Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 621 - pubb. 01/01/2007

Credito ripianificato in amministrazione controllata e prededuzione.

Appello Brescia, 28 Gennaio 2004. .


Ammissione al passivo – Domanda ex art. 111 l.f. concernente un credito maturato nei confronti di società in bonis e ripianificato, nella prospettiva del risanamento dell’azienda, per effetto dell’asserito consenso prestato dagli organi della procedura di amministrazione controllata apertasi successivamente – Richiesta, in sede di comparsa conclusionale nell’ambito del giudizio ex art. 98 l.f., di ammissione la passivo del medesimo credito in via prededotta alla stregua della prospettazione secondo cui il debito sarebbe stato contratto dal curatore fallimentare per effetto del subentro dello stesso nel contratto (di vendita a consegne ripartire) ai sensi degli artt. 72 e 74 l.f. – Mutatio libelli – Sussistenza – Impossibilità di prendere in esame la domanda, seconda la nuova prospettazione, anche nel giudizio di appello attesa l’immutabilità degli elementi costitutivi individuati con l’istanza di ammissione al passivo.



 


 


 omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 30 novembre 1999 nella cancelleria del Tribunale fallimentare di Mantova, la società OFFICINE TOSONI LINO S.P.A. proponeva opposizione allo stato passivo del FALLIMENTO BELLELI S.P.A. nella parte in cui il proprio credito pari a £. 984.891.949 (per sorte capitale e interessi fino all’ammissione della debitrice alla procedura di amministrazione controllata poi sfociata nel fallimento) era stato ammesso al rango chirografario anziché in prededuzione o in via privilegiata giusta la domanda della società creditrice. A fondamento dell’opposizione la ricorrente esponeva che nel 1992 l’ENEL aveva affidato i lavori di realizzazione di una centrale in Brindisi all’associazione temporanea di imprese costituita, oltre che dalla ricorrente stessa, da altre tra le quali Belleli S.p.A. che rivestiva il ruolo di capogruppo mandataria e che avrebbe dovuto fungere da terminale dei pagamenti eseguiti dalla committente, da riversarsi pro quota alle mandanti.

Era però accaduto, proseguiva il ricorso, che la mandataria aveva trattenuto indebitamente quei compensi e a Officine Tosoni Lino non erano stati versati importi, regolarmente fatturati, per £. 2.372.542.617 cui dovevano aggiungersi £. 91.764.465 per interessi passivi. Per effetto di intese perfezionatesi con missive del 28 giugno e del 9 luglio 1996, aggiungeva l’opponente, parte del detto credito in linea capitale era stato ceduto ad altro soggetto e si era convenuto che Enel avrebbe direttamente pagato alla ricorrente i compensi per i lavori non ancora liquidati da essa committente; per effetto di tali intese il credito di Officine Tosoni si era quindi ridotto a somma corrispondente a quanto richiesto in sede di insinuazione al passivo fallimentare. Spiegando le specifiche ragioni dell’opposizione, la creditrice assumeva poi che, essendo stato il debito di Belleli S.p.A. assunto e ripianificato in costanza della procedura di amministrazione controllata, il restante credito della deducente avrebbe dovuto essere ammesso in prededuzione ai sensi dell’art. 111 Legge Fallimentare e che, in ogni caso, lo stesso avrebbe dovuto essere ammesso in via privilegiata, quale credito del mandante, ex artt. 1713, I comma e 2761, II comma, cod. civ.

Fissata l’udienza di discussione, si costituiva la procedura che si opponeva al ricorso. Evidenziava che il credito vantato era maturato per intero nel periodo antecedente all’ammissione di Belleli alla procedura di amministrazione controllata e che gli organi di questa procedura erano rimasti totalmente estranei all’operazione di cessione del credito maturato dalla mandante. In ogni caso, aggiungeva la curatela, l’accordo documentato dalle due missive ex adverso menzionate avrebbe dovuto reputarsi privo di efficacia in quanto era espressamente prevista la risoluzione dell’accordo medesimo per il caso, poi in effetti verificatosi, di mancata esecuzione anche di uno solo dei previsti pagamenti. Relativamente al preteso privilegio, il Fallimento evidenziava che esso era previsto a favore del mandante e non già del mandatario come avversariamente preteso e che, trattandosi di privilegio speciale, esso comunque non avrebbe potuto esercitarsi su importi di denaro essendo questo un bene fungibile.

