevante diminuzione patrimoniale; nella fattispecie in esame ci troviamo innanzi ad una scissione parziale, in cui, in base al progetto di scissione, il debito nei confronti della banca è rimasto in capo alla società scissa (doc. 3); in tal caso la società scissa, ossia la V. S.p.A., ne risponde illimitatamente; sussiste, però, anche la responsabilità solidale della beneficiaria, nel caso di specie la società P. S.P.A., ex art. 2506-quater, 3° comma, c.c., nei limiti del patrimonio netto assegnato; nella fattispecie, quanto al requisito della “mancata soddisfazione” del debito esso deve ritenersi senz’altro integrato, tenuto conto del decreto ingiuntivo non opposto e dell’avvenuto fallimento della V. S.p.A.;

- che, da ultimo la Suprema Corte, con la Sentenza n. 4455/2016 ha sancito: “è ragionevole escludere che la norma riconosca un beneficio di previa escussione, perchè, nei casi in cui è previsto, tale beneficio è sempre riferito al patrimonio (artt. 563, 1944, 2268 e 2304 c.c.) o al debitore da sottoporre a esecuzione forzata (art. 2393 bis, e art. 2868 c.c.). Mentre la norma in esame presuppone solo che i crediti da far valere siano rimasti insoddisfatti. Prevede dunque solo un beneficium ordinis, che, secondo la giurisprudenza di questa corte, presuppone esclusivamente la costituzione in mora del debitore” (nello stesso senso anche Cass. 4/6/2009 n. 12896; Cass. 24/3/2003, n. 6526);

- che, per quanto, invece, concerne il limite del patrimonio netto assegnato o rimasto previsto dal citato art. 2506 quater, ultimo comma, c.c., relativamente alla responsabilità solidale della società beneficiaria, alcun dubbio relativo al suo superamento sussiste nel caso che ci occupa, essendo il valore del patrimonio netto assegnato alla società P. S.P.A. in sede di scissione (doc. 3) notevolmente superiore all’ importo del credito della banca INTESA SANPAOLO S.P.A.;

- che infondata è l’avversaria affermazione, priva di qualsivoglia sostegno dottrinale o giurisprudenziale, formulata in sede di memoria ex art. 183, 6° comma, n. 2), c.p.c., in base alla quale l’art. 2506 quater, ultimo comma, c.c. andrebbe coordinato con il disposto dell’art. 2506 bis, 2° comma, c.c. e perciò non applicabile allorché l’elemento del passivo sia chiaramente escluso dal passare in capo alla beneficiaria; l’art. 2506 quater, ultimo comma, c.c., che fa propria la Direttiva Europea 82/891/ECC (e che comunque ricalca il contenuto del previgente art. 2504 decies, 2° comma, c.c.), infatti, è una norma di chiusura del sistema che riguarda proprio, gli elementi del passivo che in sede di scissione non sono stati assegnati alla beneficiaria, ma sono rimasti in capo alla società scissa; il tenore letterale della norma è del resto chiarissimo: “debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico”; chiarissima è anche la ratio della norma, come sottolinea la recente Sentenza della Suprema Corte del 7/3/2016 n. 4455: “La norma tende appunto, a mantenere integre le garanzie dei creditori sociali”; la posizione creditoria, ai fini dell’ applicazione dell’invocato art. 2506 quater, ultimo comma c.c., deve, quindi, sussistere nei confronti della società scissa, affinché, ex lege, la società beneficiaria ne risponda in solido;

- che, in ogni caso, la mancata opposizione del creditore alla scissione non preclude l’esperimento dell’ azione proposta nel presente (ex multis Tribunale Milano 14/5/2015 in www.giurisprudenza delle imprese.it);

- che, in conclusione, la società P. S.P.A., beneficiaria a seguito di scissione parziale dell’intero patrimonio immobiliare della V. S.p.A., è solidalmente responsabile ex art. 2506 quater, ultimo comma, c.c. del debito, accertato con decreto ingiuntivo, non opposto e divenuto definitivo, della suddetta società nei confronti della banca INTESA SANPAOLO S.p.A.

 

4.3. Si deve innanzitutto osservare che risulta documentalmente provato e pacifico in causa  che:

- la banca INTESA SANPAOLO S.P.A. è creditrice nei confronti della società V. S.p.A., in forza del Decreto Ingiuntivo del Tribunale di Torino n. 7159/2014 in data 3/06/2014, non opposto, tra le altre delle seguenti somme (cfr. doc.2 della parte attrice):

·                    Euro 502.105,09 oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito a far tempo dall’1/05/2014, quale saldo debitore del conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00009794;

·                    Euro 463.276,18 oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito a far tempo dall’1/05/2014, quale saldo debitore del conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00015927.

- con rogito Notaio Roberto DI LEO di Chivasso in data 26/11/2009, rep. n. 154336 raccolta n. 28012, il sig. P. Attilio, in qualità di Amministratore delegato e legale rappresentante della società V. S.p.A., , aveva dichiarato farsi luogo alla scissione della società V. S.p.A. mediante trasferimento di parte del suo patrimonio ad una società per azioni di nuova costituzione, denominata P. S.p.A., secondo il progetto di scissione approvato dall’assemblea straordinaria della predetta società in data 28.07.2009 e depositato per l’iscrizione nel Registro delle Imprese di Torino, ai sensi dell’art.  2506 c.c. (cfr. doc. 3 della parte attrice e doc. 9 della parte convenuta);

- con sentenza in data 22.10.2014 il Tribunale Ivrea aveva dichiarato il fallimento della società V. S.p.A. (cfr. doc. 8 della parte attrice).

 

4.4. Ciò chiarito, una particolare forma di scissione (cfr. artt.  2506 e segg. c.c.) è quella dell’assegnazione di parte del patrimonio di una società ( “società scissa”), ad una nuova società ( “società beneficiaria”), con assegnazione delle azioni ai soci della prima (con o senza conguagli in denaro).

Come ben chiarito in giurisprudenza, con la scissione il patrimonio di una società è scomposto ed assegnato in tutto o in parte ad altre società - preesistenti o di nuova costituzione - con contestuale assegnazione ai soci della prima di quote delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale; quindi il tratto saliente dell’istituto è costituito proprio dalla diretta attribuzione ai soci della società scissa di tali quote, differenziandosi pertanto dal cd. scorporo dove invece le quote della società beneficiaria sono invece attribuite alla stessa società scissa; la scissione come modificazione della struttura societaria produttiva anche di effetti “lato sensu” traslativi, inoltre, costituisce un tipico esempio di fattispecie negoziale a formazione progressiva, nella quale le varie fasi in cui si snoda il procedimento (progetto di scissione, delibera, atto di scissione) costituiscono tutti elementi sorretti dalla medesima causa e finalisticamente orientati al raggiungimento di unico scopo (cfr. in tal senso: Tribunale Napoli sez. III, 25/07/2016, in Redazione Giuffrè 2016).

