Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21387 - pubb. 16/03/2019

Contratto di ‘swap’ con ‘up front’ stipulato dall’ente locale, natura giuridica, validità e limiti

Cassazione civile, sez. I, 10 Gennaio 2019, n. 493. Est. Falabella.


Contratto di "swap" con "up front" - Non sottoposto "rationae temporis" alla L. n. 133 del 2008 di conversione del D. L. n. 112 del 2008 - Stipulato dall'ente locale - Natura giuridica - Validità - Limiti - Competenza riservata al consiglio comunale - Configurabilità



Rimesse alle Sezioni Unite, le seguenti questioni in tema d’intermediazione finanziaria e regime giuridico dell’indebitamento degli enti locali:

- se lo swap, ed in particolare quello che richieda un upfront e non sia disciplinato ratione temporis dalla l. n. 133 del 2008 di conversione del d.l. n. 112 del 2008, costituisca per l’ente locale un’operazione che generi un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, a norma dell’art. 30, comma 15, l. n. 289 del 2002;

- se la stipula del relativo contratto rientri nella competenza riservata al Consiglio Comunale, implicando una delibera di spesa che impegni i bilanci per gli esercizi successivi, giusta l’art. 42, comma 2 lett. i) t.u.e.l.


 


1. - Il Tribunale di Bologna respingeva le domande, proposte dal Comune di Cattolica nei confronti di Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.: domande riferite ad alcuni contratti di interest rate swap conclusi fra le parti il 15 maggio 2003, il 1 dicembre 2003 e il 22 ottobre 2004, e rivolte alla declaratoria della nullità, all'annullamento, o all'accertamento dell'inefficacia sopravvenuta ex D.M. 1 dicembre 2003, n. 389, dei predetti contratti, oltre che alla condanna della convenuta alla restituzione dei pagamenti ex art. 2033 c.c. e, in subordine, al risarcimento del danno, quantificabile in relazione ai "differenziali negativi attesi".

2. - La Corte di appello di Bologna, accogliendo il gravame dell'ente ed in riforma di quella decisione, dichiarava la nullità e l'inefficacia dei contratti predetti, che pure annullava, e disponeva, poi, la ripetizione degli importi di tempo in tempo corrisposti dalla banca al Comune fino al 30 gennaio 2010 (Euro 555.738,76) e da quest'ultimo alla prima (Euro 1.031.393,17), "oltre ad eventuali reciproci pagamenti successivi intercorsi fra le parti per gli stessi titoli", con gli interessi legali dal giorno della domanda.