La controversia così radicata era decisa con sentenza in data 18 aprile – 28 maggio 2002. Il Tribunale premetteva che il rapporto intercorso tra Belleli e Officine Tosoni Lino avrebbe dovuto considerarsi quale appalto e non già quale vendita a consegne ripartite secondo la qualificazione che la ricorrente aveva voluto dare in sede di comparsa conclusionale. Osservava poi che tale cambiamento di prospettiva rispetto agli atti introduttivi del giudizio era all’evidenza funzionale a sostenere il subingresso della procedura concorsuale nelle obbligazioni contrattuali ex artt. 72 e 74 Legge Fallimentare e che, però, tale prospettazione integrava un’inammissibile mutatio libelli atteso che la prededuzione in sede di istanza di ammissione al passivo era stata chiesta non già in relazione a quelle norme ma in forza di un’articolata definizione transattiva del rapporto asseritamente attuata con l’assenso degli organi concorsuali. Ricondotta quindi la discussione entro l’originario alveo, il primo giudice rilevava che le prestazioni dalle quali erano sorti i crediti oggetto del giudizio erano state tutte eseguite e liquidate dalla committente nel periodo antecedente l’ammissione di Belleli all’amministrazione controllata; tornava quindi applicabile nella specie, secondo il Tribunale, l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui nell’appalto, laddove, come nella specie, fosse previsto il pagamento a stati di avanzamento doveva escludersi che le singole prestazioni costituissero momenti esecutivi di un’obbligazione rigidamente indivisibile tali da attrarre nell’orbita dell’amministrazione controllata l’intero e unico credito. Relativamente all’accordo transattivo perfezionatosi con lo scambio epistolare già pendente l’amministrazione controllata, il Tribunale rilevava, al fine di negare il rilievo, che allo stesso gli organi della procedura erano restati del tutto estranei e che, comunque, esso non era stato autorizzato dal Giudice Delegato così come imposto dagli artt. 188 e 167 legge fallimentare.

Infondata era quindi reputata anche la pretesa relativa al privilegio sia perché le norme all’uopo invocate – non suscettibili di interpretazione analogica – accordavano il privilegio stesso al mandante ma non al mandatario, sia perché il privilegio medesimo non avrebbe potuto esercitarsi su un bene di natura fungibile quale è il denaro.

Per queste ragioni l’opposizione era respinta e l’opponente era condannato a rifondere alla procedura opposta le spese di causa.

La sentenza, notificata il 28 giugno 2002, veniva tempestivamente impugnata dalla società soccombente che, con atto notificato il 12 luglio 2002 conveniva il Fallimento di Belleli S.p.A. davanti alla Corte di appello di Brescia.

Con unico e articolato motivo si doleva che il giudice di primo grado non avesse esaminato la fattispecie nella prospettiva del contratto di vendita a consegne ripartite dall’opponente proposta in sede di comparsa conclusionale; negava al riguardo che in questa precisazione riferita alla qualificazione del rapporto si potesse ravvisare alcuna mutatio libelli.

Veniva quindi ribadita la validità della proposta prospettazione e si segnalava che nei fatti gli organi della procedura avevano tenuto un comportamento concludente nettamente significativo di un subingresso degli stessi nell’esecuzione del contratto.

Inoltre, osservava l’appellante, al momento del fallimento il curatore si era trovato anche di fronte alla pendenza del contratto di mandato che però, essendo in rem propriam, non si era affatto sciolto ex art. 78 Legge Fallimentare.

Concludeva l’appellante perché, in riforma dell’impugnata decisione, il credito di Officine Tosoni Lino fosse ammesso al passivo di Belleli S.p.A. in prededuzione.

Si costituiva la procedura appellata che, confutate le avversarie deduzioni, concludeva per il rigetto del gravame.

In esito alla fase di trattazione (era rigettata l’istanza di inibitoria formulata dall’appellante nell’atto di gravame), la causa era rimessa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 5 novembre 2003.

A questa, esperito l’incombente processuale, era trattenuta dalla Corte per la decisione, previa concessione alle parti dei termini di legge per il deposito degli scritti difensivi finali.

