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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 708 - pubb. 01/01/2007.

Diritto di difesa del debitore e trasferimento della sede dell'impresa


Appello di Brescia, 11 Giugno 2003. .

Opposizione a dichiarazione di fallimento - Termine breve per l'impugnazione - Decorrenza - Formale notifica al debitore - Necessità.

Istanza di fallimento - Diritto di difesa del debitore a fronte di altre istanze successivamente presentate da altri creditori - Rinnovo della convocazione per ciascuna nuova istanza - Esclusione.

Trasferimento della sede legale nell'imminenza della presentazione delle istanze di fallimento - Mancato trasferimento del centro propulsore dell'azienda - Prosecuzione dell'effettivo esercizio dell'attività nella vecchia sede - Incompetenza del tribunale fallimentare - Insussistenza.

Prevalenza di attività commerciale rispetto a quella agricola - Fallibilità.


 

 

omissis 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Mantova con sentenza 28 gennaio — 4 febbraio 1999 dichiarava il fallimento della società SAL.CO S.r.l.. Con atto di citazione notificato il 16 marzo 1999 detta società citava a comparire davanti a quel Tribunale il Fallimento, in persona del curatore, nonché il creditore istante SIPRA S.P.A. proponendo opposizione alla sentenza predetta. Premesso che quest'ultima mai le era stata formalmente comunicata, la società opponente eccepiva che essa, operante nel settore dell'allevamento come ritenuto nella stessa sentenza dichiarativa di fallimento, non avrebbe potuto essere dichiarata fallita in quanto esercente un'impresa agricola. In secondo luogo negava di versare in stato di insolvenza atteso che essa poteva contare su consistenti attività e sul credito delle banche e che due dei tre creditori che avevano presentato istanza erano stati transattivamente tacitati. Inoltre, evidenziato che la sede della società era stata spostata da Gonzaga a Serra San Bruno, eccepiva anche l'incompetenza del Tribunale di Mantova a decidere sulle istanze di fallimento per essere competente il Tribunale di Vibo Valentia negando in particolare che detto trasferimento fosse stato meramente fittizio o strumentale. Evidenziava ancora, sul piano processuale, di non essere stata oggetto di convocazione dopo il deposito dell'istanza di fallimento da parte di SIPRA, avvenuto dopo che a tale creditore era stata versata la somma di L. 52 milioni in virtù di transazione e dopo che altre due istanze di fallimento erano state oggetto di desistenza. Concludeva l'opponente perché preliminarmente venisse dichiarata l'incompetenza per territorio del Tribunale che aveva dichiarato il fallimento; perché in subordine fosse dichiarata la nullità del procedimento sfociato nella sentenza opposta per omessa audizione del debitore e perché, comunque, il fallimento fosse revocato per insussistenza dei requisiti richiesti per la relativa dichiarazione.

Si costituivano i convenuti che, pur costituiti con separate difese, replicavano entrambi che il trasferimento della società a Serra San Bruno era ininfluente sulla competenza del Tribunale di Mantova a dichiarare il fallimento in quanto posteriore o di poco anteriore alla presentazione delle domande di fallimento; che la fallita aveva comunque intrapreso attività commerciali e industriali ricomprese nel suo oggetto sociale; che lo stato di insolvenza di SAL.CO era dimostrato dalla pendenza di numerose procedure esecutive pendenti a suo carico.

Nel così costituito contraddittorio, la causa era decisa con sentenza in data 30 novembre 2000 (depositata il successivo 9 febbraio 2001). Il Tribunale, premesso di avere attinto elementi di conoscenza dal fascicolo fallimentare com'era in suo potere attesi i profili officiosi caratterizzanti la procedura di opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento, così riteneva in relazione ai diversi motivi esposti dall'opponente. Il trasferimento della società nel circondario del Tribunale calabrese era ininfluente ai fini della competenza sia perché avvenuto allorché le prime istanze di fallimento già erano state presentate sia perché non aveva comportato (come risultava anche da informazioni assunte a mezzo della polizia giudiziaria) lo spostamento della sede operativa della società stessa rimasta invero in Bondeno di Gonzaga. Nessuna violazione vi era stata del diritto di difesa della debitrice perché, dopo la presentazione dell'istanza di fallimento di SIPRA, a SAL.CO era stato assegnato un termine per il deposito di memoria difensiva. La società opponente ben poteva essere assoggettata a fallimento poiché nell'oggetto sociale erano indicate talune delle attività contemplate nell'art. 2195 cod. civ. le quali, peraltro, risultavano essere state effettivamente esercitate, giusta i risultati delle informazioni acquisite. Lo stato di insolvenza, infine, era conclamato dall'esistenza di debiti per complessivi 2 miliardi e mezzo di lire cui faceva riscontro un attivo composto da merci e attrezzature, crediti e liquidità ammontanti, ciascuna voce, a poche centinaia di migliaia di lire. In forza di questi argomenti, il Tribunale di Mantova rigettava dunque l'opposizione e condannava l'opponente alla rifusione delle spese in favore dei convenuti opposti.