Per quanto di interesse in questa sede, ed in estrema sintesi, la Corte emiliana riteneva fondato il rilievo del Comune per il quale il contratto di swap ed in particolare - ma non solo - quello che prevede una clausola di iniziale upfront, costituisse, proprio per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l'ente pubblico, attuale o potenziale; aggiungeva che in nessuno dei contratti figurava la determinazione del valore attuale degli stessi al momento della stipulazione (cd. mark to market), che un'attenta e condivisibile giurisprudenza di merito riteneva "elemento essenziale dello stesso ed integrativo della sua causa tipica (un'alea razionale e quindi misurabile) da esplicitare necessariamente ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura (hedging) o speculativa"; osservava che la potenziale passività insita in ogni contratto di swap trova una sua evidenza concreta ed attuale nella clausola di upfront, in fatto presente in due dei tre rapporti oggetto di giudizio; per la Corte di merito, inoltre, il fatto che la norma che qualifica l'upfront come indebitamento fosse entrata in vigore successivamente ad uno o più dei contratti in questione non significava che gli stessi non potessero essere anche precedentemente interpretati in quel senso. La stessa Corte reputava poi insussistente "incompatibilità alcuna, nè astratta nè concreta, fra le norme civilistiche ed amministrative disciplinanti lo swap puro rispetto a quelle in ipotesi regolatrici di una enucleabile sottocategoria di swaps connotati da una specifica forma di indebitamento possibilmente individuabile nella clausola di upfront, con conseguente integrazione della relativa disciplina, se anche più restrittiva per la sottocategoria individuata". Riteneva poi fondato il rilievo del Comune per il quale, ex art. 42, comma 2, lett. i), T.U.E.L. (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con D.Lgs. n. 267 del 2000), le delibere di accensione degli swap dovessero essere assunte dal consiglio comunale, in quanto prevedevano spese che impegnano i bilanci per gli esercizi successivi; a tale ultimo proposito rilevava che la speciale delibera consiliare del 27 marzo 2003 prevedeva una mera "linea di indirizzo", successivamente posta in atto dalla giunta e dal dirigente quanto al primo contratto, e solo da determinazione dirigenziale per i successivi. La Corte riconosceva inoltre fondato il rilievo per il quale i contratti in questione violerebbero, oltre che l'art. 119 Cost., u.c., L. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15 e l'art. 202 T.U.E.L., in quanto non sarebbe risultato che l'indebitamento insito, implicito e prevedibile nei contratti in questione (esplicito quanto alle clausole di upfront) fosse stato contratto "per finanziare spese di investimento" (la documentazione prodotta dal Comune attestando, anzi, una diversa destinazione). Affermava, infine, che in nessuno dei tre contratti vi fosse un puntuale riferimento ai mutui sottostanti in relazione ai quali i negozi sarebbero stati stipulati, facendo discendere da ciò la mancata emersione della causa concreta delle singole operazioni, di cui non era quindi dimostrata l'esistenza; allo stesso modo, secondo la Corte di appello, non poteva dirsi che i contratti fossero muniti di un oggetto avente i requisiti di cui all'art. 1346 c.c.: con la conseguenza che i negozi in questione dovevano reputarsi tutti affetti da nullità. La pronuncia reca infine altre considerazioni pertinenti a motivi di impugnazione dichiarati assorbiti e quindi oggetto di argomentazioni svolte ad abundantiam.

3. - Contro la sentenza la banca ha proposto un ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resiste il Comune: quest'ultimo ha spiegato, a sua volta, un ricorso incidentale condizionato basato su di un motivo. Le parti hanno depositato memorie.

4. - I motivi di ricorso, principale e incidentale, sono rubricati come segue.

Primo motivo di ricorso principale: "Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e delle Finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3, L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, commi 16 e art. 17 e successive modifiche; della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 739, D.L. n. 112 del 2008, art. 62, convertito dalla L. n. 133 del 2008, a sua volta modificato dalla L. n. 203 del 2008, art. 3, nonchè dell'art. 11 preleggi", in relazione alla affermazione della sentenza impugnata secondo cui il contratto di swap, in specie se con previsione di una clausola iniziale di upfront, costituisce, per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l'ente pubblico, attuale o potenziale.

Secondo motivo di ricorso principale: "Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 42, 107, 192 e 202, L. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15, L. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e delle Finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3", incentrato sull'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui le delibere di accensione degli swap debbano essere adottate dal consiglio comunale in quanto vertenti su "spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi".

Terzo motivo di ricorso principale: "Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15, D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 202, L. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e delle Finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3", in rapporto all'assunto per cui l'upfront avrebbe dovuto essere esplicitamente destinato ab origine (sin dal 2003-2004) a spese di investimento. Si censura altresì, perchè secondo la ricorrente totalmente privo di base normativa positiva, il principio secondo cui occorresse indicare, negli atti amministrativi approvativi delle operazioni, una presunta destinazione a spese di investimento, atteso che, come diffusamente dedotto con il primo motivo, lo swap non ha una funzione di investimento, ma di riequilibrio del debito sottostante, con conseguente inapplicabilità della causa di nullità di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15.

Quarto motivo di ricorso principale: "Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e delle Finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3 e degli artt. 1346, 1367, 1418, 1419, 2729 e 2697 c.c.", in relazione alla necessità, ritenuta dalla decisione impugnata, di indicare specificamente i mutui sottostanti nei contratti di swap, a pena di nullità di questi ultimi per difetto di causa e di oggetto.

