Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26498 - pubb. 21/01/2022

Decorrenza del termine per il ricorso in cassazione quando il provvedimento che decide l'opposizione è pronunciato in udienza

Cassazione civile, sez. I, 09 Dicembre 2021, n. 39123. Pres. Cristiano. Est. Scotti.


Fallimento – Opposizione allo stato passivo – Ricorso per cassazione – Termine – Decorrenza



In tema di procedimento di opposizione allo stato passivo ai sensi della L. Fall., art. 99, nel caso, non espressamente previsto ma consentito dalla legge, in cui il collegio emetta il decreto in udienza in presenza delle parti il termine di cui alla L. Fall., art. 99, comma 12, per proporre ricorso per cassazione decorre dalla pronuncia in udienza solo se del decreto è stata data lettura integrale alle parti in udienza, attestata a verbale, mentre, in difetto di tale requisito, decorre dalla successiva comunicazione da parte della cancelleria. (Massima ufficiale) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



 


FATTI

1. Alliance Healthcare Italia Distribuzione s.p.a. (di seguito, semplicemente, AHID) propose domanda di insinuazione allo stato passivo del Fallimento della (*) s.a.s. e della socia accomandataria D.F.L. per la somma di Euro 1.206.939,65 in forza della ricognizione di debito contenuta in un accordo - quadro transattivo intercorso con la società poi fallita, e per la somma di Euro 302.213,30 per l'omesso pagamento di ulteriori forniture, successivamente eseguite in forza del contratto stipulato contestualmente a detto accordo per dar corso alla ripresa del rapporto.

Il Giudice delegato respinse integralmente la domanda.

Con decreto del 21.11.2018 il Tribunale di Napoli, in parziale accoglimento dell'opposizione proposta da AHID avverso il decreto di esecutività dello stato passivo, ha ammesso in via chirografaria il credito di Euro 295.651,62 per forniture successive all'accordo-quadro, mentre ha respinto la domanda di ammissione del credito documentato dall'accordo, escludendo che l'atto di ricognizione del debito in esso contenuto fosse opponibile al curatore.

AHID ha proposto ricorso per cassazione contro il predetto decreto.

2. Il Fallimento ha replicato con controricorso.

La causa è stata avviata alla trattazione camerale a seguito dell'eccezione di inammissibilità del ricorso, per tardività, sollevata dal controricorrente, il quale ha rilevato che il decreto impugnato è stato pronunciato all'udienza del 21.11.2018 quale parte integrante del processo verbale e pertanto doveva ritenersi da quel momento noto alle parti costituite, senza necessità della sua comunicazione ai sensi della L. Fall., art. 99, u.c., in concreto avvenuta il giorno successivo e cioè il 22.11.2018; pertanto, secondo il Fallimento, la notificazione del ricorso per cassazione avrebbe dovuto essere eseguita entro il venerdì 21.12.2018, mentre è stata effettuata solo il lunedì 24.12.2018.

L'impugnazione, ai sensi dell'art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, sarebbe invece tempestiva, come sostiene la ricorrente, se il termine avesse preso a decorrere solo dalla comunicazione del decreto, poiché il 22.12.2018 cadeva di sabato e il 23.12.2018 di domenica.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..

La sesta sezione con ordinanza interlocutoria del 16.2.2021 n. 4017 ha giudicato la soluzione della questione non manifesta e ha ritenuto l'opportunità di approfondire il significato che, nella disposizione speciale di cui alla L. Fall., art. 99, u.c. (secondo cui il decreto col quale il collegio decide sull'opposizione allo stato passivo "e' comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione"), sembra attribuibile alla comunicazione siccome avente (anche) un fine di notifica, in ossequio alla funzione acceleratoria del procedimento, nonché il nesso intercorrente col profilo che in alcune decisioni di legittimità associa, in termini più generali, la non necessità della comunicazione del provvedimento decisorio alla lettura del provvedimento medesimo in udienza.

Di conseguenza, è stata disposta la rimessione della causa in pubblica udienza.

La controricorrente ha depositato ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c..