La sentenza era impugnata dalla soccombente. SALCO, con atto notificato il 6 febbraio 2002, citava infatti a comparire davanti alla Corte di appello di Brescia sia il Fallimento che SIPRA. Sviluppava a sostegno della richiesta riforma della decisione di prime cure quattro motivi corrispondenti ai punti su cui si era imperniata l'opposizione; in relazione a ciascuno contestava le conclusioni di rigetto cui era pervenuto il Tribunale.

Si costituivano entrambi gli appellati che insistevano per la reiezione del gravame e per la conferma della decisione gravata.

La causa era chiamata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 19 marzo 2003. A questa, esperito l'incombente, era trattenuta per la decisione, previa concessione alle parti dei termini di legge per il deposito degli scritti difensivi finali. Spirati detti termini, era decisa nella camera di consiglio dell'11 giugno 2003.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La difesa di SIPRA ha riproposto in questa sede l'eccezione di inammissibilità dell'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento proposta da SAL.CO che, già formulata da entrambi i convenuti, a dire della società appellata non sarebbe stata esaminata dal giudice di primo grado. Evidenzia la società che in data 23 febbraio 1999 l'amministratore unico di SAL.CO venne sentito dal curatore del fallimento acquisendo così compiuta conoscenza della procedura aperta 'a carico della società e che l'opposizione venne poi proposta a mezzo della notificazione dell'atto di citazione solo il 16 marzo 1999 e cioè oltre i quindici giorni previsti, a pena di decadenza, dall'art. 18 legge fallimentare.

La Corte rileva che detta eccezione è stata in realtà esaminata dal giudice di primo grado e da questo rigettata, sia pure in forza di una motivazione non compiutamente esplicitata. In apertura di motivazione, infatti, i giudici mantovani hanno avuto cura di annotare che l'opposizione era da considerarsi proposta entro il limite temporale stabilito dalla norma appena citata che decorreva non già dalla comunque acquisita conoscenza di mero fatto dell'avvenuta emissione della sentenza dichiarativa del fallimento ma dal momento della sua conoscenza legale data esclusivamente dalla comunicazione della sentenza medesima.

Questa annotazione, all'evidenza, non si giustifica se non come risposta all'eccezione formulata dai due convenuti.

La posizione assunta dal giudice di primo grado sull'argomento, ad avviso della Corte, merita di essere confermata. Essa è invero perfettamente coerente con l'interpretazione giurisprudenziale dell'art. 18 legge fallimentare che, dopo la nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 51 del 1980, è approdata alla definitiva sistemazione offerta da Cassazione civile sez. un., 3 giugno 1996, n. 5104. Quest’ultima ha invero insegnato - e questo.Collegio non ha davvero motivi per disattendere tale insegnamento — che perché decorra il termine breve di quindici giorni per proporre opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento occorre che il cancelliere provveda a comunicare al fallito per estratto la sentenza stessa e che, in difetto di tale comunicazione, residua la possibilità per il fallito stesso di proporre l'impugnazione entro l'ordinario termine annuale di cui all'art. 327 cod. proc. civ.. Non può essere in particolare condivisa la tesi della società appellata secondo la quale detto termine breve dovrebbe altresì decorrere, pur in assenza della menzionata comunicazione, dal momento in cui il fallito abbia avuto conoscenza, quantomeno di fatto, dell'apertura della procedura concorsuale a suo carico. Appare infatti estraneo al sistema delle impugnazioni l'ancoraggio dei termini brevi per impugnare anziché all'esperimento di atti formalità, come tali agevolmente e indiscutibilmente collocabili nel tempo, a mere valutazioni di ordine empirico quali quelle che intendono accertare, sulla base di meri indici di fatto, l'avvenuta conoscenza dell'atto da parte del titolare del diritto di impugnazione.