Quinto motivo di ricorso principale: "Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c, n. 3, artt. 1418, 1467 e 1469 c.c., nonchè al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1, comma 2, lett. d), art. 21 e art. 23, comma 5, L. n. 448 del 2001, art. 41, D.M. Economia e delle Finanze 1 dicembre 2003, n. 389, art. 3"; la censura investe l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui la previsione esplicita del valore attuale dei derivati al momento della stipulazione costituirebbe elemento essenziale dell'interest rate swap, previsto a pena di nullità.

Il motivo di ricorso incidentale condizionato del Comune, infine, prospetta: "Violazione e falsa applicazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3 e dell'art. 30, commi 6 e 7 T.U.F. con riferimento alla dichiarata non applicazione della disciplina dello jus poenitendi di cui alla norma richiamata alla fattispecie decisa in quanto applicabile al solo consumatore sprovveduto colto di sorpresa dall'intermediario" ed investe un aspetto della vicenda che la Corte di appello ha espressamente qualificato assorbito.

5. - I primi tre motivi del ricorso principale possono esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione.

6. - La Corte di appello, come accennato, si è domandata se il contratto di swap determinasse una forma di indebitamento per l'odierno controricorrente e ha pure verificato se la particolare natura delle operazioni poste in atto implicasse che il procedimento di formazione della volontà dell'ente esigesse una specifica delibera del consiglio comunale. Sotto il primo aspetto ha ritenuto che i contratti oggetto di causa fossero nulli, a norma della L. n. 282 del 2002, art. 30, comma 15, giacchè essi generavano un indebitamento che non appariva essere stato assunto per finanziare spese di investimento; avendo riguardo al secondo profilo di indagine, il giudice distrettuale ha rilevato l'assenza di un pertinente atto deliberativo del consiglio comunale e ha conferito valore dirimente alla previsione dell'art. 42, comma 2, lett. i), T.U.E.L., osservando come i contratti conclusi generassero spese che impegnavano i bilanci per gli esercizi successivi (tanto più in considerazione del fatto che due di essi erano connotate da clausole di upfront): ne ha desunto l'inefficacia o annullabilità dei negozi per vizio del consenso o per incapacità a contrattare.

7. - Con il contratto di interest rate swap le parti si accordano per scambiarsi pagamenti periodici di interessi calcolati su una stessa somma di denaro (c.d. nozionale) per un periodo di tempo predefinito. Il contratto prevede normalmente un upfront, somma da corrispondersi da una parte in favore dell'altra, allorquando il valore dello strumento finanziario (mark to market) non è nullo (par). A tale riguardo, mette conto di ricordare che secondo il par. 4 dell'allegato 3 al reg. Consob n. 11522/1998, al momento della stipula del contratto, "il valore di uno swap è sempre nullo" e che, come è stato precisato dal direttore generale della Consob in sede di audizione presso la VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati il 30 ottobre 2007, i contratti non par - che al momento della stipula un valore di mercato negativo per una delle due parti, poichè uno dei due flussi di pagamento non riflette il livello dei tassi di mercato - vengono riequilibrati, sul piano finanziario, proprio attraverso il pagamento di una somma di denaro alla parte che accetta condizioni più penalizzanti: appunto l'upfront.

Nella fattispecie, i due contratti conclusi nel 2003, a differenza del terzo, perfezionato nel 2004, contemplavano clausole di upfront (rispettivamente per Euro 315.000,00 e per Euro 655.000,00).

8. - Diverse sono le norme che assumono rilievo, nel quadro delle cesure svolte.

L'art. 119 Cost., comma 6, prevede che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni possano ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento.

Sulla stessa linea, dispone l'art. 202 T.U.E.L. che il ricorso all'indebitamento da parte degli enti locali sia ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle leggi vigenti in materia e per la realizzazione degli investimenti.