Il Procuratore generale ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La prima questione da affrontare attiene alla tempestività del ricorso, contestata dal Fallimento controricorrente.

1.1. La L. Fall., art. 99, al comma 11, dispone che "Il collegio provvede in via definitiva sull'opposizione, impugnazione o revocazione con decreto motivato entro sessanta giorni dall'udienza o dalla scadenza del termine eventualmente assegnato per il deposito di memorie."

Il successivo comma 12 prevede che "Il decreto è comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione".

1.2. La ricorrente sostiene, in primo luogo, che la legge non prevede la possibilità che il tribunale decida l'opposizione con decreto pronunciato in udienza e proprio per questo fa decorrere il termine per impugnare il provvedimento per cassazione solo dalla data della sua comunicazione.

1.3. Effettivamente la L. Fall., art. 99, non considera espressamente che la decisione sull'opposizione possa essere assunta in udienza dal collegio e inserita nel processo verbale, ma neppure lo esclude per il solo fatto della previsione di un termine acceleratorio entro il quale la decisione deve essere adottata.

Ciò evidentemente consente l'esplicarsi dei principi generali di libertà delle forme e di idoneità degli atti al raggiungimento del loro scopo ex artt. 121 e 156 c.p.c., tanto più che l'eventualità della pronuncia in udienza della sentenza è contemplata dal codice di rito (art. 281 sexies c.p.c. e art. 429 c.p.c., comma 1) e che questa Corte ha già ritenuto che anche altri provvedimenti decisori, suscettibili di passare in giudicato, possano essere pronunciati in udienza (cfr. Cass. n. 14669/2021 e 14470/2018 in tema di ordinanza ex art. 702 quater c.p.c.).

1.4. Una volta ritenuta ammissibile la pronuncia in udienza del decreto L. Fall., ex art. 99, occorre stabilire se in tale ipotesi il termine per impugnare decorra dalla data dell'udienza stessa o sempre e comunque dalla data della sua comunicazione ad opera della cancelleria, come sostiene con altra linea argomentativa la ricorrente, sulla base della lettera della L. Fall., art. 99, comma 12.

Sempre alla stregua dei principi generali desumibili dal codice di rito, il collegio ritiene che detta comunicazione possa essere surrogata da un atto equipollente, capace cioè di produrre lo stesso effetto pratico e giuridico, ovvero di rendere edotta la parte interessata dell'avvenuta pronuncia del provvedimento decisorio, del contenuto del suo dispositivo e delle ragioni integrali della sua motivazione.

Tuttavia la valutazione di equipollenza deve essere ispirata ad un particolare rigore, per la sua incidenza sul diritto di difesa, che risulterebbe indubbiamente e ingiustificatamente compresso se il termine per impugnare si facesse decorrere da una data anteriore a quella in cui la parte soccombente ha effettivamente conosciuto le motivazioni e le statuizioni del provvedimento.

1.5. Va dunque escluso che in una fattispecie quale quella in esame possa trovare applicazione, secondo quanto sostiene il Fallimento controricorrente, l'art. 176 c.p.c., a norma del quale le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi (mentre solo quelle pronunciate fuori udienza devono essere comunicate a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi) perché tale disposizione, inserita fra quelle concernenti l'istruzione della causa e i poteri del giudice istruttore, riguarda all'evidenza le sole ordinanze interlocutorie assunte da detto giudice nel corso del processo.

1.6. Attesa la natura del decreto L. Fall., ex art. 99, di provvedimento decisorio su diritti, suscettibile di passare in giudicato (sia pure endofallimentare), i paradigmi normativi di riferimento vanno piuttosto individuati nei già citati art. 281 sexies c.p.c. e art. 429 c.p.c., comma 1, i quali prevedono che il giudice possa disporre l'udienza di discussione della causa e, a conclusione della stessa, pronunciare la sentenza dando lettura del suo dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di sentenza redatta a verbale o allegata allo stesso, il termine per impugnare decorre dalla data dell'udienza solo se della pronuncia sia data effettiva lettura nell'udienza stessa e se di tale lettura, concernente motivazione e dispositivo, sia dato atto nel medesimo verbale, immediatamente sottoscritto dal giudice; in difetto di tale adempimento, il cancelliere non è esonerato dall'osservanza del dovere di comunicazione e il termine decorre dalla data in cui questa è ricevuta dalla parte (cfr. Cass. n. 18743/2007, 11787/2020). Negli stessi termini, con riferimento all'ordinanza ex art. 702 quater c.p.c., emessa a verbale, cfr. Cass. n. 7866/2021.