Confermato quindi che, come ha giustamente reputato il giudice di primo grado, l'opposizione proposta da SAL.CO deve ritenersi tempestiva non risultando essere stata eseguita la comunicazione alla società della sentenza dichiarativa di fallimento, può principiarsi l'esame del merito dell'impugnazione.

Col primo motivo, SAL.CO censura la sentenza di prime cure per avere disatteso l'eccezione di nullità dell'intero procedimento e quindi della sentenza di questo conclusiva per violazione dell’art. 15 della legge fallimentare. Secondo l’appellante, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere soddisfatto il diritto di difesa del debitore semplicemente per effetto dell’invito, allo stesso rivolto, di presentare eventuale memoria difensiva dopo che altro creditore e precisamente SAL.CO, avrebbe consentito a questi di adeguatamente controbattere alle ragioni del creditore  anche a fronte delle conseguenze del tutto disastrose che l’accogliemnto dell’istanza avrebbe avuto sulle sorti del debitore medesimo.

Il motivo, a giudizio della Corte, è del tutto infondato e immeritevole di accoglimento.

Risulta pacifico in atti (anche perché adeguatamente comprovato dai verbali del Tribunale fallimentare) che in data 1 ottobre 1998 il Tribunale di Mantova, in relazione ai procedimenti scaturiti da due istanze di fallimento già presentate a carico di SAL.CO., prese atto della richiesta di termini avanzata dalla difesa e rilevò che, nelle more, era stata presentata un'ulteriore istanza da parte della creditrice SIPRA; ritenne che il richiesto termine potesse essere concesso e riservò ogni decisione sulle predette istanze di fallimento fino al 12 novembre 1998. Successivamente e precisamente il 19 novembre 1998 lo stesso Tribunale prese atto che in relazione alle prime due istanze era stata presentata desistenza e che della terza istanza (quella presentata da SIPRA) non risultava che la società debitrice avesse avuto conoscenza. Pertanto, concesse nuovo termine a SAL.CO fino al I4 gennaio 1999 per il deposito di eventuale memoria difensiva anche in relazione al nuovo ricorso presentato da SIPRA, mandando peraltro alla Cancelleria di acquisire anche informazioni a mezzo di P.G. sul trasferimento della società debitrice In Serra San Bruno, al fine di appurare se lo stesso dovesse considerarsi meramente fittizio. La ordinanza suddetta fu notificata il 28 novembre 1998 alla società debitrice la quale fu così in grado di far pervenire al Tribunale, "in relazione al proc. fallimentare n. 208/98" (quello instauratosi a seguito dell'istanza di SIPRA) memoria difensiva nella quale si eccepiva al qui richiamato l'univoco insegnamento della giurisprudenza di legittimità che ha più volte avuto modo di chiarire che "nel procedimento camerale e sommario che precede la dichiarazione di fallimento, una volta che il debitore sia stato informato dell'avvio della procedura nei suoi confronti e sia stato posto in condizione di svolgere le sue difese, non è necessario che egli sia nuovamente convocato ed avvertito ogni qualvolta si aggiungano istanze di fallimento da parte di altri creditori, avendo egli l'onere di seguire lo sviluppo della procedura e di assumere ogni opportuna iniziativa in ordine sia alle eventuali informazioni richieste d'ufficio dal Tribunale sulle condizioni soggettive ed oggettive dell'impresa, sia alle eventuali ulteriori pretese creditorie inserite nel coacervo delle istanze e delle prove a suo carico" (Cassazione civile, sez. I, 2 agosto 1990 n. 7757; Cassazione civile, sez. I, 3 novembre 1983 n. 6472). Anche nelle pronunce che più hanno accentuato l'esigenza di garantire il pieno dispiegarsi del diritto di difesa del fallito si esclude comunque la necessità di rinnovare la sua convocazione per ciascuna delle istanze che vengano via via presentate, reputandosi sufficiente, ai fini della tutela del diritto suddetto, "che il debitore sia di fatto in grado di chiarire tempestivamente all'organo fallimentare ogni elemento utile per valutare la sua situazione commerciale e patrimoniale" (Cassazione civile sez. I, 25 maggio 1994, n. 5101).