La L. n. 448 del 2001, art. 41, comma 1, ha previsto, al riguardo, che con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze fossero approvate le norme relative all'ammortamento del debito e all'utilizzo degli strumenti derivati da parte dei nominati enti; il comma 2 dello stesso articolo contemplava inoltre la facoltà, da parte dei medesimi enti, di emettere titoli obbligazionari o contrarre mutui "previa costituzione, al momento dell'emissione o dell'accensione, di un fondo di ammortamento del debito, o previa conclusione di swap per l'ammortamento del debito".

La L. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15, ha comminato, poi, la nullità degli atti e dei contratti con cui gli enti territoriali ricorrono all'indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell'art. 119 Cost..

Il D.M. n. 389 del 2003, emanato in attuazione della L. n. 448 del 2001, cit. art. 41, disponeva espressamente, all'art. 3, comma 1, che gli enti locali potessero concludere operazioni derivate consistenti in swap di tasso di interesse e consentiva, in termini più generali, operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito, qualora esse non prevedessero una scadenza posteriore a quella associata alla sottostante passività e ove i flussi con esse ricevuti dagli enti interessati fossero uguali a quelli pagati nella sottostante passività e non implicassero, al momento del loro perfezionamento, un profilo crescente dei valori attuali dei singoli flussi di pagamento, "ad eccezione di un eventuale sconto o premio da regolare al momento del perfezionamento delle operazioni non superiore a 1% del nozionale della sottostante passività".

Quest'ultima disposizione (peraltro non applicabile ratione temporis ai due contratti con previsione di upfront conclusi tra le parti in causa) è stata successivamente superata con le modifiche apportate alla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 17, L. n. 133 del 2008 (con cui è stato convertito il D.L. n. 112 del 2008): per effetto di tale intervento legislativo è stato infatti previsto, per la prima volta, che costituisca indebitamento, ai sensi dell'art. 119 Cost., comma 6, "sulla base dei criteri definiti in sede Europea dall'Ufficio statistico delle Comunità Europee (EUROSTAT), l'eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate". Il detto approdo è rimarcato nelle successiva versione dell'art. 3, comma 17 cit., come risultante dal D.Lgs. n. 118 del 2011, art. 75, comma 1, lett. a), secondo cui integra indebitamento "l'eventuale somma incassata al momento del perfezionamento delle operazioni derivate di swap (cosiddetto upfront)".

E' da osservare, poi, che in forza della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 572, è venuta meno, in via generale (e salve eccezioni specificamente previste) la possibilità, da parte degli enti locali, di stipulare i contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti dall'art. 1, comma 3, del T.U.F. (D.Lgs. n. 58 del 1998).

Avendo riguardo alle competenze in materia di spesa nell'ambito del Comune, va richiamato infine l'art. 42 T.U.E.L. che, al comma 2, lett. i), assegna al consiglio comunale il compito di deliberare in ordine alle spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, escluse quelle relative alle locazioni di immobili ed alla somministrazione e fornitura di beni e servizi a carattere continuativo.

9. - Il ricorso, nei primi tre motivi, pone due questioni, strettamente connesse, che sono cruciali per vagliare la validità dei contratti di swap conclusi dai Comuni: quella relativa alla possibilità di qualificare l'assunzione dell'impegno dell'ente locale che stipuli il contratto avente ad oggetto il nominato derivato come indebitamento finalizzato a finanziare spese diverse dall'investimento; quella concernente l'individuazione dell'organo chiamato a deliberare un'operazione siffatta (che nel caso in esame è stata disciplinata dal consiglio comunale attraverso delle mere "linee di indirizzo").

10. - Con riguardo al primo dei temi indicati ci si deve chiedere se, nel periodo che interessa, fosse consentita la conclusione di contratti derivati da parte degli enti locali.