In materia si sono anche pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione, affermando che “la scissione societaria disciplinata dagli artt. 2506 e ss. c.c., come modificati dal D.Lgs n. 6 del 2003 con effetti dall’1 gennaio 2004, consistendo nel trasferimento del patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l’assegnazione di azioni o di quote delle stesse ai soci della società scissa, produce effetti traslativi che, sul piano processuale, non determinano l’estinzione di quest’ultima ed il subingresso di quella o di quelle risultanti dalla scissione nella totalità dei rapporti giuridici della prima, ma una successione a titolo particolare nel diritto controverso” (cfr. in tal senso: Cassazione civile, Sezioni Unite, 15/11/2016 n. 23225 in Giustizia Civile Massimario 2017, precisando che ove intervenga nel corso del giudizio, comporta l’applicazione della disciplina di cui all’art. 111 c.p.c.”).

In particolare, l’art. 2506 bis c.c. disciplina come segue il “progetto di scissione”:

L’organo amministrativo delle società partecipanti alla scissione redige un progetto dal quale devono risultare i dati indicati nel primo comma dell’articolo 2501-ter ed inoltre l’esatta descrizione degli elementi patrimoniali da assegnare a ciascuna delle società beneficiarie e dell’eventuale conguaglio in danaro.

Se la destinazione di un elemento dell’attivo non è desumibile dal progetto, esso, nell’ipotesi di assegnazione dell’intero patrimonio della società scissa, è ripartito tra le società beneficiarie in proporzione della quota del patrimonio netto assegnato a ciascuna di esse, così come valutato ai fini della determinazione del rapporto di cambio; se l’assegnazione del patrimonio della società è solo parziale, tale elemento rimane in capo alla società trasferente.

Degli elementi del passivo, la cui destinazione non è desumibile dal progetto, rispondono in solido, nel primo caso, le società beneficiarie, nel secondo la società scissa e le società beneficiarie. La responsabilità solidale è limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria.

Dal progetto di scissione devono risultare i criteri di distribuzione delle azioni o quote delle società beneficiarie. Qualora il progetto preveda una attribuzione delle partecipazioni ai soci non proporzionale alla loro quota di partecipazione originaria, il progetto medesimo deve prevedere il diritto dei soci che non approvino la scissione di far acquistare le proprie partecipazioni per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso, indicando coloro a cui carico è posto l’obbligo di acquisto.

Il progetto di scissione deve essere pubblicato a norma dell’ultimo comma dell’articolo 2501-ter.”

Con riguardo agli “effetti della scissione” si deve richiamare l’ultimo comma dell’art. 2506 quater c.c.  ai sensi del quale ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico.”

Si tratta dunque di un peculiare regime di responsabilità solidale tra le società coinvolte, giacché il citato ultimo comma dell’art. 2506 quater c.c. circoscrive le  responsabilità delle società cui non faccia carico la posizione debitoria nel limite del valore effettivo del patrimonio netto assegnato (nel caso della beneficiaria) o rimasto (nel caso della scissa). Precisamente, è una responsabilità sussidiaria o di secondo livello rispetto a quello cui formalmente fa carico la posizione obbligatoria; la responsabilità delle altre società beneficiarie della scissione o della scissa, infatti, è non solo limitata ma anche sussidiaria perché opera solo per i debiti della società scissa o della beneficiaria non soddisfatti dalla società a cui essi fanno carico; sussidiarietà che discende dall’individuazione e descrizione dei cespiti assegnati nel progetto di scissione: una società ne diviene primo titolare, l’altra obbligata in via sussidiaria nei limiti del valore effettivo. 

La ragion d’essere della norma di cui all’art. 2506 quater, comma 3, c.c. deve rinvenirsi per un verso nella tutela della latitudine della garanzia patrimoniale generica stabilita dall’art. 2740, comma 1, c.c. in favore dei creditori e, per altro verso, nel principio generale che il debitore non può con un suo atto unilaterale, qual è la scissione rispetto ai creditori, diminuire la garanzia patrimoniale di cui essi godono; ciascun creditore della società originaria può dunque rivolgersi non solo al “suo” debitore - cioè la società (scissa o beneficiaria) cui il debito è stato assegnato in base al progetto di scissione, che risponderà illimitatamente -, ma anche a tutte le altre società coinvolte nella scissione, che risponderanno nei limiti del patrimonio rimasto o assegnato; pertanto, a garanzia del creditore ante scissione rimane a disposizione - nel caso di scissione parziale attuata mediante costituzione di nuove società - una sommatoria di patrimoni netti che, nel suo totale, è almeno pari all’ammontare di quello della società ante scissione (cfr. in tal senso:  Tribunale Milano sez. VIII 02/01/2013 in Giur. merito 2013, 4, 818[1]). 

La Suprema Corte ha chiarito che l’art. 2506 quater, ultimo comma, c.c. prescrive un “beneficium ordinis” che presuppone la costituzione in mora, e non un beneficio di preventiva escussione, in relazione alla responsabilità patrimoniale delle società partecipanti la scissione per i debiti trasferiti alla società scissa da questa non soddisfatti ed il limite di tale responsabilità per le società non beneficiarie è dato dalla quota dell’effettivo patrimonio assegnato o rimasto il quale definisce la misura del credito azionabile nei confronti di queste (cfr. in tal senso:  Cassazione civile sez. I, 07/03/2016, n. 4455 in Ilsocietario.it 2016, 15 settembre [2]).

Precisamente, nel caso di scissione di società, l’art. 2506 quater, comma 3, c.c. va interpretato nel senso che la società scissa risponde in via solidale, unitamente alla società di nuova costituzione, beneficiaria di una parte del patrimonio originario, del debito a quest’ultima trasferito o mantenuto; tali debitrici solidali, peraltro, sono tenute con modalità diverse: da un lato, infatti, la responsabilità della società scissa, presupponendo che il credito da far valere sia rimasto insoddisfatto, postula solo la previa costituzione in mora della società beneficiaria (cd. “beneficium ordinis”), non anche la sua preventiva escussione; dall’altro, esclusivamente la società cui il debito è trasferito o mantenuto risponde dell’intero debito, mentre l’altra società risponde nei limiti della quota di patrimonio netto assegnato o rimasto al momento della scissione e, dunque, disponibile per il soddisfacimento dei creditori, atteso che la suddetta disposizione tende a mantenere integre le garanzie dei creditori sociali per l’ipotesi di scissione, non anche ad accrescerle; ogni società derivante dalla scissione può essere chiamata a rispondere solidalmente del passivo, rispondendone per intero solo la società cui il debito è trasferito o mantenuto, mentre le altre sono responsabili nei limiti della quota di patrimonio netto di loro spettanza come determinata al momento dell’avvenuta scissione (cfr. in tal senso sempre Cassazione civile sez. I, 07/03/2016, n. 4455 in Giurisprudenza Commerciale 2016, 5, II, 971[3]).