Nel caso di specie, non può dubitarsi che questa condizione si sia pienamente verificata. Vi era un procedimento prefallimentare già aperto a carico di SAL.CO nel quale la società aveva avuto modo di esercitare i propri diritti di difesa anche chiedendo e ottenendo termini per la sistemazione stragiudiziale di alcune posizioni debitorie; intervenuta altra istanza di fallimento, questa fu portata a conoscenza della debitrice che fu invitata a difendersi sul punto e che, in effetti, esercitò la propria difesa a mezzo della memoria sollecitata dallo stesso Tribunale. Non si vede proprio in quale modo la mancata nuova convocazione del debitore davanti al Tribunale fallimentare abbia potuto pregiudicare il suo diritto di difesa perché non si scorge quale ulteriore argomento difensivo quegli avrebbe potuto sviluppare oltre a quanto già versato in causa relativamente alle sue condizioni generali a mezzo della audizione nella camera di consiglio e relativamente alla specifica posizione di SIPRA a mezzo della memoria autorizzata.

La circostanza, evidenziata nell'atto di gravame, che SAL.CO non sia stata posta in grado di conoscere tempi, motivi, termini di quanto contenuto nella nuova istanza di fallimento è poi del tutto irrilevante perché, una volta portata a conoscenza della debitrice l'esistenza di quella istanza di fallimento, incombeva certamente alla stessa di assumere tutte le più opportune informazioni onde apprestarenel modo più efficace la propria difesa a mezzo dello strumento individuato dal Tribunale.

Deve conclusivamente escludersi, quindi, che il Tribunale fallimentare di Mantova abbia violato il disposto dell'art. 15 legge fallimentare e deve confermarsi la pronuncia dei giudici dell'opposizione che hanno, del tutto correttamente, rigettato la relativa eccezione.

Col secondo motivo di gravame, l'appellante torna a insistere sull'eccezione di incompetenza, censurando la sentenza di primo grado che la stessa ha disatteso. Contesta l'appellante che il suo trasferimento in Serra San Bruno sia stato meramente fittizio e pretestuoso, come sostenuto dal Tribunale, e al riguardo sottolinea la propria correttezza commerciale che la portò, pur dopo essersi colà trasferita, a sanare le due posizioni dei creditori istanti per il fallimento. Ma, secondo SAL.CO, soprattutto avrebbe trascurato il Tribunale le reali motivazioni del perché una ditta "in epoca di globalizzazione" possa spostare la propria sede da un luogo a un altro. Al riguardo, spiega che il trasferimento in Calabria fu originato dall'"incremento del settore di attività agricole (oggetto sociale della SAI..CQ) collegate à future prospettazioni nel campo turistico, anche in considerazione di contributi regionali", dall'"incremento nel settore degli allevamenti, nell'ambito di un'economia collinare (altopiano delle Serre)", dal progettato acquisto di terreni "per attività specifiche, stante una politica di agevolazioni creditizie". Il trasferimento, dunque vero e reale, avrebbe dovuto radicare la competenza presso il Tribunale fallimentare di Vibo Valentia e non varrebbero, in contrario, le considerazioni svolte dal primo giudice circa la diversa localizzazione dì altri insediamenti commerciali, circa il persistente inoltro di corrispondenza alla volta della "vecchia" sede in Bondeno di Gonzaga e circa la chiusura dei locali in Serra San Bruno riscontrata dalla polizia giudiziaria attivata dal Tribunale fallimentare mantovano. Questi elementi, secondo l'appellante, sarebbero infatti destinati a cedere a fronte della necessaria considerazione dell'"ambulatorietà ... del titolare della ditta, portatosi di volta involta nei luoghi congegnali alla sua attività, muovendosi dal centro propulsore di Serra S. Bruno a prescindere da altro luogo di ubicazione dei fattori produttivi", In ogni caso, conclude l'appellante, il curatore non sarebbe riuscito a vincere la presunzione di identità tra sede legale e sede effettiva.