1.7. Il Collegio, alla luce di quanto sopra ritiene di enunciare il seguente principio di diritto:

"In tema di procedimento di opposizione allo stato passivo ai sensi della L. Fall., art. 99, nel caso, non espressamente previsto ma consentito dalla legge, in cui il collegio emetta il decreto in udienza in presenza delle parti il termine di cui alla L. Fall., art. 99, comma 12, per proporre ricorso per cassazione decorre dalla pronuncia in udienza solo se del decreto è stata data lettura integrale alle parti in udienza, attestata a verbale, mentre, in difetto di tale requisito, decorre dalla successiva comunicazione da parte della cancelleria".

1.8. Nel caso di specie, come sottolineato con insistenza nelle difese della ricorrente, il verbale di udienza del 21.11.2018, in cui è inserito il testo del decreto, non dà atto dell'avvenuta lettura del provvedimento, anche se dal processo verbale risulta che esso è stato pronunciato in continuità con la discussione della causa.

1.9. Ne consegue che il termine di trenta giorni per impugnare il decreto decorreva dalla sua successiva comunicazione, come detto avvenuta il 22.11.2018, e che pertanto il ricorso è stato proposto tempestivamente.

2. Con l'unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, AHID deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 1988 c.c., in relazione alla L. Fall., art. 93 e all'art. 2697 c.c..

2.1. In sintesi, la ricorrente, dopo aver premesso che il Tribunale di Napoli aveva riconosciuto all'accordo quadro intercorso con la (*) in bonis il requisito della data certa ex art. 2704 c.c., perché prodotto in un giudizio civile introdotto dalla s.a.s. anteriormente alla dichiarazione di fallimento, contesta la correttezza della decisione assunta dal Tribunale laddove ha negato che la specifica e dettagliata ricognizione di debito ivi contenuta fosse opponibile al Fallimento e producesse l'effetto di inversione dell'onere probatorio previsto dall'art. 1988 c.c..

Secondo la ricorrente, essa, quale destinataria del riconoscimento di debito, era dispensata dalla prova del rapporto fondamentale, spettando al curatore del fallimento provare che il rapporto non era mai sorto o si era estinto.

2.2. Il motivo è fondato.

2.3. La tesi sostenuta dalla ricorrente ha trovato accoglimento in vari precedenti di questa Corte (Sez. 6 - 1, n. 26924 del 14.11.2017, Rv. 647200 - 01; Sez. 1, n. 9929 del 20.4.2018, Rv. 648891-01), ai quali il collegio presta adesione e intende dare continuità, ed è stata recentemente riaffermata da Sez. 6 - 1,n. 2431 del 4.2.2020, Rv. 656986 - 01 proprio in un giudizio, del tutto analogo al presente, di opposizione allo stato passivo del fallimento di altra farmacia del (*).

2.4. La ricognizione di debito ha effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determina la cosiddetta astrazione processuale della causa debendi, e produce la conseguenza che il destinatario è dispensato dall'onere di provare l'esistenza e la validità del predetto rapporto, così presunto fino a prova contraria; essa, però, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, presupponendo pur sempre l'esistenza e la validità del rapporto fondamentale, con la conseguenza che la sua efficacia vincolante viene meno qualora sia giudizialmente provato che tale rapporto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento relativo al rapporto fondamentale, che possa comunque incidere sull'obbligazione oggetto del riconoscimento (Sez. 1, n. 26334 del 20.12.2016, Rv. 642768 - 01; Sez. 1, n. 13506 del 13.6.2014, Rv. 631306 - 01; Sez. 3, n. 11332 del 15.5.2009, Rv. 608337 - 01).