Dunque, ciascuna società sarà solidalmente responsabile (nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto), dei soli debiti della società scissa esistenti alla data della scissione e non soddisfatti dalla società cui fanno carico; in particolare, nel caso di scissione parziale attuata mediante costituzione di nuove società, a garanzia del creditore ante scissione rimane a disposizione una sommatoria di patrimoni netti che, nel suo totale, è almeno pari all’ammontare di quello della società ante scissione (cfr. in tal senso: Tribunale Milano sez. VIII 02/01/2013 in Giur. merito 2013, 4, 818 sopra citata anche in nota).

In conclusione, la tutela dei creditori ante scissione viene attuata mediante il disposto degli artt. 2506 bis e 2506 quater c.c.: la prima norma dispone, infatti, per quanto qui interessa, che degli elementi del passivo la cui destinazione non è desumibile dal progetto rispondono in solido con la società scissa la società beneficiaria (nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto attribuito); la seconda norma prevede, per quanto qui interessa, che la società beneficiaria è solidalmente responsabile con  la società scissa (sempre nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto assegnatole) dei debiti di quest’ultima esistenti al momento della scissione e dalla stessa non soddisfatti. Come ben chiarito in giurisprudenza, le disposizioni di cui agli artt. 2506 bis, comma 3, c.c. e 2506 quater, comma 3, c.c. comportano una tutela compiuta, completa e di portata sostanzialmente identica rispetto a tutti i creditori della società ante scissione, rendendosi irrilevante che la destinazione del debito sia o non sia desumibile dal progetto di scissione (cfr. in tal senso: Tribunale Milano sez. VIII 02/01/2013 in Giur. merito 2013, 4, 818, sopra citata anche in nota).

 

4.5. Nel caso di specie, il progetto di scissione aveva enunciato analiticamente e con chiarezza i rapporti attivi e passivi bancari ceduti alla beneficiaria società P. S.p.A., tutti estranei al rapporto con INTESA SANPAOLO S.p.A., coerentemente con la logica della scissione attuata: l’attività di commercio di autovetture, infatti, era rimasta in capo alla società scissa V. S.p.A. così come i relativi rapporti con gli Istituti Bancari, mentre l’attività immobiliare era stata trasferita in capo alla società beneficiaria P. S.p.A., così come i relativi rapporti con gli Istituti Bancari, diversi da INTESA SANPAOLO S.p.A. (cfr. doc. 3 della parte attrice), la quale Banca aveva in fatti coerentemente proseguito i rapporti di debito e di credito ed, in generale, i rapporti giuridici relativi ai due conti n. 15927 e n. 9794 con la sola società V. S.p.A.

Siamo dunque al di fuori della fattispecie di cui all’art. 2506 bis, comma 3, c.c. che, come detto, concerne le passività di incerta destinazione.

 

4.6. A questo punto è opportuno richiamare la relazione scritta datata 23.10.2018 redatta dal CTU del dott. Filiberto FERRARI LORANZI, al quale è stato demandato di:

1) accertare l’esatto ammontare del credito vantato da INTESA SANPAOLO S.P.A. nei confronti della società V. S.p.A. alla data della scissione, derivante, rispettivamente, dal conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00009794 e dal conto corrente distinto con il numero 00232/1000/00015927;

2) chiarire altresì se, con riguardo a quest’ultimo conto, concernente un finanziamento conto anticipi assistito dai certificati di conformità delle auto, tali certificati venissero rilasciati o meno dell’istituto di credito solo dopo il versamento dell’importo anticipato;

3) infine, accertare se l’importo del credito di cui al Decreto Ingiuntivo del Tribunale di Torino n. 7159/14 in data 3/6/2014, notificato in data 18/6/2014, sia stato o meno determinato, in tutto o in parte, da operazioni effettuate tra la società V. S.p.A. e la banca INTESA SANPAOLO S.P.A. successivamente alla scissione, con estraneità alla convenuta società P. S.p.A.

4.7.1. Con riguardo al primo dei predetti quesiti il CTU ha correttamente ritenuto che per  “data della scissione” debba essere assunta quale data da cui decorrono gli “effetti della scissione”, giusta il disposto dell’art. 2506 quater c.c., ai sensi del quale  La scissione ha effetto dall’ultima delle iscrizioni dell’atto di scissione nell’ufficio del registro delle imprese in cui sono iscritte le società beneficiarie”) (cfr. relazione scritta alle pagine 18 e seguenti).

L’atto di scissione con contestuale costituzione della beneficiaria P. S.p.A. S.p.A. è stato stipulato in data 26.11.2009, mentre la data di iscrizione nel Registro delle imprese è del 03.12.2009 (che è, appunto, la data da cui decorrono gli effetti della scissione e l’acquisizione della personalità giuridica da parte della beneficiaria).

Una volta definita da data cui fare riferimento (03.12.2009), il CTU ha esaminato i rispettivi estratti conto al 30.11.2009 (cfr. docc. 6 e 7 di parte attrice), imputando al saldo le operazioni (+/-) intercorse nei primi tre giorni di dicembre 2009.

In sintesi, con riguardo al conto 9794 è risultato quanto segue (cfr. anche doc. 6 di parte attrice):

·                    saldo 30.11.2009:                         - 379.400,13

·                    addebiti dal 1 al 3.12.2009:                   - 103.639,78

·                    accrediti dal 1 al 3.12.2009:                      226.475,45

·                    saldo al 03.12.2009 (data scissione)   - 256.564,46.

Invece, con riguardo al conto 15927 è risultato quanto segue (cfr. anche doc. 7 di parte attrice):

·                    saldo 30.11.2009:                         - 688.175,41

·                    addebiti dal 1 al 3.12.2009:                   -   20.447,68

·                    accrediti dal 1 al 3.12.2009:                       11.253,62

·                    saldo al 03.12.2009 (data scissione)   - 697.369,47.

Il CTU ha quindi concluso sul punto riferendo che il credito vantato da INTESA SANPAOLO nei confronti di V. S.p.A. alla data della scissione (03.12.2009) ammontava ad Euro 256.564,46 quanto al conto 9794 e ad Euro 697.369,47 quanto al conto 15927 (cfr. relazione scritta a pag. 21).