Anche questo motivo si rivela, a giudizio della Corte, del tutto infondato.

Va immediatamente segnalata l'estrema carnosità delle ragioni che a dire dell'appellante avrebbero imposto il suo trasferimento in Serra San Bruno. Essa risalta ancora più se si considera che nella citata memoria difensiva depositata presso il Tribunale fallimentare dette ragioni erano di segno tutt'affatto diverso essendo individuate nella necessità di reperire una sede più vicina a un porto – quello di Gioia Tauro – in cui particolarmente fiorenti erano i traffici con l'estremo oriente dei quali la società si giovava nella sua attività di import – export. Sennonché non interessa in questa sede approfondire la questione circa l'effettività di questo trasferimento, essendo invece rilevante valutare la realtà dell'apertura della sede in Serra San Bruno nella generale economia dell'attività sociale, avendo presenti le regole che in tema di competenza del Tribunale fallimentare sono poste dalla giurisprudenza di legittimità. E in esito a questa valutazione non dubita la Corte che vada confermata la conclusione cui è approdato íl giudice di primo grado.

Anche di recente è stato ribadito che "ai fini della corretta individuazione del tribunale territorialmente competente a conoscere della domanda di fallimento di società commerciale, aí sensi dell'art. 9 l. fall., la presunzione di coincidenza della sede effettiva con la sede legale dell'ente opera, nel caso di trasferimento, con riferimento alla sede precedente, e non a quella successiva al trasferimento stesso, nei casi seguenti: a) quando il trasferimento sia temporalmente vicino all'istanza di fallimento, e quindi compreso in epoca in cui debba considerarsi già manifestata o quantomeno imminente la crisi economica dell'impresa, atteso che in tale evenienza, poiché viene a mancare un collegamento con una qualsiasi evoluzione delle esigenze dell'impresa stessa, il trasferimento della sede diviene equivoco (se non fittiziamente preordinato ad incidere proprio sulla competenza territoriale) e non consente, dunque, di fondare alcuna presunzione su di esso; b) quando vi è la prova che al trasferimento della sede non corrisponde un reale trasferimento del centro propulsore dell'impresa; c) quando, infine, al compimento delle formalità inerenti al trasferimento non si accompagna l'effettivo esercizio dell'attività d'impresa nella nuova sede" (Cassazione civile sez. I, 9 maggio 2002,ord. n. 6693; si veda anche Cassazione civile sez. I 6 dicembre 2001 n. 15474.

Nel caso di specie, esistono tutte le cennate condizioni che impongono di individuare nel Tribunale di Mantova il giudice competente a decidere sulle istanze di fallimento presentate contro SAL.CO. In primo luogo, giova infatti considerare che il trasferimento venne deliberato dall'assemblea della società oggi appellante il 27 gennaio 1998 ma che esso non fu materialmente possibile che a partire dal luglio dello stesso anno allorchè furono presi in affitto in Serra San Bruno alcuni locali a uso commerciale. All'epoca erano già pendenti le due istanze di fallimento, difatti presentate nel precedente maggio, chiaramente rivelatrici dello stato di decozione della società creditrice che sarebbe stato volutamente dichiarato nel gennaio successivo. La circostanza che, poi, quelle due istanze siano state ritirate non muta certamente i termini della situazione atteso che il procedimento conseguentemente Instaurato non venne per ciò meno ma prosegui, anche per effetto della presentazione della terza istanza a opera di SIPRA, fino al suo epilogo.