In termini generali, non sembra possibile prescindere dalla natura aleatoria del contratto di swap e dalla potenziale sua idoneità a generare una passività: ciò anche alla luce del principio per cui le nozioni di indebitamento e di investimento non possono considerarsi "nozioni il cui contenuto possa determinarsi a priori, in modo assolutamente univoco, sulla base della sola disposizione costituzionale" (così Corte cost. 29 dicembre 2004, n. 425), ma tenendo comunque conto che "la ratio del divieto di indebitamento per finalità diverse dagli investimenti trova fondamento in una nozione economica di relativa semplicità", e cioè nel rilievo per cui "destinazioni diverse dall'investimento finiscono inevitabilmente per depauperare il patrimonio dell'ente pubblico che ricorre al credito" (Corte cost. 2 luglio 2014, n. 188). E va pure rimarcato, in proposito, che lo stesso giudice delle leggi, occupandosi dell'accesso alla finanza da parte degli enti locali, ha osservato come "i derivati finanziari scontino un evidente rischio di mercato, non preventivamente calcolabile, ed espongano gli enti pubblici ad accollarsi oneri impropri e non prevedibili all'atto della stipulazione del contratto, utilizzando per l'operazione di investimento un contratto con caratteristiche fortemente aleatorie per le finanze dell'ente" (Corte cost. 18 febbraio 2010, n. 52).

La questione si presta a una particolare declinazione ove si abbia riguardo al dato, valorizzato dalla Corte di merito, del versamento, in occasione della stipula dei primi due contratti, dell'upfront.

Deve anzitutto osservarsi che dell'upfront questa Corte si è di recente interessata, ma solo marginalmente, nella pronuncia n. 18781 del 28 luglio 2017, in cui è stato precisato che il contratto di interest risk swap con upfront non sia per sè nullo per difetto o illeicità della causa, occorrendo verificare caso per caso il concreto assetto dei rapporti negoziali predisposto dalle parti. In detta pronuncia, peraltro, sembra non dubitarsi che la somma in questione costituisca l'oggetto di un effettivo finanziamento iniziale da restituire (anche se, si ripete, il tema non è ivi specificamente affrontato).

La sentenza della Corte di appello impugnata in questa sede ha qualificato l'upfront un indebitamento ("esplicito"), come tale vietato sia dall'art. 119 Cost., comma 6, sia dall'art. 202 T.U.E.L., sia infine dalla L. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15 (norma, quest'ultima, vigente al momento della conclusione dei primi due contratti; non lo era, invece, come già evidenziato, il D.M. n. 389 del 2003, che espressamente lo ammetteva, definendolo erogazione di uno "sconto o premio da regolare al momento del perfezionamento delle operazioni" finalizzate alla ristrutturazione del debito).

Ora, è ben vero che il legislatore ha definito per la prima volta l'upfront come indebitamento con il D.L. n. 112 del 2008, art. 62, comma 9, che ha novellato la L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 17. Ciò tuttavia non implica che le somme versate a quel titolo in epoca precedente all'entrata in vigore della nuova disciplina sia da considerare sicuramente, e per ciò solo, legittimo.

Come si è in precedenza accennato, l'upfront viene corrisposto per pareggiare il mark to market di un derivato non par al momento della stipula. Si è opinato, però, sia in dottrina che in giurisprudenza, che la somma erogata dalla banca al cliente - che può trovare diversi fondamenti giustificativi sul piano pratico (riduzione del rischio verso la controparte che paga l'upfront, esigenze di liquidità, semplice incentivo del cliente alla stipula di un contratto di contenuto aleatorio) - sia suscettibile di assolvere a una funzione creditizia (generando un obbligo restitutorio che si attuerà con i pagamenti che il percettore dell'upfront dovrà porre in atto, al netto di quelli che dovrà ricevere). Seguendo tale impostazione, dunque, potrebbe ritenersi che la conclusione di swap con upfront consenta certamente all'ente locale di acquisire una disponibilità di cassa immediata, evidentemente utile per la gestione delle spese correnti o per il ripianamento di precedenti esposizioni debitorie (come è accaduto nel caso della seconda operazione oggetto di causa, in cui l'erogazione è stata quasi integralmente impiegata per sovvenire alle perdite prodottesi in precedenza), ma genererebbe, al contempo, un indebitamento (seppure potenziale, tenuto conto che il contratto è pur sempre aleatorio e la previsione dei flussi potrebbe rivelarsi errata in favore del cliente).

