Persone e Misure di Protezione


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 1823 - pubb. 23/09/2009

Interdetto e danno da eccessiva durata del processo

Cassazione civile, sez. I, 06 Maggio 2009, n. 10412. Est. Salvato.


Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – Processo equo – Termine ragionevole – In genere – Interdetto parte del processo – Danno non patrimoniale – Diritto all'indennizzo – Sussistenza – Fondamento.



In tema di equa riparazione, ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno non patrimoniale è una conseguenza che, secondo l'"id quod plerumque accidit", si accompagna alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, e il risarcimento di tale pregiudizio spetta pure all'interdetto che di esso sia stato parte, perché, a prescindere da ogni riferimento al dolore emozionale, il danno "de quo", nella specie, è destinato in ogni caso a rilevare, e ad essere pertanto risarcito, nella sua componente oggettiva, di offesa per la lesione del diritto ad un procedimento giurisdizionale che si svolga nei tempi ragionevoli, prescritti dalla Costituzione e dalla CEDU, a causa della conseguente perdita dei vantaggi personali conseguibili da una sollecita risposta del servizio giustizia. (fonte CED – Corte di Cassazione)


 


omissis

RITENUTO IN FATTO

che la Corte d'appello di Roma - adita da B. C., nella qualità di tutore di B. A., al fine di conseguire l'equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo civile di danno da ritardata corresponsione dei benefici dovuti agli invalidi civili, promosso nel febbraio 1994, definito in primo grado nel gennaio 1996 ma ancora pendente in appello dinanzi al Giudice del lavoro di Napoli - con decreto del 27 gennaio 2005 ha rigettato la domanda, compensando tra le parti le spese del giudizio;

che la Corte d'appello ha rilevato che nessuna specifica forma di sofferenza psichica e morale aveva patito B. C. e che, semmai, l'esposta sofferenza andava ricondotta a B. A., la quale tuttavia, per la incapacità di cui era affetta, non era nelle condizioni di subire, in assenza di contraria prova in merito, le penosità derivanti dalla non ragionevole durata del processo;

che per la cassazione di tale decreto B. C., nella suesposta qualità, ha proposto ricorso, con atto notificato il 23 gennaio 2006, articolando quattro motivi di censura;

che l'intimato Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che manifestamente fondati sono i primi due motivi del ricorso, con cui si censura che la Corte d'appello abbia escluso la risarcibilità del danno non patrimoniale da violazione della ragionevole durata del processo;

che, difatti, per un verso, non conferente si appalesa l'affermazione, contenuta nel decreto impugnato, secondo cui "non è dato rinvenire in B. C. nessuna specifica forma di sofferenza psichica e morale (patema d'animo, ansia)", giacché, avendo costui dichiarato di agire in qualità di tutore dell'interdetta B. A. (per la cura ed il soddisfacimento, quindi, di interessi non propri, ma del soggetto rappresentato, che era stato parte del processo presupposto), era sull'incapace, e non sul rappresentante legale, che l'adita Corte d'appello avrebbe dovuto evidentemente valutare le conseguenze negative derivanti dal ritardo del processo;

che, d'altra parte, affetta da errore in diritto si presenta l'ulteriore argomentazione, alla base della statuizione di rigetto, secondo cui l'interdetta B. A., per l'incapacità di cui è affetta, non sarebbe nelle condizioni di subire dolori o privazioni derivanti dal ritardo;

che, sotto quest'ultimo profilo, va invece affermato che in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il danno non patrimoniale è una conseguenza che, secondo l'id quod plerumque accidit, si accompagna alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ed il risarcimento di tale pregiudizio spetta pure all'interdetto che di esso sia stato parte, perché, a prescindere da ogni riferimento al dolore emozionale, il danno de quo è destinato in ogni caso nella specie a rilevare, e ad essere pertanto risarcito, nella sua componente, oggettiva, di offesa per la lesione del diritto ad un procedimento giurisdizionale che si svolga nei tempi normali prescritti dalla Costituzione (art. 111) e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 6, par. 1) e per la conseguente perdita dei vantaggi non patrimoniali conseguibili da una sollecita risposta del servizio giustizia (cfr. Cass., Sez. 1^, 6 settembre 2007, n. 18719);

che resta assorbito l'esame degli altri motivi, con cui si censura:

(a) la violazione e falsa applicazione di legge, sotto il profilo del rapporto tra normativa nazionale e sovranazionale; (b) la mancata liquidazione del danno non patrimoniale secondo gli standard desumibili dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo;

che, pertanto, cassato il decreto in relazione alla censura accolta, la causa deve essere rinviata alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione;

che il giudice del rinvio, accertato il periodo di durata irragionevole del processo presupposto, deciderà la causa facendo applicazione del principio di diritto sopra indicato e provveder anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 febbraio 2009.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2009


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