Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 516 - pubb. 01/01/2007

Presupposti del fallimento, interesse pubblico e onere della prova

Tribunale Bologna, 20 Febbraio 2007. Est. Florini.


Fallimento – Limiti dimensionali dell’impresa – Definizione di piccolo imprenditore – Richiamo all’art. 2083 cod. civ. – Esclusione.

Dichiarazione di fallimento – Presupposti soggettivi ed oggettivi – Disponibilità delle parti – Esclusione.

Dichiarazione di fallimento – Presupposti – Normativa di interesse pubblico – Deroga al sistema probatorio – Onere della prova a carico del debitore in mancanza di allegazione del ricorrente – Esclusione.



L’attuale formulazione “in negativo” dell’art. 1 della legge fallimentare esclude che per la definizione di piccolo imprenditore sia necessario raccordarsi anche con la disposizione di cui all’art. 2083 cod. civ.. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

I presupposti oggettivi e soggettivi del fallimento non rientrano tra le situazioni giuridiche rimesse alla volontà negoziale delle parti interessate. I creditori potrebbero "rimettere" le obbligazioni nei loro confronti di un certo imprenditore, oppure stipulare un pactum de non petendo pluridecennale – così da "sterilizzare" gli impegni che altrimenti l’altro non sarebbe "più in grado di soddisfare regolarmente", come recita l’immutato art. 5 co. II L.F. – ma né essi né il debitore possono prescindere dall’insolvenza in senso tecnico, onde giungere al fallimento od invece evitarlo. L’imprenditore fallisce quando è "insolvente" e "non piccolo", ma ove anche dichiarasse contra se di essere tale, non per questo il giudizio dovrebbe senz’altro fondarsi su quella sua "ammissione"; anzi, il Tribunale sarebbe pacificamente tenuto a rigettare l’istanza di fallimento – anche "in proprio" – una volta riconosciuto che le relative affermazioni fossero difformi dalla realtà dei fatti e lo stesso principio vale per tutte le altre "condizioni" di fallibilità a cominciare dall’avvenuta scadenza del termine di cessazione dell’esercizio d’impresa. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Le regole dettate in tema di presupposti per la dichiarazione di fallimento ineriscono a materie "di interesse pubblico" che non tollerano deroghe al regime probatorio in tema di circostanze "costitutive" ed "impeditive" della fattispecie. Sono pertanto inammissibili – se non come descrizione di una modalità formativa del "libero convincimento" del Giudice – le ipotesi di regole che pretendano di far gravare sul debitore il rischio di una probatio semiplena, sanzionando altresì il suo "silenzio" anche in mancanza di ogni allegazione idonea dei richiesti il fallimento. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato




omissis

Letta l’istanza ed esaminata la documentazione – udito il Giudice Relatore ;

1) Premesso che il credito vantato dall’odierno ricorrente è complessivamente pari ad Eu.*40.631,58* (oltre accessori e spese) – fra i quali, peraltro, solo circa Eu.*20mila* risultano assistiti da D.I. ormai irrevocabile, mentre il residuo non è stato "azionato", dopo l’esito sostanzialmente negativo dell’esperito pignoramento mobiliare – dovutole come corrispettivo per una serie di forniture risalenti al 2004; dunque, essa prospetta che ogni – ulteriore – autonomo tentativo di soddisfare il proprio credito si rivelerebbe comunque infruttuoso: ciò in quanto nessun patrimonio utilmente "aggredibile" risulta appartenere al YY – iscritto nell’albo "artigiano" dal 1996 – la cui "sede aziendale" coincide poi con la sua residenza anagrafica.