In tal senso, può ricordarsi quanto evidenziato dalla Corte dei conti nella propria Relazione sull'andamento generale della gestione finanziaria degli enti locali negli esercizi 2003 e 2004, in cui si sottolineava come con il versamento dell'upfront fosse realizzata una "operazione analoga alla contrazione di un mutuo, laddove la sua concessione comporta un tasso o uno spread che attualizza il premio corrisposto in via anticipata dalla banca al cliente".

Sul punto, tuttavia, avendo riguardo ai contratti conclusi dagli enti locali, si registrano responsi non univoci da parte della Corte suddetta: così Corte conti Sez. reg. giur. Sicilia n. 2376 del 2006 ha escluso che la percezione dell'upfront da parte dell'ente pubblico integri indebitamento (osservando, sul punto, come, in linea di principio, col contratto di swap si provveda alla sostituzione di un tasso variabile a un tasso fisso), mentre ciò è stato espressamente riconosciuto da altre pronunce rese in sede di controllo (in tal senso, ad esempio, Corte conti Sez. reg. contr. Lombardia n. 596 del 2007).

11. - Con riferimento alla seconda questione, correlata a quella appena trattata (e attinente alla contestata validità dei contratti conclusi, siccome preceduti da una delibera del consiglio comunale che conteneva una mera linea di indirizzo), è poi da chiedersi se la conclusione di contratti swap (specie se prevedano un upfront: quindi una somma suscettibile di rimborso nel corso del rapporto) possa essere sottratta alla competenza che a quell'organo è riservata in caso di "spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi", a norma dell'art. 42, comma 2, lett. i), T.U.E.L..

Significative, sono, al riguardo, le considerazioni svolte dalla Corte dei conti, in sede di controllo: "Invero, il rischio finanziario, derivante dalla gestione attiva del debito connessa alla sottoscrizione del contratto di swap, espone l'Amministrazione a possibili perdite finanziarie future che solo l'Organo consiliare del Comune può, consapevolmente, autorizzare, in quanto organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo deputato, ai sensi dell'art. 42 del T.U.E.L., ad approvare gli atti di spesa che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi. Sotto questo profilo, la delibera del Consiglio comunale non può limitarsi ad autorizzare l'operazione in modo generico, ma deve indicare, analiticamente, gli indirizzi operativi che devono condurre alla conclusione dell'operazione nonchè i vincoli finanziari che l'Ente intende assumere (es. tassi, durata, obblighi, etc.)" (Corte conti Sez. reg. contr. Lombardia, n. 405/2010).