Partendo da tali premesse, non v'e' alcuna ragione per ritenere che in caso di fallimento dell'autore della ricognizione l'effetto giuridico scaturente dal riconoscimento, purché ovviamente fornito di data certa, sia inopponibile al curatore fallimentare dalla medesima; al contrario, l'esistenza del rapporto fondamentale si deve presumere, salva la prova, di cui è onerato il curatore, dell'inesistenza o dell'invalidità dello stesso.

Nella specie, pertanto, a fronte della data certa dell'accordo quadro, nel caso riconosciuta dal Tribunale, spettava al curatore, terzo ai fini dell'opponibilità delle scritture sottoscritte dal fallito, ma successore ex lege del medesimo nella gestione di tutti i suoi pregressi rapporti obbligatori, dimostrare l'assenza o l'invalidità del rapporto fondamentale, in modo da superare la ridetta presunzione discendente dall'art. 1988 c.c..

A conforto dell'assunto va d'altro canto osservato che, in tema di assegni bancari, pacificamente equiparati dalla giurisprudenza ad una promessa di pagamento nei rapporti tra traente e prenditore (Sez. 1, n. 19929 del 29.9.2011, Rv. 619782 01), non si è mai dubitato che quest'ultimo possa ottenere l'ammissione al passivo fallimentare del credito di importo corrispondente a quello del titolo, in forza della presunzione di esistenza del rapporto sottostante, a norma dell'art. 1988 c.c., fino a quando il curatore non vinca tale presunzione fornendo la prova contraria (già a partire da Sez. 1, n. 5972 del 11.11.1981).

2.5. Vero è che, con la sentenza n. 10215 del 11.4.2019, Rv. 653694 - 01, si è affermato, per contro, che la ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento del suo autore non determina la presunzione dell'esistenza del rapporto fondamentale, trattandosi di documento liberamente apprezzabile dal giudice al pari di quanto avviene per la confessione stragiudiziale resa ad un terzo, qual è il curatore fallimentare.

2.5.1. Va tuttavia preliminarmente rilevato che nel caso esaminato da Cass. 10215/2019 cit. il riconoscimento di debito era contenuto in un atto pubblico unilaterale sottoscritto dalla società poi fallita, mentre nel caso qui in esame il riconoscimento dell'esposizione debitoria da parte della (*) ha una fonte di carattere bilaterale e contrattuale, costituita dall'accordo -quadro stipulato con AHID, con funzione in parte transattiva e in parte di accertamento, ai fini della ripresa delle forniture.

2.5.2. In ogni caso, il collegio dissente dal principio enunciato in via generale dalla citata sentenza.

Solo apparentemente suggestivo appare l'argomento principale su cui essa poggia, teso ad equiparare il riconoscimento di debito alla confessione stragiudiziale; per superarlo è sufficiente rilevare che il riconoscimento di debito ha natura negoziale, mentre le ragioni che militano a sostegno della giurisprudenza di questa Corte in tema di libera valutabilità della confessione stragiudiziale del fallito nel processo instaurato contro il curatore fallimentare sono di natura meramente processuale.

Illuminante al proposito è lo spunto che si può trarre dalla sentenza della Sez. 1 n. 24690 del 19.10.2017, ove si afferma "la natura di confessione stragiudiziale su tale fatto estintivo dell'obbligazione, secondo la previsione dell'art. 2735 c.c., può essere fatta valere solo nella controversia di cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti rispettivamente autore e destinatario di quella dichiarazione di scienza: dunque non nei confronti del curatore del fallimento, potendo in tal caso la quietanza, priva degli effetti propri della confessione, assumere soltanto il valore di documento probatorio dell'avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo".

2.6. Ritiene quindi la Corte di ribadire il principio di diritto secondo cui "La ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento del suo autore è opponibile alla massa dei creditori, in quanto deve presumersi l'esistenza del rapporto fondamentale, salva la prova - il cui onere grava sul curatore fallimentare - della sua inesistenza o invalidità".

3. In conclusione, rigettata l'eccezione di inammissibilità per tardività, il ricorso deve essere accolto e il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, che dovrà attenersi al principio di diritto sopra enunciato e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte;

accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2021.