2) CHE, ai nostri fini, i criteri desumibili dalla riforma inducono – onde contemperare fra loro i principi apparentemente non mutati, le esperienze pregresse tuttora compatibili, la dichiarata ratio del disegno normativo e l’attuale disciplina positiva – alle seguenti considerazioni: A) il nuovo art.1 L.F. vuole sostituire l’originario meccanismo di identificazione dei soggetti "fallibili" – anteriore agli interventi della Consulta – che il suo co.I individua negli esercenti una "attività commerciale", che non siano né enti pubblici, né "piccoli imprenditori"; quindi il suo co.II designa tale ultima categoria "ai fini del primo comma", stabilendo che non vi appartiene chi – non importa se "in forma individuale o collettiva" – esercita un’attività commerciale con dimensioni che "anche alternativamente" superino i limiti indicati nei successivi punti a) e b) della stessa disposizione; se ora consideriamo che il "vecchio" art.1 – prima dell’abrogazione implicita seguita alla eliminazione dell’imposta "sulla ricchezza mobile", e prima della pronuncia d’incostituzionalità n.270 del 22/12/1989 – era appunto destinato a "stabilire" quanti fossero "considerati piccoli imprenditori…in nessun caso…le società commerciali" alla stregua del R.D.267/1942, ebbene non sembra credibile nè che l’attuale formulazione "in negativo" della norma implichi come esigenza ulteriore quella di raccordarsi con i dettami dell’art.2083 c.civ., che il "modulo" societario possa di per sè giustificare alcuna prospettiva – anche solo juris tantum, a favore dell’apertura del fallimento – di inerenza ad un’impresa "non piccola".

B) I presupposti oggettivi e soggettivi del fallimento – sebbene poi la procedura sia destinata a regolare per lo più diritti di natura patrimoniale, dunque essenzialmente "disponibili" – non rientrano fra le situazioni giuridiche ontologicamente rimesse alla "volontà negoziale" delle parti interessate: i creditori potranno "rimettere" le obbligazioni nei loro confronti di un certo imprenditore, oppure stipulare un pactum de non petendo pluridecennale – così da "sterilizzare" gli impegni che altrimenti l’altro non sarebbe "più in grado di soddisfare regolarmente", come recita l’immutato art.5 co.II L.F. – ma né essi né il debitore possono prescindere dall’insolvenza in senso tecnico, onde giungere al fallimento, od invece evitarlo. L’imprenditore fallisce quando è "insolvente" e "non piccolo", ma ove anche dichiarasse contra se di essere tale, non per questo il giudizio dovrebbe senz’altro fondarsi su quella sua "ammissione" (in tema di "diritti indisponibili", cfr. Cass. 11170/2004, Cass.1170/97, ecc.); anzi, il Tribunale sarebbe pacificamente tenuto a rigettare l’istanza di fallimento – anche "in proprio" – una volta riconosciuto che le relative affermazioni fossero difformi dalla realtà dei fatti. In termini analoghi avviene per tutte le altre "condizioni" di fallibilità – a cominciare dall’avvenuta scadenza del termine di cessazione dell’esercizio d’impresa, che fra gli altri "integra i presupposti soggettivi ed oggettivi del fallimento, e come questi va dimostrata dal ricorrente, o comunque accertata dal giudice in sede istruttoria prefallimentare e di giudizio di opposizione, esulando dall’onere processuale del debitore" (Trib.Avellino 8/10/1999, su "Dir.Fall."2000,II,p.453) – e fra queste non si vede perché trattare in modo diverso la dimostrazione circa i requisiti "dimensionali" dell’attività dissestata (i quali anche nel "gravame" rappresentato dalla "opposizione" di cui al "vecchio" art.18 L.F. si diceva rientrassero nell’ambito del "potere-dovere di riscontrare, anche d'ufficio, la sussistenza dello stato d'insolvenza e di ogni altro presupposto del fallimento, avvalendosi di tutti gli elementi comunque acquisiti, in atti e nel fascicolo fallimentare, ivi inclusi quelli relativi alla fase processuale conclusasi con la dichiarazione di fallimento" Cass.16356/2004).