Tale conclusione è stata confermata dal CTU anche a seguito delle osservazioni dei rispettivi C.T. delle parti (cfr. relazione scritta a pag. 45).

4.7.2. Con riguardo al secondo dei predetti quesiti, relativo al funzionamento del conto 15927 e rilascio dei certificati di conformità, il CTU ha accertato e riferito quanto segue (cfr. relazione scritta alle pagine 22 e seguenti):

- premesso che il quesito non specifica un periodo temporale definito, si tratta quindi di verificare il “funzionamento” del conto 15927 sulla base della documentazione in atti e,

specificamente:

- doc. 5 INTESA (documentazione bancaria “Concessione linee di credito” datate 09.11.2004 e 16.03.2007;

- doc. 6. INTESA (estratti conto 9794, di fatto ridepositati in sede di ordine di esibizione);

- doc. 7 INTESA (estratti conto 15927, di fatto ridepositati in sede di ordine di esibizione);

- doc. 11 P. (trattasi di elencazione riferita al 01.03.20116 elaborata da INTESA su cui sono riportati per ciascun telaio, il relativo n. di fattura emessa dalla casa automobilistica, l’importo (oggetto di anticipazione) e la descrizione “A GARANZIA”, che si riferisce evidentemente al certificato di conformità relativo;

- doc. 14 P. (trattasi di elaborato denominato relativo a n. 43 auto; tale documento verrà di seguito ampiamente esaminato);

 - doc. 15 P. (trattasi di n. 43 “set” di corrispondenza (ciascun set si riferisce ad ogni singola auto di cui all’elenco doc. 14) intercorsa tra INTESA e V.. In particolare, ogni “set” si compone7 di 3 lettere: una indirizzata da V. a INTESA e 2 indirizzate da INTESA a V.;

- il conto 15927 è una “linea di credito continuativa per anticipi su documenti rappresentativi” (id est “certificati di conformità”) e si differenzia dal conto 9794 che è invece una “linea di credito continuativa per apertura di credito in conto corrente e per ogni altra occorrenza bancaria”;

- il certificato di conformità è una dichiarazione di conformità con l’omologazione della CE e contiene le informazioni relative al veicolo, il numero di omologazione, le specifiche tecniche e altri dati; nel gergo automobilistico, il certificato di conformità è un titolo che attesta la proprietà di un autoveicolo nuovo prima dell’immatricolazione;

- le modalità di funzionamento del conto 15927 sono brevemente descritte nello stesso atto di citazione attoreo;

- il conto 15927 e il conto 9794 presentano modalità di funzionamento e condizioni economiche nettamente diverse; in particolare, il tasso debitorio applicato nel conto 15927 è nettamente inferiore (il che è ovvio vista la forma di garanzia concessa); si tratta di un elemento di notevole importanza ai fini dell’analisi richiesta perché è evidente come la società V. S.p.A. avesse massimo interesse a utilizzare allo  scoperto il conto 15927 (attraverso la forma di garanzia dei certificati di conformità) piuttosto che il conto 9794; basta poi esaminare un qualsiasi estratto conto per cogliere immediatamente le differenze tra i due conti; in dettaglio, il conto 9794 presenta un numero elevatissimo di movimentazioni in entrata (versamento assegni, incassi POS, contanti e bonifici da terzi) ed in uscita (bonifici in uscita, addebiti preautorizzati, commissioni);

- due specifiche tipologie di uscite (colonna “Addebiti”) registrate sul conto 9794 riguardano i movimenti indicati come “Ritiro documenti” e “Giroconto a favore di V.” (questi ultimi sono giroconti a favore del conto 15927);

- sul conto 15927 transitano invece solo due tipologie movimenti:  in uscita (colonna “Addebiti”) i movimenti indicati come “Ritiro documenti”; in entrata (colonna “Accrediti”) i movimenti indicati come “Giroconto disposto da V.” che sono esattamente quelli provenienti dal conto 9794;

- risulta una perfetta riconciliabilità, al 01.03.2011, tra il debito del conto 15927 (euro 615.266,27) e le anticipazioni riferite alle n. 36 auto (= telai con relativo certificati di conformità = fatture di vendita per le quali la banca ha provveduto a pagare/anticipare);

- il funzionamento che se ne deduce è il seguente:

·                    la casa automobilistica inviava (in cartaceo originale o, più recentemente, tramite flussi informatici) i certificati di conformità degli autoveicoli acquistati da V. ad INTESA ed emetteva fattura di vendita intestata a V.;

·                    alla rispettiva scadenza della fattura, V. chiedeva a INTESA (che aveva il certificati di conformità) di anticipare il pagamento alla casa automobilistica, addebitando il conto 15927;

·                    quando V. trovava il cliente finale cui vendere l’auto (o decideva comunque di immatricolare l’auto, tipico km0) aveva necessità di ritirare il certificato (perché diversamente non avrebbe potuto immatricolare l’auto) e quindi chiedeva a INTESA la consegna del certificati di conformità;

·                    INTESA procedeva quindi alla consegna del certificati di conformità previo ovviamente incasso dell’importo già oggetto di anticipazione che perveniva in entrata sul conto 15927 (dal conto 979417);

·                    l’operazione era quindi conclusa: il relativo certificati di conformità era nelle mani di V. (o del cliente finale), INTESA era rientrata in possesso delle somme anticipate (e lucrava sull’interesse);

·                    tale funzionamento si ripeteva nel tempo e via via si rinnovava lo stock di certificati di conformità presso INTESA (e, quindi, rimaneva il corrispondente debito sul conto 15927);

- è altresì opportuno evidenziare quanto riportato nell’Ordinanza 14.07.2015 della dott.ssa RATTI (doc. 1 P.) in merito al conto 15927 ed al suo funzionamento (in particolare “il rilascio dall’istituto di credito solo dopo il versamento dell’importo anticipato”);

- il CTU ha altresì esaminato la ricostruzione effettuata dal CT di parte P. con riferimento ai certificati di conformità in garanzia ad INTESA alla data del 03.12.2009 (data scissione), sulla base del doc. 7 INTESA e del doc. 14 P. e, in sintesi, la ricostruzione ha permesso di accertare quanto segue:

·                    al 30.11.2009, INTESA aveva in garanzia n. 43 certificati di conformità come da dettaglio doc. 14 P. (e relativo doc. 15 P.), a fronte dei quali aveva anticipato euro 688.166,38 come da stralcio doc. 14 P. che si riporta questo totale (che è il credito di INTESA al 30.11.2009) si ritrova esattamente nell’estratto conto 15927 al 30.11.2009;

·                    ciascuno dei 43 certificati di conformità (uno per ogni auto) risulta quindi consegnato in data post 30.11.2009, come risulta dalla colonna “Scarico c/ant.doc.” (l’ultimo è stato consegnato il 29.04.2011 progressivo 43);

·                    tale ricostruzione, riferita al 30.11.2009, pare quindi sufficiente per dimostrare che, analogamente a quanto già rilevato al 01.03.2011, anche al 30.11.2009 risulta una perfetta riconciliabilità tra il debito del conto 15927 (euro 688.175,41) e le anticipazioni riferite alle n. 4318 auto (= telai con relativo certificati di conformità = fatture di vendita per le quali la banca ha provveduto a pagare/anticipare).

