Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19919 - pubb. 09/06/2018

Il danno morale per l’acquisto di junk bond deve essere provato

Cassazione civile, sez. I, 11 Aprile 2018, n. 9004. Est. Laura Tricomi.


Contratti finanziari – Vendita di titoli-spazzatura in assenza di adeguata informazione – Risoluzione per inadempimento – Responsabilità della banca – Danno morale – Onere della prova – Sussiste



L’art. 2059 c.c. opera esclusivamente sul piano della limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge, lasciando integri gli elementi della fattispecie costitutiva dell’illecito ex art.2043 c.c. Ne consegue che può affermarsi che il danno non patrimoniale costituendo anch’esso pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni, non potendo mai considerarsi in re ipsa.

[Nella fattispecie, la Corte ha rigettato la richiesta di condanna dell’istituto di credito al risarcimento del danno morale per avere indotto una cliente all’acquisto di titoli-spazzatura.] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria - Presidente -

Dott. VALITUTTI Antonio - Consigliere -

Dott. MARULLI Marco - Consigliere -

Dott. TRICOMI Laura - rel. Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Genova, con la sentenza n. 167/2014 depositata il 06.02.2014 e non notificata, ha accolto l'impugnazione proposta da F.S. contro la decisione di primo grado - che aveva respinto la domanda proposta contro Banca Carige SPA - ed ha dichiarato la risoluzione del contratto di acquisto di obbligazioni Parmalat stipulato nel luglio del 2001, per un valore di Euro 4.000=, per grave inadempimento della banca agli obblighi di informazione, con condanna di quest'ultima alla restituzione della somma corrisposta, oltre interessi legali a decorrere dalla data della domanda (13 ottobre 2004).

In particolare il giudice di appello ha ritenuto fondata la domanda, ravvisando la omessa prestazione alla cliente delle informative specifiche in ordine alla natura speculativa dei titoli oggetto dell'acquisto - a prescindere, dall'epoca di stipula del contratto, nella specie anteriore di circa tre anni al crollo del gruppo Parmalat, verificatosi improvvisamente nel dicembre del 2003 - ed in ordine all'adeguatezza dell'investimento, ritenuto non adatto al profilo di investitore della F., pensionata priva di competenza in materia di investimenti finanziari ed interessata forme di investimento "sicure".

F.S. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi; la Banca Carige SPA replica con controricorso e ricorso incidentale notificato il 31.10/05.11.2014, fondato su quattro motivi congiuntamente esposti e corredato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Il ricorso, fissato dinanzi all'adunanza camerale della sesta sezione civile, è stato rimesso alla prima sezione civile per la trattazione in pubblica udienza con ordinanza depositata il 21/10/2015.

 

Motivi della decisione

1. Preliminarmente il controricorso con ricorso incidentale va dichiarato inammissibile perchè notificato una prima volta a mezzo Ufficiale giudiziario mediante invio di raccomanda A.R. il 31.10.2014 e, una seconda volta, a mezzo pec il 05.11.2014, e cioè in date sempre collocate oltre il termine previsto ex art. 370 c.p.c., posto che il ricorso risulta essere stato notificato il 21.07.2014, e ciò anche tenuto conto della sospensione feriale dei termini.

2.1. Con i primi due motivi la ricorrente si duole del mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria sotto il profilo dell'omessa pronuncia in relazione all'art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e della violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 1277 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sostenendo che l'obbligo di restituzione del prezzo pagato costituisce debito di valore, data la funzione risarcitoria della restituzione.

2.2. Con il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1453 e 2059 c.c., nonchè la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell'art. 116 c.p.c., per errore nella valutazione della prova in ordine al danno subito dalla ricorrente (art. 360, comma 1, n. 4), sostenendo che ai fini della condanna al risarcimento del danno era sufficiente l'esistenza potenziale del danno giacchè lo scioglimento del rapporto era stato di per sè un evento potenzialmente generatore di danno morale, avendo turbato le aspettative economiche della parte adempiente rimaste frustrate tanto che, nel caso di specie, la prova del danno doveva ritenersi in re ipsa.

3.1. I motivi del ricorso principale sono infondati.

3.2. Quanto al primo ed al secondo motivo va osservato che la Corte di appello ha implicitamente, ma inequivocabilmente affermato la natura di valuta dell'obbligazione restitutoria, riconoscendo i soli interessi legali in piena sintonia con la condivisa giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale "La risoluzione del contratto per inadempimento a seguito della pronuncia costitutiva del giudice priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti. Ne consegue che l'obbligo restitutorio relativo all'originaria prestazione pecuniaria, anche in favore della parte non inadempiente, ha natura di debito di valuta, come tale non soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno - da provarsi dal creditore rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali, ai sensi dell'art. 1224 c.c." (Cass. civ., Sez. 3, 12/03/2014, n. 5639; cfr. Cass. civ., Sez. 2, 07/06/2006, n. 13339), ferma la premessa che "il creditore di una obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l'onere di domandare il risarcimento del "maggior danno" ai sensi dell'art. 1224 c.c., comma 2, e non può limitarsi a domandare semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest'ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta" (Cass. civ., Sez. U. 29/12/2016, n. 27454; Sez. U. 23/03/2015, n. 5743).

Pertanto non ricorre una omessa pronuncia sulla rivalutazione, e la Corte territoriale nell'escluderla implicitamente si è attenuta ai su richiamati principi ed ha anche motivato, sia pure sinteticamente, sul difetto di prova di danni ulteriori rispetto alla perdita del capitale investito ed ai relativi interessi legali.

3.3. Anche il terzo motivo è infondato, posto che l'art. 2059 c.c., opera esclusivamente sul piano della limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale "ai soli casi previsti dalla legge", lasciando integri gli elementi della fattispecie costitutiva dell'illecito ex art. 2043 c.c., quali: la condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi tutelati dall'ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso. Ne consegue che può affermarsi che il "danno non patrimoniale", costituendo anch'esso pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni, non potendo mai considerarsi in re ipsa (Cass. civ., Sez. 3^, 06/07/2017, n. 16659, Cass. Civ., Sez. 6^, 24/09/2013, n. 21865).

4. In conclusione, il ricorso principale va rigettato ed il controricorso ed il ricorso incidentale, confluiti in un unico atto, vanno dichiarati inammissibili.

In ragione della reciproca soccombenza le spese del giudizio di legittimità vanno compensate.

Si dà atto, - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

 

P.Q.M.

- Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il controricorso ed il ricorso incidentale;

- Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti;

- Dà atto, - ai sensi il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2018.