Spirati detti termini, il Collegio decideva nella camera di consiglio del 28 gennaio 2004.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I profili di fatto delle vicenda che ha dato luogo alla presente causa sono del tutto pacifici e possono così essere puntualizzati.

In vista della partecipazione a una gara indetta da ENEL per la fornitura e posa in opera di carpenterie metalliche e accessori destinati alla centrale di Brindisi Sud, venne costituita un’associazione temporanea di imprese (A.T.I.) di cui facevano parte, tra le altre, S.M.S.I. (poi Belleli S.p.A.) e Officine Tosoni Lino S.p.A.; la prima assunse la veste di mandataria.

Relativamente al regolamento economico dei lavori da eseguire si convenne che ciascuna impresa mandante avrebbe fatturato alla mandataria le proprie prestazioni e la mandataria avrebbe poi provveduto a emettere nei confronti di ENEL un’unica fattura; i pagamenti ricevuti dalla committente sarebbero stati poi trasferiti dalla mandataria alle mandanti, per quanto di rispettiva competenza, “nella stessa data e alle stesse condizioni ricevute dall’ENEL” (art. 16 del Regolamento dell’A.T.I.).

Tra il 12 maggio 1995 e il 30 settembre 1995 Officine Tosoni Lino emise nei confronti della mandataria Belleli S.p.A., per lavori compiuti nell’ambito dell’associazione temporanea di imprese, diciotto fatture per complessive £. 2.372.542.617 che non vennero pagate.

Nel novembre 1995 Belleli S.p.A. venne ammessa alla procedura di amministrazione controllata.

Il 28 giugno 1996 Officine Tosoni Lino propose a Belleli S.p.A., “al mero fine di consentire il risanamento” di quest’ultima “e la sua fuoriuscita dalla procedura di Amministrazione Controllata”, una sistemazione della pendenza debitoria articolata nel modo seguente:

A) l’importo di £. 412.895.497 portato da alcune fatture di Officine Tosoni Lino confluite in fatture Belleli S.p.A. non ancora pagate da ENEL sarebbe stato pagato direttamente da quest’ultima alla mandante; B) il 30% della rimanente esposizione sarebbe stata ceduta pro soluto ad altro soggetto indicato da Belleli S.p.A. dietro corrispettivo di £. 97.982.356 da pagarsi entro un mese dal rientro in bonis della società debitrice e comunque entro il 31 dicembre 1996; C) il residuo debito sarebbe stato saldato da Belleli S.p.A. secondo una rateizzazione corrente fino al 31 dicembre 1997.

La proposta venne accettata da Belleli S.p.A. il 9 luglio 1996 ma successivamente non venne per intero onorata relativamente ai pagamenti da effettuarsi direttamente dalla debitrice cosicché, sfociata l’amministrazione controllata nel fallimento, il credito residuo di Tosoni rimase tale nella misura di £. 893.127.484 capitali e di £. 91.764.465 per interessi maturati fino al novembre 1995.

Chiedendo di essere ammessa per tali somme al passivo fallimentare, Officine Tosoni Lino insistette perché il credito venisse ammesso in prededuzione (la questione relativa al privilegio, richiesto in via subordinata, qui più non rileva, non essendo stata impugnata la decisione del Tribunale negativa sul punto) evidenziando che il debito nei suoi confronti era stato “assunto e ripianificato dalla procedura di amministrazione controllata della “Belleli S.p.A.”, anche per l’esigenza di far proseguire l’attività in corso dell’A.T.I.”.

A fronte della decisione negativa del Giudice Delegato che ammise il suddetto credito al rango chirografario, Officine Tosoni Lino formulò opposizione allo stato passivo reiterando, in punto pretesa prededuzione, lo stesso argomento appena sopra riportato.

In sede di comparsa conclusionale davanti al giudice di primo grado Officine Tosoni Lino, ribadito che la prededuzione spettava in quanto il debito di Belleli era stato assunto e ripianificato dalla procedura, sostenne che la prededucibilità andava “oltremodo” configurata in virtù di un altro ordine di considerazioni che così possono essere sintetizzate.

Il contratto stipulato tra ENEL e A.T.I., si sostenne, andava in realtà qualificato non come appalto ma come vendita a consegne ripartite.