Il CTU ha quindi concluso, in risposta al quesito 2), riferendo che “i certificati di conformità venivano rilasciati dalla banca solo dopo il versamento dell’importo anticipato.” (cfr. relazione scritta a pag. 32).

Tale conclusione è stata confermata dal CTU anche a seguito delle osservazioni dei rispettivi C.T. delle parti (cfr. relazione scritta a pag. 45).

4.7.3. Infine, con riguardo al terzo dei predetti quesiti, relativo all’accertamento se l’importo del credito di cui al Decreto Ingiuntivo del Tribunale di Torino n. 7159/2014 in data 3/6/2014 sia stato o meno determinato, in tutto o in parte, da operazioni effettuate tra la società V. S.p.A. e la banca INTESA SANPAOLO S.P.A. successivamente alla scissione, con estraneità alla convenuta società P. S.p.A (cfr. relazione scritta alle pagine 33 e seguenti), il CTU ha innanzitutto rilevato che le date da considerare sono, rispettivamente:  

·                    il 03.12.2009: data effetti della scissione (iscrizione atto di scissione e iscrizione beneficiaria P. S.p.A.);

·                    il 03/18.06.2014: data del Decreto ingiuntivo del Tribunale di Torino n. 7159/2014;

·                    il 22.10.2014: data del fallimento della società V. S.p.A.

Il CTU ha poi ribadito che al 03.12.2009 (data scissione), il credito vantato da INTESA SANPAOLO S.p.A. nei confronti di V. S.p.A. ammontava ad Euro 256.564,46 quanto al conto 9794 e ad Euro 697.369,47 quanto al conto 15927.

Per quanto attiene il conto 9794, il CTU ha quindi accertato e riferito quanto segue:      

·                    per quanto attiene il conto 9794, è stato ricostruito l’andamento “successivamente alla scissione” (03.12.2009) sulla base degli estratti conto di parte attrice prodotti sub doc. 6) ed il saldo del conto 9794 è diventato positivo (credito della società V. S.p.A. verso INTESA SANPAOLO S.p.A.) al 28.02.2010, vale a dire 3 mesi dopo la scissione; tra gli accrediti si evidenziano versamenti di assegni per Euro 500.000 che, dall’esame degli atti (tra cui il bilancio della società V. S.p.A. prodotto dalla parte attrice sub doc. 5) risultano versamenti soci;

·                    successivamente il saldo è ritornato a debito della società V. S.p.A. nel mese di aprile 2010 e poi nuovamente a credito della stessa nel maggio 2010;

·                    come si nota, dal mese di febbraio 2010 e fino al 31.12.2010 (con l’eccezione di alcuni giorni a maggio 2010) il saldo del conto 9704 è rimasto attivo (credito della società V. S.p.A.);

·                    a partire dal gennaio 2011 il saldo del conto 9794 è divenuto definitivamente negativo, in ciò determinato da operazioni effettuate dalla società V. S.p.A. post scissione (avvenuta oltre un anno prima) e tale si manterrà per tutto il 2011, 2012, 2013 e fino al febbraio 2014 a seguito di “azzeramento” da parte della banca per giroconto a sofferenza.

Per quanto attiene, invece, il conto 15927, il CTU ha accertato e riferito quanto segue:  

·                    per quanto attiene il conto 15927, l’andamento “successivamente alla scissione” (03.12.2009) mostra che il saldo si è mantenuto costantemente negativo (a debito della società V. S.p.A.) fino al febbraio 2014, allorquando è intervenuto l’ “azzeramento” da parte della banca per giroconto a sofferenza (cfr. doc. 6 di parte attrice);

·                    tale andamento (sempre a debito della società V. S.p.A.) è del tutto compatibile con il funzionamento del conto che, appunto, è un “conto anticipi su documenti”;

·                    peraltro, sulla scorta di quanto riportato nella risposta al quesito, il debito in essere al 03.12.2009 sul conto 15927 (Euro 697.369,47) si riferiva ad anticipi relativi a n. 44 certificati di conformità che sono stati riconsegnati tutti (a fronte della restituzione dell’anticipo da parte di V.) entro il 29.04.2011;

·                    si può quindi concludere che il debito della società V. S.p.A. esistente al 03.12.2009 (Euro 697.369,47) è stato interamente estinto il 29.04.2011 e via via, a fronte dei ulteriori anticipazioni occorse dal 03.12.2009 in avanti (parte delle quali regolarmente rimborsate), si è generato il debito della società V. S.p.A. verso INTESA SANPAOLO S.p.A., che ha formato poi oggetto di Decreto ingiuntivo nel 2014.

Il CTU ha quindi concluso riferendo che “l’importo del credito di cui al Decreto ingiuntivo n. 7159/2014 (3-18.06.2014) è stato determinato in tutto – vale a dire sia con riferimento al conto 9794 sia con riferimento al conto 15927 – da operazioni effettuate tra V. e INTESA successivamente alla scissione, con estraneità di P. S.p.A.” (cfr. relazione scritta a pag. 37). 

Tale conclusione è stata confermata dal CTU anche a seguito delle osservazioni dei rispettivi C.T. delle parti (cfr. relazione scritta a pag. 45).

 

4.8. Tutto ciò chiarito, per quanto concerne il conto n. 9794, si deve innanzitutto ribadire che, nel caso di scissione, la società beneficiaria è solidalmente responsabile (nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato) dei soli debiti della società scissa esistenti alla data della scissione e non soddisfatti dalla società cui fanno carico; in particolare, nel caso di scissione parziale attuata mediante costituzione di nuove società, a garanzia del creditore ante scissione rimane a disposizione una sommatoria di patrimoni netti che, nel suo totale, è almeno pari all’ammontare di quello della società ante scissione (cfr. in tal senso: Tribunale Milano sez. VIII 02/01/2013 in Giur. merito 2013, 4, 818 sopra citata).