C) Siamo dunque di fronte a materie "di interesse pubblico" – tanto da mantenere la facoltà d’iniziativa del P.M. – e che quindi non tollerano deroghe al regime probatorio (cfr. l’art.2698 c.civ.) rispettivamente sancito dal co.I e dal co.II dell’art.2697 c.civ., in tema di circostanze "costitutive" (positive e negative) ed "impeditive" della fattispecie; ma se questa è la ricostruzione della normativa vigente, allora sono inammissibili – se non come descrizione di una modalità formativa del "libero convincimento" del Giudice, per il singolo caso concreto – le ipotesi di regole che pretendano di far gravare sul debitore il rischio di una probatio semiplena, sanzionando altresì il suo "silenzio" anche in mancanza di ogni allegazione idonea dei ricorrenti, che pure ne avrebbero quasi sempre la possibilità, almeno sulla base del complesso dei dati acquisiti (od "acquisibili") che notoriamente appartengono a ciascun creditore: ciò tenuto conto sia degli autonomi poteri d’indagine tuttora esperibili d’ufficio, sia dell’esistenza di un meccanismo – significativo piuttosto in senso contrario – ravvisabile nella "soglia minima" di Eu.*25mila* introdotta dal "nuovo" art.15 co.ult. L.F., sia infine dalla connotazione di procedura "cognitiva" ormai attribuita alla cd."istruttoria prefallimentare" (sancendosi, nell’art.15 cit., i modi ed i termini per l’instaurazione del contraddittorio, nonché le facoltà esperibili ai fini della ricerca e della valutazione delle prove), tanto da sottoporne l’esito direttamente alla Corte d’Appello, quando la prima fase si chiuda con sentenza di fallimento (v. il nuovo art.18 L.F. - mentre il rigetto del relativo ricorso si considera tuttora emesso rebus sic stantibus, non impedendo nuove iniziative anche della medesima parte).

3) Rilevato come l’elemento primario emerso nella vicenda in esame sia costituito dall’accertata iscrizione del debitore nel registro degli imprenditori "artigiani", con un’attività che egli esercita direttamente, privo di strutture aziendali "specifiche" e senza lavoratori subordinati alle sue dipendenze: sicchè – in mancanza di qualsiasi dato contrario, nemmeno fornito dal procedente – durante il triennio considerato dall’art.1 lett.b) L.F. non è ipotizzabile la realizzazione dell’importo minimo dei ricavi ivi stabilito (nella misura "media" superiore ad Eu.200 mila per anno); inoltre, ai fini della valutazione circa l’ulteriore soglia di Eu.*300 mila* per "investimenti" ai sensi della lett.a) dell’art.1 cit., vanno pure richiamati i medesimi elementi, nonchè la presumibile esiguità dei "costi di esercizio" necessari per operare – esclusivamente "in proprio" – nel settore della "installazione d’impianti a bassa frequenza", ai fini dell’impiego di risorse capitalistiche nel ciclo produttivo e commerciale dell’impresa debitrice.

4) Ritenuto alla stregua delle esposte premesse – e considerati tutti gli elementi disponibili, donde non emergono nè ulteriori esecuzioni, né D.I. o protesti cambiari, come avrebbe potuto eventualmente attestare un’apposita documentazione, di agevole reperimento – che non disponiamo qui di un quadro di fatto idoneo a superare le suddette "soglie di esonero", come previste dalla disciplina vigente: invero, va ribadito che una convincente contestazione di queste ultime ricade fra gli elementi "costitutivi negativi" della fattispecie, sicchè sul creditore richiedente – la cui esclusiva potestas agendi (assieme alla legittimazione del P.M.) è ormai sancita con l’abrogazione dell’iniziativa ex officio – incombe, ai sensi dell’art.2697 c.civ., almeno l’allegazione delle circostanze concrete che qualifichino come "non piccolo" (e quindi "fallibile") l’imprenditore che ne risulti debitore in questa sede, ivi chiamato a "subire" la verifica delle condizioni per essere sottoposto al fallimento (v. Trib.Milano 27/9/2006). Sicchè, non venendo fatte emergere – nemmeno come "valida ipotesi" prospettata dall’interessato – le condizioni della richiesta sentenza di fallimento, neppure si ravvisano i presupposti per ulteriori indagini, eventualmente esperibili su iniziativa dell’ufficio, ma secondo una scelta funzionale da considerare ormai "eccezionale": dunque, nel caso in esame nulla osta ad una pronuncia in limine, che può ben prescindere dalla convocazione delle parti in contraddittorio.

P. Q. M.

Visto l’art.5 R.D.267/1942 – nella procedura di cui al n.15/2007 Reg.Ist.Fall. – RIGETTA l’istanza di fallimento nei confronti di YY .

Autorizza – su richiesta dei procuratori costituiti – la restituzione della documentazione prodotta.

Così deciso presso il Tribunale di Bologna, nella camera di consiglio del 20 febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 07 MAR 2007