Ai sensi degli artt. 72 e 74 Legge Fallimentare il curatore può discrezionalmente scegliere – senza la necessità di essere autorizzato dal Giudice Delegato e senza bisogno di atti formali – se subentrare ovvero sciogliere il contratto.

Nel caso di specie risulta dalla documentazione in atti che Belleli aveva proseguito nello svolgimento delle attività di sua competenza all’interno dell’A.T.I. anche in costanza delle succedutesi procedure concorsuali, sfruttando la continuità delle prestazioni della deducente: in questo modo si era venuto concretando il subentro da parte della procedura fallimentare per comportamenti concludenti.

Non solo; il dichiarato fallimento neppure aveva determinato l’estinzione del mandato sotteso al contratto di associazione temporanea di imprese cosicché doveva ritenersi che il Curatore fosse subentrato anche nello stesso.

Andava pertanto “riconosciuta … la prededuzione ai crediti sorti a favore della Officine Tosoni ante amministrazione controllata in virtù del subentro contrattuale operato dal Curatore del successivo fallimento e della consequenziale assunzione di ogni correlata obbligazione da parte dello stesso”.

Il Tribunale, ritenuto di qualificare il rapporto contrattuale tra Belleli e Officine Tosoni come appalto, giusta la qualificazione allo stesso data nella domanda di insinuazione e nel ricorso in opposizione allo stato passivo, ha osservato che la diversa qualificazione come vendita a consegne ripartite data dall’opponente nella comparsa conclusionale non trovava in atti conferma alcuna ma anzi smentita dalle stesse fatture della creditrice nelle quali si parlava infatti di fornitura in opera di carpenterie metalliche.

Ha poi aggiunto il primo giudice che il tentativo di diversamente qualificare il rapporto era strumentale al richiamo agli artt. 72 e 74 Legge Fallimentare e che però, in questo modo, veniva a darsi corpo a un’inammissibile mutamento della causa petendi rispetto alla domanda originaria.

Infatti, ha annotato il Tribunale di Mantova, in quest’ultima la prededuzione era fondata sull’allegazione di un’articolata definizione transattiva del credito cui avrebbero dato l’assenso gli organi della procedura; nella prospettazione di cui alla comparsa conclusionale la invocata prededuzione veniva invece a riposare sul mero subentro della procedura nel rapporto contrattuale.

Tornando quindi all’originaria impostazione, il primo giudice ha osservato che: le fatture portanti i crediti per cui si chiedeva l’ammissione erano state emesse tutte prima dell’ammissione alla procedura di amministrazione controllata ed erano tutte relative a prestazioni eseguite anteriormente a tale data; poteva applicarsi al caso di specie l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui ove nell’appalto sia stato pattuito il pagamento a stati di avanzamento le singole prestazioni non costituiscono momenti esecutivi di una obbligazione rigidamente indivisibile di talchè quelle poste in essere prima dell’ammissione del debitore all’amministrazione controllata non vengono a godere della prededuzione; all’accordo da cui sarebbe scaturita la ripianificazione del debito erano rimasti del tutto estranei gli organi della procedura laddove invece un siffatto accordo di natura transattiva avrebbe richiesto l’autorizzazione del Giudice Delegato.

Proponendo appello avverso la sentenza di primo grado, Officine Tosoni Lino ha negato che, per effetto delle nuove argomentazioni contenute nella comparsa conclusionale di primo grado, possa essersi realizzata una qualsiasi mutatio libelli.

Infatti, osserva, fermi sono restati sia il petitum (la domanda di ammissione del credito con prededuzione) sia la causa petendi (subingresso della procedura nelle obbligazioni del debitore), essendosi semplicemente operato uno sviluppo delle argomentazioni già contenute negli scritti introduttivi della controversia. In sostanza si è sempre considerato il medesimo comportamento tenuto dagli organi concorsuali riguardato, nel ricorso in opposizione allo stato passivo, nel momento in cui essi hanno prestato adesione agli accordi per la ripianificazione del debito e, nella comparsa conclusionale nella più ampia prospettiva – della quale quella condotta era esponenziale – del subingresso nei rapporti di mandato e di vendita con consegne ripartite.