Pertanto, nel caso di specie, con riguardo a tale conto, trattandosi di rapporto di conto corrente con “apertura di credito”, l’obbligazione solidale e sussidiaria della P. S.p.A. ex art. 2506 quater, comma 3, c.c. dev’essere circoscritta e limitata al saldo del credito vantato da INTESA SANPAOLO S.p.A. nei confronti della V. S.p.A. alla data della scissione (03.12.2009) e, dunque, all’importo di Euro 256.564,46 (come accertato dal CTU).

Ed infatti, trattandosi di un rapporto di apertura di credito (laddove le rimesse sono normalmente ripristinatorie della disponibilità, atteso che quando  il correntista esegue una rimessa può subito dopo fare un prelievo), il saldo si “congela” al momento della scissione e la parte convenuta avrebbe dovuto provare la natura “solutoria” dei versamenti effettuati successivamente alla scissione e che avevano portato al saldo positivo del conto n. 9794 al 28.02.2010 (secondo quanto accertato dal CTU).

Si richiamano sul punto i seguenti principi espressi dalle Sezioni Unite della Cassazione civile, Sezioni Unite, 02 dicembre 2010, n. 24418:

- come agevolmente si evince dal disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., l’apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l’intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli; se, pendente l’apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, pare indiscutibile che non vi sia alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato; in tal caso, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di interessi in misura non consentita, l’eventuale azione di ripetizione d’indebito non potrà che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincerà perciò a decorrere il relativo termine di prescrizione; qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca; questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento; non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere;

- un versamento eseguito dai cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso dalla banca con l’apertura di credito non ha né lo scopo né l’effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento, non sarebbe scaduto né esigibile), bensì quello di riespandere la misura dell’affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista; non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà d’indebitamento del correntista; e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin lì computati si traduce in un’indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi;

- di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto.

Nel caso di specie, i versamenti eseguiti sul conto n. 9794 non possono dunque essere qualificati come “pagamenti”  e non sono estintivi dell’obbligazione[4].

Pertanto, tenuto conto dei rilievi che precedono, con riguardo al conto n. 9794, la parte convenuta P. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,  dev’essere dichiarata tenuta e condannata a pagare alla parte attrice INTESA SANPAOLO S.p.A. la predetta somma di Euro 256.564,46, oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito dal 03.12.2009 (data degli effetti della scissione) fino al saldo.

 

4.9. A conclusioni diverse deve invece giungersi per quanto concerne il conto n. 15927.

In linea di diritto si deve ribadire che, nel caso di scissione, ciascuna società è solidalmente responsabile (nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto) dei soli debiti della società scissa esistenti alla data della scissione e non soddisfatti dalla società cui fanno carico.

Dal punto di vista tecnico, si deve ricordare che, secondo quanto accertato dal CTU, alla data della scissione (03.12.2009) il credito vantato da INTESA SANPAOLO nei confronti di V. S.p.A. ammontava ad Euro 697.369,47 quanto al conto 15927 (cfr. relazione scritta a pag. 21).

Inoltre, come accertato dal CTU, tale debito della società V. S.p.A. esistente al 03.12.2009 era stato poi interamente estinto al 29.04.2011 e soltanto a fronte delle ulteriori anticipazioni occorse dal 03.12.2009 in avanti (con estraneità di P. S.p.A.) si era poi generato il debito della società V. S.p.A. verso INTESA SANPAOLO S.p.A., poi oggetto del decreto ingiuntivo n. 7159/2014.

A differenza di quanto si è detto con riguardo al conto con “apertura di credito” n. 9794, in questo caso, trattandosi di una “linea di credito per anticipi su documenti rappresentativi” e, precisamente, su “certificati di conformità” (secondo il richiamato meccanismo esposto dal CTU),  ciascuna anticipazione aveva una propria autonomia e, dunque, i versamenti effettuati avevano natura giuridica di veri e propri “pagamenti” in senso tecnico di ciascuna singola operazione creditizia, in quanti tali estintivi della relativa obbligazione pecuniaria (caratteristiche queste che non ricorrono nella normale operatività del fido per cassa).

Lo stesso dicasi se la banca conceda una linea di credito per anticipazione su documenti fissando il c.d. “castelletto di sconto”, giacché il montante del fido non rappresenta la somma di cui il cliente ha facoltà di disporre fino a revoca (o a termine), ma semplicemente il limite entro cui la banca si impegna a scontare gli effetti e ricevute bancarie che il cliente le presenterà, senza implicare, anche se regolato in conto corrente, alcun trasferimento di denaro al cliente (neppure nella forma della «messa a disposizione»), con la conseguenza che detto trasferimento avverrà solo in forza dei singoli negozi di sconto e l’obbligazione restitutoria dello scontatario sorgerà solo ove i documenti scontati rimangano insoluti (cfr. in tal senso: Cassazione civile sez. I, 14/07/2010, n.16560[5]; Cassazione civile sez. I, 11/09/1993, n. 9479[6]).

Non essendovi creazione di disponibilità, il castelletto di sconto non può essere assimilato all’apertura di credito, tanto è vero che, in tema di revocatoria, la giurisprudenza  ha qualificato atti solutori “i versamenti effettuati dal fallito sul conto corrente bancario nella parte eccedente l’apertura di credito, in quanto il castelletto, pur regolato nel medesimo conto, non rappresenta, in difetto di specifici elementi contrari, una forma di utilizzazione dell’apertura di credito stessa” (cfr. in tal senso: (Cassazione civile sez. I, 11/09/1993, n. 9479, sopra citata anche in nota).

Pertanto, con riguardo al conto n. 15927, poiché il debito della società V. S.p.A. esistente al 03.12.2009 (Euro 697.369,47) era stato interamente estinto al 29.04.2011 (e soltanto a fronte delle ulteriori anticipazioni occorse dal 03.12.2009 in avanti e con estraneità di P. S.p.A. si era poi generato il debito della società V. S.p.A. verso INTESA SANPAOLO S.p.A., poi oggetto del decreto ingiuntivo n. 7159/2014), la domanda di condanna proposta dalla parte attrice INTESA SANPAOLO S.p.A. nei confronti della parte convenuta P. S.p.A., dev’essere rigettata.

 

4.10. In conclusione, tenuto conto dei rilievi che precedono, in accoglimento soltanto parziale della domanda di merito proposta dalla parte attrice, la parte convenuta P. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,  dev’essere dichiarata tenuta e condannata a pagare alla parte attrice INTESA SANPAOLO S.p.A. la somma di Euro 256.564,46, oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito dal 03.12.2009 (data degli effetti della scissione) fino al saldo.