In ogni caso, al trasferimento della sede legale non si accompagnò lo spostamento del centro propulsore della società che, infatti, rimase in Bondeno di Gonzaga e infatti, tutta la documentazione acquisita (fatture, corrispondenza, fax inviati ad operatori commerciali) indica univocamente che, 'pur dopo il trasferimento della "sede amministrativa" (così definita nei fax inviati allo spedizioniere Goldoni – Iorio) in Serra San Bruno, le prassi operative di SAL.CO non subirono alcuna modificazione atteso che tutta la merce a essa destinata (di volta in volta: bici elettriche, canfora sintetica, manufatti in … parti di macchinari, ecc.) veniva sbarcata al porto di Genova e quindi consegnata nel magazzino di Bondeno di Gonzaga salvo l'invio delle fatture nel centro calabrese. Per dare poi un'idea dell'importanza, del tutto marginale, della sede aperta in quest'ultimo comune basti pensare che il contratto di affitto della stessa prevedeva un canone di sole L. 100.000 al mese e che i Carabinieri di Serra San Bruno riferirono di non avere mai visto aperti quei locali. E' certamente vero che ai militari può anche essere sfuggita una qualche estrinsecazione dell'"ambulatorietà" del legale rappresentante della società; non può comunque negarsi che il coacervo degli elementi raccolti induce a ritenere che, pur dopo l'apertura di quell'ufficio, il "centro propulsore" dell'attività di SAL.CO rimase pur sempre nei vecchi locali di Bondeno di Gonzaga dai quali veniva diretta l'attività commerciale (i menzionati fax furono difatti inviati da quella località) e nei quali veniva recapitata la merce il cui commercio costituiva l'attività di elezione della società.

Alla luce di queste concorrenti ragioni, deve quindi escludersi che l'apertura dell'ufficio di Serra San Bruno, nel quale venne trasferita la sede legale di SAL.CO, possa valere a radicare la competenza del Tribunale di Vibo Valentia perché, pur dopo quel trasferimento, la società continuò nondimeno a esercitare la propria attività commerciale nel circondari del Tribunale di Mantova, quindi competente a dichiararne il fallimento.

Col terzo motivo di appello, SAL.CO lamenta che il giudice di primo grado abbia respinto l'opposizione nonostante che la prevalente attività di impresa riguardasse l'agricoltura "nel suo significato più ampio" e l'allevamento, in tal modo sottraendo la società all'assoggettabilità alle procedure concorsuali. Ammette l'appellante di avere interessi in settori diversi ma insiste sul fatto che prevarrebbe nell'attività sociale quella "inerente l'agricoltura, l'allevamento e annessi". Premesse alcune annotazioni normative sul concetto di imprenditore agricolo, l'appellante rivendica a sé tale natura e spiega che proprio in ragione di questa essa si decise a trasferirsi in Serra San Bruno "per dare sviluppo a tutta la filiera del settore agricolo, usufruendo anche dei vantaggi possibili: costruzione in zona agricola con esenzione degli oneri di urbanizzazione, agevolazioni per l'acquisto di terreni, sviluppo degli allevamenti, iniziative agroturistiche, commercializzazione di prodotti, ecc.".

Ritiene il Collegio che il motivo sia del tutto privo di qualsiasi pregio,risolvendosi lo stesso in affermazioni apodittiche, pretestuose, patentemente contraddittorie. Già si è detto che la vocazione agricola di SAL.CO à stato un portato della causa di opposizione poiché, nella fase prefallimentare, il trasferimento nelle terre calabresi era stato spiegato con l'interesse della società verso i più favorevoli noli marittimi praticati presso il porto di Gioia Tauro che avrebbero favorito i suoi commerci con la lontana Cina. Si aggiunge qui che non uno dei documenti che sono stati versati in causa parla di un qualche concreto interesse di SAL.CO per la diretta coltivazione dei campi o, meno ancora, per l'allevamento del bestiame; tutti, invece, sono eloquenti di una variegata attività di commercio avente a oggetto i più disparati settori merceologici nessuno dei quali, peraltro, attinente alle attività agricole. Questo rilievo è sufficiente a chiudere ogni discussione sul punto, salvo segnalare come l'assunto di parte appellante di svolgere prevalentemente attività agricola finisca per risolversi in una patente petizione di principio laddove chiama a proprio supporto il fatto che la società si sarebbe trasferita in Calabria appunto per meglio esercitare l'attività di coltivazione e di allevamento. L'aporia del ragionamento non ha veramente bisogno di altre chiose per essere appieno disvelata.