In ogni caso, aggiunge l’appellante, l’adita Corte di appello non potrebbe esimersi dall’affrontare anche la prospettazione per ultima versata in causa concretando la stessa, semplicemente, una diversa ragione giuridica alla luce della quale valutare i fatti costitutivi del diritto rimasti comunque immutati nella loro valenza fondatrice del diritto medesimo.

Ritiene la Corte che il motivo di gravame sia infondato.

Non può davvero sfuggire che la nuova prospettazione versata in causa da Officine Tosoni Lino a mezzo della comparsa conclusionale di primo grado abbia mutato effettivamente gli elementi costitutivi della fattispecie quali delineati nella domanda di ammissione al passivo prima e nel ricorso di opposizione allo stato passivo poi.

Invero, in questi atti si dava per scontato che il credito per cui si chiedeva l’ammissione fosse maturato e si fosse cristallizzato nei confronti della società Belleli allorché questa era ancora in bonis e che solo per effetto dell’asserito consenso prestato dagli organi della procedura di amministrazione controllata – che si era aperta successivamente all’insorgere di quel credito – alla ripianificazione del debito quest’ultimo fosse stato “fatto proprio” dalla procedura stessa venendo così a equipararsi a quei debiti contartti nella prospettiva del risanamento dell’azienda per i quali viene riconosciuta la prededuzione nel caso in cui all’amministrazione controllata segua poi una procedura liquidatoria.

Nella nuova prospettazione, invece, la prededuzione competerebbe perché il debito è stato contratto dal curatore del fallimento a seguito del subentro dello stesso nel contratto (di vendita a consegne ripartite) ai sensi degli artt. 72 e 74 Legge Fallimentare.

Subentrando nel rapporto, infatti, il curatore si sarebbe sostituito all’originario contraente (acquirente) cosicché egli sarebbe tenuto per un’obbligazione sostanzialmente unitaria (quella del corrispettivo) che non può sorgere in capo ad altri se non in capo al curatore medesimo appunto in virtù di quel subingresso.

Le differenze sostanziali che contraddistinguono le due ricostruzioni appaiono alla Corte davvero evidenti.

Nella prima ipotesi si configura un credito che, ove non fosse stato “ripianificato” (nella tesi formulata nell’istanza di ammissione) dagli organi della procedura, sarebbe rimasto credito maturato nei confronti del debitore in bonis e confinato al rango chirografario; nella seconda ipotesi si configura un credito nato direttamente nei confronti della procedura (debito di massa) per essere il curatore subentrato nel contratto da cui quel credito è sorto.

Non è inutile poi sottolineare che mentre nella prima prospettazione la prededuzione scaturisce da un asserito comportamento degli organi della procedura di amministrazione controllata, nella seconda scaturisce dalla condotta del curatore fallimentare specificamente individuata negli artt. 72 e 74 Legge Fallimentare.

Così delineati i caratteri distintivi delle due fattispecie, deve rammentarsi che perché si abbia mutatio libelli è sufficiente la deduzione di una nuova causa petendi, “che comporti, attraverso la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche, il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e l’introduzione nel processo di un nuovo tema di indagine e di decisione, alterando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia” (così, da ultimo, Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 agosto 2003, n. 12133).

Questo è proprio quanto è avvenuto nel caso concreto dove la nuova tesi affacciata dall’odierno appellante nella comparsa conclusionale di primo grado ha mutato i termini sostanziali della domanda azionata a mezzo dell’istanza di ammissione al passivo e ha introdotto nel giudizio temi di indagine tutt’affatto nuovi.

A quest’ultimo riguardo, basti infatti osservare che per tutto il corso del primo grado di difesa della procedura era stata chiamata solamente a misurarsi sul valore degli accordi di ripianamento del pregresso debito e sul loro supposto effetto di attrazione del debito stesso nella titolarità della procedura concorsuale laddove mai era stata affacciata l’ipotesi che la prededuzione dovesse essere riconosciuta per essere stato il debito contratto in una delle ipotesi previste dall’art. 111 n. 1 Legge Fallimentare in relazione al subentro del curatore nell’esecuzione di un contratto.

Il mutamento della causa petendi è stato dunque, a giudizio della Corte, effettivo e reale e quindi giustamente il Tribunale di Mantova ha reputato inammissibile e non suscettibile di esame la nuova prospettazione irritualmente versata in causa.