 

4.11. Le ulteriori questioni proposte dalle parti devono ritenersi disattese, tenuto anche conto che, secondo il costante insegnamento della Cassazione, per assolvere l’obbligo motivazionale conforme al disposto dell’art. 132 n. 4 c.p.c., il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali è fondato il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutte le altre ricostruzioni, gli altri rilievi e le circostanze che, sebbene non siano menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, dovendosi ritenere, diversamente, che la motivazione non possa qualificarsi come succinta nel senso voluto dall’articolo 118 delle disposizioni di attuazione c.p.c.; è sufficiente, cioè, il riferimento alle ragioni in fatto e in diritto ritenute idonee a giustificare la soluzione adottata; con specifico riguardo all’accertamento del fatto, dunque, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione ‘logica’ ed ‘adeguata’ dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (sul punto, possono richiamarsi le seguenti pronunce: Cass. civile sez. III, 24 marzo 2016, n. 5882;  Cass. civile sez. II, 16 dicembre 2015, n. 25289;  Cass. civile sez. VI, 10 febbraio 2015 n. 2498; Cass. civile sez. VI, 02 dicembre 2014 n. 25509; Cass. civile, sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123; Cass. civile, sez. I, 15 maggio 2013, n. 11699; Cass. civile, sez. I, sentenza 11 luglio 2012, n. 11645; Cass. civile, sez. I, 28 maggio 2012, n. 8451; Cass. civile, sez. II, 20 febbraio 2012, n. 2412; Cass. civile, 24 novembre 2011, n. 24843; Cass. civile, sez. III, 27 settembre 2011, n. 19748; Cass. civile, sez. I, 15 aprile 2011, n. 8767; Cass. civile, sez. II, 12 aprile 2011, n. 8294; Cass. civile, sez. III, 28 ottobre 2009, n. 22801; Cass. civile, sez. III, 10 marzo 2009, n. 5762;  Cass. civile, sez. III, 27 luglio 2006, n. 17145).

Del resto, alcune questioni proposte dalle parti devono ritenersi assorbite, in ossequio al c.d. “criterio della ragione più liquida”, in forza del quale la pronuncia viene emessa sulla base di una o più ragioni, a carattere assorbente, che da sole sono idonee a regolare la lite (cfr. per tutte: Cass. Civile, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014 n. 26242; Cass. Civile, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014 n. 26243; Cass. civile, sez. II, 03 luglio 2013, n. 16630; Cass. civile, sez. III, 16 maggio 2006, n. 11356).

 

 

5. Sulle spese processuali.

5.1. In virtù della soccombenza soltanto parziale della parte convenuta, quest’ultima dev’essere dichiarata tenuta e condannata a rimborsare alla parte convenuta il 50% delle spese processuali, in conformità del Regolamento adottato con il D.M. 10.03.2014 n. 55 (pubblicato sulla G.U. n. 77 del 2.04.2014).

Precisamente, tenuto conto dei parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale previsti dall’art. 4 del citato D.M. 10.03.2014 n. 55 (e, in particolare, delle caratteristiche e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà -contrasti giurisprudenziali, quantità e contenuto della corrispondenza intrattenuta- e del valore dell’affare,  dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate), i compensi vengono liquidati sulla base della Tabella 2) allegata al predetto Regolamento, secondo i seguenti valori di liquidazione previsti nello scaglione “da Euro 520.000,00 ad Euro 1.000.000,00”, riferiti all’intero:

Euro 4.388,00 per la fase di studio della controversia;

Euro 2.895,00 per la fase introduttiva del giudizio;

Euro 12.890,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione;

Euro 14.000,00 per le due fasi decisionali;

per un totale di Euro 34.173,00.

Pertanto,  la parte convenuta P. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,  dev’essere dichiarata tenuta e condannata a rimborsare alla parte attrice INTESA SANPAOLO S.p.A. il 50% delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 34.173,00= per compensi e, così, a pagare la somma di Euro 17.086,50, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione, oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Il restante 50% dev’essere compensato tra le parti.

 

5.2. Sempre in virtù della soccombenza soltanto parziale della parte convenuta, le spese della CTU, già liquidate dal Giudice Istruttore con decreto datato 29/10/2018, devono essere poste a carico della parte attrice INTESA SANPAOLO S.p.A., nella misura di 1/3, e della parte convenuta P. S.p.A., nella misura di 2/3.

 

P.Q.M.

Il TRIBUNALE DI TORINO, Prima Sezione Civile, Sezione Specializzata in materia di Impresa, in composizione collegiale, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando sulla causa iscritta al n. 14037/2016 RG promossa dalla società INTESA SANPAOLO S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore e, per esso, della dr.ssa F. Emanuela (parte attrice) contro la società P. S.p.A., in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore sig. P. Attilio (parte convenuta), nel contraddittorio delle parti, in parziale accoglimento della domanda proposta dalla parte attrice:

1) Rigetta le deduzioni istruttorie proposte dalle parti nelle rispettive conclusioni definitive.

2) Dichiara tenuta e condanna la parte convenuta P. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,  a pagare alla parte attrice INTESA SANPAOLO S.p.A. la somma di Euro 256.564,46, oltre interessi al tasso contrattualmente pattuito dal 03.12.2009 fino al saldo.

3) Dichiara tenuta e condanna la parte convenuta P. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,  a rimborsare alla parte attrice INTESA SANPAOLO S.p.A. il 50% delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 34.173,00= per compensi e, così, a pagare la somma di Euro 17.086,50, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione, oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge. Dichiara compensato tra le parti il restante 50%.

4) Pone le spese della CTU, già liquidate dal Giudice Istruttore con decreto datato 29/10/2018, a carico della parte attrice INTESA SANPAOLO S.p.A., nella misura di 1/3, e della parte convenuta P. S.p.A., nella misura di 2/3.

Così deciso in Torino, in data 18 ottobre 2019.

LA PRESIDENTE

Dott.ssa Gabriella RATTI

IL GIUDICE ESTENSORE

Dott. Edoardo DI CAPUA



[1] Tribunale Milano sez. VIII 02/01/2013 in Giur. merito 2013, 4, 818: “La ragion d’essere della norma di cui all’art. 2506 quater comma 3 c.c. deve rinvenirsi per un verso nella tutela della latitudine della garanzia patrimoniale generica stabilita dall’art. 2740 comma 1 c.c. in favore dei creditori e, per altro verso, nel principio generale che il debitore non può con un suo atto unilaterale, qual è la scissione rispetto ai creditori, diminuire la garanzia patrimoniale di cui essi godono. Ciascun creditore della società originaria può dunque rivolgersi non solo al “suo” debitore - cioè la società (scissa o beneficiaria) cui il debito è stato assegnato in base al progetto di scissione, che risponderà illimitatamente -, ma anche a tutte le altre società coinvolte nella scissione, che risponderanno nei limiti del patrimonio rimasto o assegnato. Pertanto, a garanzia del creditore ante scissione rimane a disposizione - nel caso di scissione parziale attuata mediante costituzione di nuove società - una sommatoria di patrimoni netti che, nel suo totale, è almeno pari all’ammontare di quello della società ante scissione. (Nella specie, le disposizioni di cui agli art. 2506 bis comma 3 e 2506 quater comma 3 c.c. comportano una tutela compiuta, completa e di portata sostanzialmente identica rispetto a tutti i creditori della società ante scissione, rendendosi irrilevante che la destinazione del debito sia o non sia desumibile dal progetto di scissione).