Con l'ultimo motivo di gravame, l'appellante censura la sentenza di primo grado laddove questa ha ritenuto provata l'esistenza dello stato di insolvenza. Innanzitutto SAL.CO contesta i numeri che il giudice di primo grado ha utilizzato per motivare il proprio convincimento: in primo luogo scarsamente significativo sarebbe il dato di L. 2.500.000.000 relativo al passivo perché esso sarebbe "non definito, costituito soprattutto da sentenze di primo grado impugnabili e da pretese creditorie insussistenti"; inoltre avrebbe errato il Tribunale nell'indicare in L. 300.000 anziché in L. 300 milioni l'ammontare dei crediti e in L. 150.000 anziché in L. 150 milioni la liquidità monetaria. Quindi l'appellante sostiene che lo sbilancio tra attività e passività avrebbe dovuto essere considerato nell'ammontare esistente al momento della delibazione delle istanze di fallimento e non già alla luce delle altre istanze successivamente pervenute che hanno contribuito ad appesantire lo stato passivo. Con specifico riferimento alla stato dei conti esistente a quel momento, sostiene, sarebbe poi apparso del tutto evidente che la società non versava in stato di decozione, che era in grado di pagare i suoi creditori (come comprovato dalla stessa desistenza dei due creditori istanti per il fallimento), che poteva al più parlarsi di una temporanea difficoltà a soddisfare le proprie obbligazioni non riconducibile certamente alla definizione di insolvenza. Neppure era ravvisabile, a detta di SAL.CO, l'esteriorizzazione di suoi comportamenti che fossero sintomatici dell'impossibilità di fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, quali, ad esempio, alienazioni del patrimonio, chiusura dell'attività, trafugamenti, diminuzione fraudolenta dell'attivo, cessione dei beni ai creditori e simili. In ogni caso, conclude l'appellante, lo stato di insolvenza non potrebbe identificarsi col mero sbilancio tra attività e passività perché a questo l'impresa ben potrebbe fare fronte anche a mezzo del ricorso al credito.

Le argomentazioni così riassunte non possono trovare consenziente la Corte, almeno con specifico riferimento al caso concreto.

Il dato, evidenziato dal Tribunale, rappresentato dall'ammontare complessivo dei crediti insinuati al passivo fallimentare non può essere utilmente contestato nella sua valenza probatoria; esso, passato al vaglio degli organi fallimentari, non è invero suscettibile di diverso apprezzamento allegando che nello stesso sarebbero confluiti anche crediti inesistenti o portati da sentenze che avrebbero potuto essere utilmente impugnate: non risulta infatti che i primi, regolarmente ammessi, siano stati espunti a mezzo dei rimedi a ciò preordinati o che le seconde siano state impugnate dal solo organo a ciò abilitato e cioè dal curatore.

Per quanto invece riguarda l'attivo, è significativo che la procedura abbia reperito ed acquisito quale solo cespite di proprietà della società fallita un vecchio macchinario arrugginito, alienabile solamente a peso. Per il resto, rileva la Corte che anche ammesso che il Tribunale abbia errato nell'indicare l'ammontare dei crediti e della liquidità e anche ammesso che queste voci siano pari all'ammontare indicato dall'appellante, rimarrebbe pur sempre assodata l'impossibilità per le voci attive di coprire, neppure in significativa parte, il passivo quale definitivamente assestatosi. Resta quindi affidata alla valutazione della Corte la realtà di un'impresa in cui le voci attive sono tali da coprire solamente una minima parte delle passività accumulate e che, quindi, disvela una strutturale debolezza finanziaria che è il primo presupposto dello stato di insolvenza