Essa neppure può essere esaminata nella presente sede atteso che l’oggetto del giudizio di opposizione allo stato passivo, nei diversi gradi, rimane fisso e immutabile negli elementi costitutivi che sono stati individuati fin dalla istanza di ammissione sia con riferimento al petitum e cioè all’importo del credito e al suo rango sia con riguardo alla causa petendi e cioè alla fonte del credito e alle specifiche ragioni che giustificano la richiesta prelazione e prededuzione (Cassazione Civile, Sez. I, 5 settembre 1992, n. 10241).

Per quanto poi residualmente attiene alla questione della contestata qualificazione del rapporto che dal giudice di primo grado è stato qualificato come appalto mentre secondo l’appellante andrebbe riportato all’ambito della vendita a consegne ripartite, rileva la Corte che, una volta esclusa l’ammissibilità della nuova prospettazione che da tale ultima qualificazione vorrebbe muovere per approdare alla disciplina dettata dagli artt. 72 e 74 Legge Fallimentare, la problematica appare di assai scarso rilievo.

A ben vedere, infatti, detta qualificazione rileva nel rapporto tra ENEL e associazione temporanea di imprese e non già nel diverso ambito del rapporto tra mandante Officine Tosoni Lino e mandataria Belleli S.p.A. –

E’ infatti certo che l’obbligo, per quest’ultima, di riversare alla prima quanto pagato da ENEL (naturalmente per la quota di lavori eseguita dalla mandante) derivava dal rapporto interno che regolava l’associazione temporanea di imprese e che faceva riferimento allo schema del mandato.

Il diritto di credito in capo a Officine Tosoni Lino è sorto, proprio a termini del contratto di associazione temporanea di imprese, nel momento in cui Belleli S.p.A. ha incassato da ENEL gli stati di avanzamento che poi avrebbero dovuto essere ripartiti tra le mandanti.

Questo però conferma che i crediti per cui l’odierna appellante ha chiesto di essere ammessa al passivo sono sorti tutti anteriormente all’ammissione della mandataria alla procedura di amministrazione controllata perché tutte le fatture azionate sono relative a lavori che, a quella data, già la committente ENEL aveva pagato alla Mandataria medesima.

Nessun argomento può valere a trasformare questi crediti – lo si ripete, sorti allorquando Belleli S.p.A. era ancora  in bonis – in crediti contratti in corso di procedura e per i fini della procedura stessa e cioè in crediti che potrebbero godere del regime di cui all’art. 111 Legge Fallimentare.

Giustamente il Tribunale ha escluso che a tanto possa valere lo scambio di lettere tra creditore e l’imprenditore già sottoposto alla procedura circa un piano di rientro dall’esposizione.

A tale accordo, come è stato rilevato nella sentenza gravata, sono invero rimasti estranei gli organi della procedura laddove perché il pagamento di debiti preesistenti non possa dirsi eseguito in lesione della par condicio è invece necessaria l’autorizzazione del Giudice Delegato (il solo che potrebbe valutare se detto pagamento si voglia fare in frode ai creditori ovvero per contribuire al risanamento dell’impresa: Cassazione Civile, Sez. II, 5 novembre 1990, n. 10620).

Alla luce di queste concorrenti considerazioni, si deve quindi concludere la Corte che la sentenza di primo grado è corretta e resiste alle censure che le sono state rivolte avendo i giudici mantovani correttamente escluso che ai crediti insorti prima dell’ammissione di Belleli S.p.A. all’amministrazione controllata competesse la prededuzione.

Rigettato quindi l’appello, l’appellante deve essere condannato a rifondere alla procedura appellata le spese del grado.

Esse, in relazione all’attività difensiva espletata quale risulta dal fascicolo di ufficio e dai verbali di causa, si liquidano in complessivi € 6.065,52 (di cui 1.327,32 per diritti e 4.000,00 per onorari).

P. Q. M.

La Corte, definitivamente pronunciando,

rigetta l’appello proposto da OFFICINE TOSONI LINO S.P.A. avverso la sentenza N. 651/02 del Tribunale di Mantova in data 18 aprile – 28 maggio 2002;

condanna la società appellante, in persona del legale rappresentante, a rifondere all’appellato FALLIMENTO della società BELLELI S.P.A. le spese del grado liquidate in € 6.065,52.

Così deciso in Brescia, il 28 gennaio 2004.