 

[2] Cassazione civile sez. I, 07/03/2016, n. 4455 in Ilsocietario.it 2016, 15 settembre: “L’art. 2506 quater, ultimo comma, c.c. prescrive un “beneficium ordinis”, che presuppone la costituzione in mora, e non un beneficio di preventiva escussione, in relazione alla responsabilità patrimoniale delle società partecipanti la scissione per i debiti trasferiti alla società scissa da questa non soddisfatti. Il limite di tale responsabilità per le società non beneficiarie è dato dalla quota dell’effettivo patrimonio assegnato o rimasto il quale definisce la misura del credito azionabile nei confronti di queste”.

[3] Cassazione civile sez. I, 07/03/2016, n. 4455 in Giurisprudenza Commerciale 2016, 5, II, 971: “Nel caso di scissione di società, l’art. 2504-decies, comma 2, c.c. (applicabile “ratione temporis”, oggi art. 2506-quater, comma 3, c.c.) va interpretato nel senso che la società scissa risponde in via solidale, unitamente alla società di nuova costituzione, beneficiaria di una parte del patrimonio originario, del debito a quest’ultima trasferito o mantenuto. Tali debitrici solidali, peraltro, sono tenute con modalità diverse: da un lato, infatti, la responsabilità della società scissa, presupponendo che il credito da far valere sia rimasto insoddisfatto, postula solo la previa costituzione in mora della società beneficiaria (cd. “beneficium ordinis”), non anche la sua preventiva escussione; dall’altro, esclusivamente la società cui il debito è trasferito o mantenuto risponde dell’intero debito, mentre la società scissa risponde nei limiti della quota di patrimonio netto rimastale al momento della scissione e, dunque, disponibile per il soddisfacimento dei creditori, atteso che la suddetta disposizione tende a mantenere integre le garanzie dei creditori sociali per l’ipotesi di scissione, non anche ad accrescerle. Ogni società derivante dalla scissione può essere chiamata a rispondere solidalmente del passivo consolidato in sede di procedura fallimentare, rispondendone per intero solo la società cui il debito è trasferito o mantenuto, mentre le altre sono responsabili nei limiti della quota di patrimonio netto di loro spettanza come determinata al momento dell’avvenuta scissione.”

 

[4] La PAVIOTTI RE S.p.A. si è trovata in una posizione che presenta una certa analoga con quella (sia pure diversa) del recesso di un fideiussore dalla garanzia prestata per i debiti di un terzo, derivanti da un rapporto di apertura di credito bancario in conto corrente destinato a prolungarsi ulteriormente nel tempo, nel quale caso, secondo l’orientamento della Cassazione prevalente, si produce l’effetto che l’obbligazione accessoria viene circoscritta al saldo del debito esistente al momento in cui il recesso è diventato efficace  e  l’obbligo del garante è limitato al pagamento di tale saldo anche qualora il debito dell’accreditato, al momento in cui la successiva chiusura del conto rende la garanzia attuale ed esigibile, risulti aumentato in dipendenza di operazioni posteriori, e senza che peraltro, ai fini della determinazione dell’ambito della prestazione dovuta dal garante, possa aversi una considerazione delle ulteriori rimesse dell’accreditato separata e diversa rispetto ai prelevamenti dallo stesso operati, e ciò stante l’unitarietà e l’inscindibilità del rapporto tra banca e cliente; e solo se il saldo esistente alla chiusura del rapporto di apertura di credito sia inferiore a quello esistente al momento del recesso del fideiussore, si verifica una corrispondente riduzione dell’obbligazione fideiussoria, in applicazione della regola sancita dall’art. 1941, comma 1, c.c., per cui la fideiussione non può eccedere l’ammontare dell’obbligazione garantita (cfr. in tal senso: Cassazione civile, sez. I, 15/06/2012, n. 9848).

[5] Cassazione civile sez. I, 14/07/2010, n.16560: “In tema di contratto di sconto bancario, che risulti stipulato per fatti concludenti, non rileva - al fine del sorgere delle obbligazioni derivanti dal contratto, né l’assenza di un contratto di apertura di credito, né la mancanza di un « castelletto di sconto », atteso che il contratto di sconto non richiede la forma scritta né ad substantiam né ad probationem , ferma restando, ove lo sconto avvenga mediante girata, l’osservanza delle formalità richieste dalla legge di circolazione del titolo. Il « castelletto di sconto », infatti è un negozio distinto dal contratto di apertura di credito in quanto con esso la banca s’impegna, nel limite e per il tempo concordati, a scontare, a favore di un soggetto determinato, gli effetti e le ricevute bancarie che questo le presenterà senza implicare, anche se regolato in conto corrente, alcun trasferimento di denaro al cliente (neppure nella forma della « messa a disposizione ») con la conseguenza che detto trasferimento avverrà solo in forza dei singoli negozi di sconto e l’obbligazione restitutoria dello scontatario sorgerà solo ove i documenti scontati rimangano insoluti.

 

[6] Cassazione civile sez. I, 11/09/1993, n.9479: “Il castelletto di sconto è un negozio che si distingue da quello di apertura di credito, in quanto con esso la banca s’impegna, nel limite e per il tempo concordati, a scontare, a favore di un soggetto determinato, gli effetti e le ricevute bancarie che questo le presenterà e, pertanto, non implica, anche se regolato in conto corrente, alcun trasferimento di denaro al cliente (neppure nella forma della ‘messa a disposizione’); mentre detto trasferimento avverrà solo in forza dei singoli negozi di sconto e l’obbligazione restitutoria dello scontatario sorgerà solo ove i documenti scontati rimangano insoluti (in forza di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha ritenuto atti solutori - come tali revocabili a norma dell’art. 67 l. fall. - i versamenti effettuati dal fallito sul conto corrente bancario nella parte eccedente l’apertura di credito, in quanto il "castelletto", pur regolato nel medesimo conto, non rappresenta, in difetto di specifici elementi contrari, una forma di utilizzazione dell’apertura di credito stessa).”