Può certamente convenirsi coll'appellante che quest'ultimo non ricorre tutte le volte in cui il passivo patrimoniale non risulta coperto dall'attivo, ben potendo l'impresa reperire risorse onde fare fronte a temporanee crisi finanziarie. Queste prospettive, va però sottolineato, sono strettamente collegate a una situazione di sostanziale solidità finanziaria dell'impresa stessa perchè è notorio che imprese deboli o fortemente indebitate non riescono ad attivare ulteriori canali di finanziamento. Nel caso di specie, il forte sbilancio tra passività e attività è appunto sintomatico di uno stato di profonda crisi che non appare suscettibile di utile risanamento. Né l'appellante ha fornito, al di là di generiche illazioni, precise e concrete indicazioni sul come avrebbe potuto soddisfare quei tanto ingenti debiti potendo fare conto – stando alle sue stesse difese – su risorse pari a poche centinaia di milioni. D'altra parte, vi è la prova in atti che lo stato di grave dissesto finanziario di SAL.CO che si è così individuato effettivamente si tradusse nella patente impossibilità, per la stessa, di fare fronte con regolarità alle proprie obbligazioni. Si comincia con l'osservare che due creditori furono soddisfatti, in via transattiva (come ha ammesso la stessa società), solo dopo che essi presentarono istanza di fallimento. Anche col terzo istante e cioè con SIPRA venne raggiunto un accordo transattivo nel novembre 1997 che indusse lo stesso a ritirare una precedente istanza di fallimento. Detto accordo prevedeva un piano di pagamento rateale del debito già risalente all'anno precedente che però SAL.CO non fu in grado di rispettare, tanto che la società creditrice si determinò a presentare una nuova istanza di fallimento; a fronte di questa, peraltro, la debitrice, anziché assolvere sollecitamente e senza esitazioni al proprio debito, preferì accampare infondate e dilatorie eccezioni relative alla incompetenza del Tribunale adito. L'affannosa rincorsa delle scadenze azionate dai creditori davanti al tribunale fallimentare, il raggiungimento di intese transattive comportanti dilazioni di pagamento e il mancato rispetto di tali accordi costituiscono, a giudizio della Corte, sintomi inequivocabili del venir meno della possibilità per la debitrice di regolare ordinatamente e regolarmente le proprie posizioni debitorie insorgenti nell'ambito dell'attività commerciale. La grave situazione di squilibrio patrimoniale che più sopra si è sottolineata offre appagante e ragionevole spiegazione di tali difficoltà negli ordinari adempimenti.

A ciò si aggiunga che, come dimostrato dalla documentazione prodotta da SIPRA a corredo dell'istanza di fallimento, nell'aprile 1997 pendevano a carico di SAL.CO ben tredici procedure esecutive mobiliari e che lo stesso amministratore della società fallita, sentito dal curatore, non ebbe remore nell'affermare — circostanza non smentita e peraltro coerente con quanto appena sopra descritto — che l'azienda si trovava in stato di crisi economica non godendo più di affidamenti bancari e avendo gli oneri finanziari e gli interessi passivi ingigantito il debito sino a rendere impossibile il rientro completo.

Non vale peraltro sostenere che la situazione di insolvenza andrebbe verificata al momento della presentazione delle istanze di fallimento e non già in esito al consolidamento dello stato passivo. L'assunto è comunque inconferente perché si è accertato che già a quel momento SAL.CO non poteva dirsi in grado di pagare con regolarità i propri debiti. Se è vero che la realtà contabile della decozione venne fotografata in un momento successivo e cioè all'atto della conta dei crediti, non è men vero che essa doveva essere attuale anche in quel precedente frangente temporale atteso che le difficoltà, per la società, di osservare puntualmente le sue scadenze (dimostrata tangibilmente dalle procedure esecutive e dagli stessi accordi transattivi raggiunti con gli istanti per il fallimento e solo dopo la presentazione delle istanze stesse) non può Trovare adeguata giustificazione se non in una situazione di impotenza finanziaria già in atto. Lungi quindi dal concretare una mera difficoltà temporanea, la crisi in cui versava SAL.CO presenta tutti i caratteri dello strutturale dissesto finanziario e integra quindi quella condizione di decozione che impone la declaratoria di fallimento.

Rigettato anche l'ultimo mezzo di gravame, ritiene dunque la Corte che la sentenza di primo grado che, sulla base di osservazioni in larga parte coincidenti con quelle qui confermate, ha rigettato l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento proposta dalla debitrice meriti piena conferma.

Al rigetto del gravame consegue la condanna dell'appellante alla rifusione in favore dei costituiti appellati delle spese del grado. In ragione dell'attività effettivamente espletata quale risulta dai fascicoli di parte e dai verbali di causa, esse si liquidano, per ciascuno, in euro 6.537,60 (di cui 1.156,88 per diritti e 4.650,00 per onorari).

P.Q.M.

La Corte, definitivamente decidendo,

rigetta l'appello proposto da SAL.CO S.r.l. avverso la sentenza n. 130101 del Tribunale di Mantova in data 30 novembre 2000 – 9 febbraio 2001;

condanna l'appellante SAL.CO S.r.l. a rifondere a SIPRA S.p.A. e a FALLIMENTO SAL.CO S.R.L. le spese del grado liquidate, per ciascuno, in euro 6.537,60.

Così deciso in Brescia, 1'11 giugno 2003.