Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 13739 - pubb. 27/11/2015

La chiamata in causa del dipendente nel procedimento per l’accertamento della responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2049 c.c. non comporta la competenza del giudice del lavoro

Tribunale Bologna, 13 Novembre 2015. Est. Rita Chierici.


Responsabilità ex art. 2049 c.c. – Chiamata in causa del terzo dipendente – Domanda di garanzia ex art. 32 c.p.c. – Competenza del Tribunale civile – Necessità di conversione del rito ordinario in rito speciale – Insussistenza



La chiamata in causa del dipendente spiegata dal datore di lavoro nel procedimento per l’accertamento della responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2049 c.c. non determina la competenza del giudice del lavoro, né impone il mutamento del rito ordinario in rito del lavoro, in quanto la stessa non è riconducibile ad alcuna delle fattispecie elencate nell’art. 409 c.p.c. ma, al contrario discende dall’azione risarcitoria extra-contrattuale ed ha, pertanto, natura di domanda di garanzia ai sensi dell’art. 32 c.p.c., in quanto tale idonea ad essere trattata dal Giudice competente per la causa principale. (Andrea Gambardella) (riproduzione riservata)


Segnalazione del Dott. Andrea Gambardella


Il testo integrale




Responsabilità indiretta del datore di lavoro: la chiamata in causa del dipendente non impone la conversione del rito


Nota a Tribunale di Bologna, ord. 13 novembre 2015

di Andrea Gambardella


La chiamata in causa del terzo-dipendente da parte del datore di lavoro convenuto in giudizio ai sensi dell’art. 2049 c.c. non impone la conversione del rito ordinario di cognizione in rito speciale del lavoro, essa infatti “discende dall’azione risarcitoria extra-contrattuale[…]ed ha natura di domanda di garanzia ai sensi dell’art. 32 c.p.c., in quanto tale idonea ad essere trattata dal Giudice competente per la causa principale”; è quanto stabilito nell’ordinanza in commento pronunciata dal Tribunale di Bologna in composizione monocratica a scioglimento di una riserva istruttoria.


Il suddetto provvedimento è di particolare interesse nel punto in cui prende in esame il rapporto tra l’azione aquiliana di cui all’art. 2049 c.c. (responsabilità dei padroni e dei committenti)[1] e le disposizioni del codice di procedura civile sulle controversie in materia di lavoro (artt. 409 e ss. c.p.c.), con particolare riferimento alla competenza del Giudice del lavoro e al passaggio al rito speciale ex art. 426 c.p.c..


Nello specifico, il Giudice – una volta esclusa la necessità di separare la domanda risarcitoria principale dalla domanda di manleva e rivalsa formulata dal datore di lavoro nei confronti del proprio dipendente (indicato dall’attore come fautore materiale dell’eventus damni) - era chiamato a pronunciarsi sull’istanza formulata dalla medesima società convenuta-datore inerente la conversione del rito ordinario in rito speciale. Nel motivare la scelta di procedere nelle forme del rito ordinario, l’istruttore rileva la non riconducibilità nel novero delle controversie indicate dall’art. 409 c.p.c. della chiamata in garanzia del dipendente, alla luce delle disposizioni sul simultaneus processus di cui agli articoli 31 e seguenti del codice di procedura civile.


Il Tribunale richiama, al riguardo, un orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. civ. n.24802/2008)[2] in materia di rivalsa del datore di lavoro, secondo il quale l’art. 2049 c.c. costituirebbe una ipotesi di obbligazione solidale derivante da fatto illecito, idonea a legittimare la chiamata a manleva del dipendente “anche nel medesimo giudizio di cognizione per la somma pagata al terzo danneggiato”[3].



[1] È noto che l’ipotesi speciale di responsabilità indiretta disciplinata dall’art. 2049 c.c. include la responsabilità del preponente non solo per i fatti illeciti commessi dal preposto nell’esecuzione della prestazione contrattuale, ma anche quelli commessi in occasione dell’esecuzione della prestazione anche se dolosi o costituenti reato (es. responsabilità della Banca in caso di appropriazione indebita di denaro da cassette di sicurezza, perpetrata da un funzionario di cassa); sul punto fra le tante Cass. civ. 16 maggio 2006 n.11375 in Foro it., 2006, I, 2014.

[2] La massima: “Nell'obbligazione solidale da fatto illecito, l'onere di ciascun obbligato, nei rapporti interni, è proporzionato alla relativa colpa e all'entità delle conseguenze che ne sono derivate; pertanto, con riguardo all'obbligazione risarcitoria, per i danni conseguenti a incidente stradale, del conducente, nonché del proprietario del veicolo e del datore di lavoro del conducente, ne deriva che questi ultimi due, solidalmente responsabili con il primo, a norma rispettivamente, degli articoli 2054, comma 3, e 2049 del Cc mentre non possono ripartire tra ciascuno di essi e il conducente-dipendente il cennato onere, e di conseguenza sono privi di regresso l'uno contro l'altro, possono esperire, nello stesso o in separato giudizio, azione di rivalsa contro il conducente-dipendente, autore del fatto dannoso, per l'intera somma pagata al terzo danneggiato”. Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 8 ottobre 2008, n. 24802, in Responsabilità Civile e Previdenza, Giuffre’, 2009, 3, pg. 571, con nota di D. Chindemi.

[3] Nel processo di cognizione la rivalsa del datore di lavoro si estrinseca nella sopra citata chiamata in garanzia a norma dell’art. 32 c.p.c. che si utilizza ogni qual volta un soggetto, in virtù di un’obbligazione di garanzia (legale o convenzionale) ha diritto di essere tenuto indenne dal soggetto passivo di tale obbligazione; sul punto RICCI G.F., Diritto processuale civile,I, Giappichelli, 2009.


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