A tale indirizzo, che può intestarsi ad altre pronunce delle sezioni di controllo della Corte dei conti (ad es.: Corte conti Sez. reg. contr. Umbria n. 41 del 2008) si contrappone, però, una recente pronuncia del Consiglio di Stato con cui è stato escluso che ai contratti di swap si correli la fattispecie delle spese pluriennali prevista dell'art. 42, comma 2, lett. i) T.U.E.L.. Dopo aver premesso che la competenza consiliare sui medesimi atti è una conseguenza della collocazione del medesimo organo al vertice del ciclo di programmazione economica e finanziaria dell'ente, in virtù della quale ad esso è attribuito il potere decisionale sui "bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni" ex art. 42, comma 2, lett. b), T.U.E.L., il Consiglio di Stato ha osservato che gli swap si collocano al di fuori di questo schema. Infatti - è precisato - "la loro funzione consiste (rectius: una delle loro funzioni può consistere) nella riduzione degli oneri finanziari legati all'indebitamento già contratto e dunque alla diminuzione dei rischio ad essi legato". Viene aggiunto: "Gli swap possono dunque rivestire la finalità di ristrutturare il debito, ed in particolare quello avente un orizzonte pluriennale, allineandone le condizioni economiche ai tassi di mercato esistenti, così da ottenere risparmi di spesa e, in particolare per gli enti locali, liberare risorse a carico del bilancio già impegnate. Da questa notazione si evince che le ragioni che conducono alla stipula di questi contratti è addirittura antitetica a quella che presiede all'attribuzione al consiglio comunale della competenza sulle spese pluriennali ai sensi dell'art. 42, comma 2, lett. i) T.U.E.L., su cui si fonda l'annullamento d'ufficio". Ne discenderebbe che la conclusione di swap non possa essere considerata un atto di assunzione di una spesa pluriennale, dovendosi piuttosto qualificare come "atto di gestione dell'indebitamento dell'ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, legittimamente adottabile dalla giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria del Testo Unico di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 48, comma 2" (Cons. Stato 30 giugno 2017, n. 3174).

Quest'ultimo punto è innegabilmente decisivo, ma forse suscettibile di ulteriore approfondimento, giacchè se si connette la stipula che riguarda il derivato alla precedente assunzione del mutuo si rischia di trascurare che la nuova negoziazione possa essere fonte di un indebitamento ulteriore (così come lo sarebbe, in ipotesi, la rimodulazione del preesistente mutuo attraverso un nuovo contratto di finanziamento che preveda condizioni deteriori rispetto a quelle contratte inizialmente).

12. - Reputa il Collegio che le indicate questioni possano assurgere a questioni di massima di particolare importanza, a mente dell'art. 374 c.p.c., comma 2: oltre a rivestire grande rilievo, sul piano pratico, per le concrete ricadute che le soluzioni da adottare potranno avere nel quadro del contenzioso tra gli intermediari e gli enti locali in tema di derivati (contenzioso vertente, spesso, su flussi monetari di notevole consistenza), esse ineriscono a temi su cui la Corte dei conti, nelle diverse articolazioni, amministrativa e giurisdizionale, e il Consiglio di Stato hanno fornito responsi contrastanti. Il rilievo delle questioni giuridiche da trattare discende, quindi, dal quadro di grave incertezza che è consegnato dai diversi organi che se ne sono occupati in sede di amministrazione di controllo, di accertamento giurisdizionale della responsabilità contabile e di vaglio giudiziario della legittimità dell'esercizio del potere di autotutela dell'ente locale. Il Collegio, pur essendo ovviamente consapevole che nella controversia portata al suo esame rilevano posizioni di diritto soggettivo, non implicate negli accertamenti compiuti dalla Corte dei conti e dal Consiglio di Stato, crede vada valorizzata l'esigenza di evitare, per il futuro, che le pronunce assunte dalla prima sezione della Corte di legittimità marchino oscillazioni su di un tema, di fondamentale rilievo per gli interessi degli enti locali e degli intermediari bancari e finanziari, che è già segnato dai richiamati dissensi.

13. - Si ritiene dunque opportuno rimettere la causa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2, delle questioni che si sono fin qui trattate; e cioè: se lo swap, in particolare quello che preveda un upfront - e non sia disciplinato ratione temporis dalla L. n. 133 del 2008, di conversione del D.L. n. 112 del 2008 -, costituisca per l'ente locale un'operazione che generi un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, a norma della L. n. 289 del 2002, art. 30, comma 15; se la stipula del relativo contratto rientri nella competenza riservata al Consiglio comunale implicando una delibera di spesa che impegni i bilanci per gli esercizi successivi, giusta l'art. 42, comma 2, lett. i), T.U.E.L..

 

P.Q.M.

La Corte:

rimette la causa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, con riguardo alle questioni di cui in motivazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2019.