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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19909 - pubb. 07/06/2018.

Sovraindebitamento: rilevanza degli atti in frode anche se relativi a società di persone di cui il debitore è stato socio illimitatamente responsabile con poteri di gestione e disposizione del patrimonio sociale


Tribunale di Verona, 09 Maggio 2018. Est. Pagliuca.

Sovraindebitamento – Liquidazione dei beni – Assenza di atti in frode ai creditori – Presupposto di ammissibilità della domanda – Obbligo di verifica d’ufficio da parte del giudice – Sussistenza

Sovraindebitamento – Atti in frode ai creditori – Oggetto – Beni di pertinenza di società di persone di cui il ricorrente sia stato socio illimitatamente responsabile – Sussistenza


L’assenza di atti in frode ai creditori nei cinque anni antecedenti costituisce presupposto di ammissibilità della procedura di liquidazione dei beni di cui agli artt. 14 ter e ss. L. n. 3/2012 ed il Giudice è tenuto ad effettuare la relativa verifica anche d’ufficio. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Gli atti in frode ai creditori che rilevano ai fini della declaratoria di inammissibilità della procedura di liquidazione dei beni di cui agli artt. 14 ter e ss. L. n. 3/2012 possono riguardare non solo i beni di cui il ricorrente sia personalmente titolare, ma anche quelli di pertinenza di società di persone di cui egli sia stato socio illimitatamente responsabile con poteri di gestione e disposizione del patrimonio sociale (socio di S.n.c., accomandatario di S.a.s.) (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

 

TRIBUNALE DI VERONA

Il Giudice,

·         vista la domanda di liquidazione ex artt. 14 ter e ss. L. n. 3/2012 depositata in data 13.4.18 da T. e la documentazione allegata;

·         letta la nota del gestore nominato dall’OCC rag. CAIA in data 7.5.18 e la documentazione alla stessa allegata;

OSSERVA

Il ricorrente ha chiesto di essere ammesso alla procedura di liquidazione del patrimonio ex art 14 ter legge 3/12, con finale esdebitazione dai debiti non soddisfatti, in relazione ad una complessiva esposizione debitoria di euro 272.317,60 costituita:

a.     per euro 189.577,87 da debiti personali per tributi vari, per utenze, per residuo di mutuo ipotecario verso Unicredit e per residuo di altro mutuo verso Banca Popolare di Vicenza cointestato con la moglie M. (la quale a sua volta ha formulato domanda di liquidazione ex art 14 ter ss legge n. 3/12);

b.     per euro 94.788,94 da debiti verso banche, verso fornitori e per tributi già di pertinenza de LA S. S.n.c., compagine di cui era socio al 50% con la moglie M., posta in liquidazione in data 4.10.17 e cancellata dal registro delle imprese in data 26.10.17, con conseguente accollo dell’esposizione debitoria residua (euro 189.577,87) direttamente a carico dei due soci (comunque già illimitatamente responsabili per detti debiti, trattandosi di S.n.c.) nella misura del 50% a testa, ai sensi dell’art. 2312 cc. Va subito evidenziato che, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, al momento della cancellazione ed estinzione della società l’unico elemento attivo patrimoniale, trasferitosi in comproprietà ai due soci, era costituito da un automezzo Kangoo del valore di euro 1.500,00.

Il patrimonio da liquidare e messo a disposizione dei creditori è invece costituito dalla somma di euro 62.250,00 ricavata dalla vendita in sede di esecuzione forzata dell’immobile gravato dall’ipoteca a garanzia del mutuo verso Unicredit, da euro 5.000,00 incassati dal custode della procedura esecutiva a titolo di canoni, da euro 23.040,00 che saranno incassati a titolo di stipendio dal ricorrente nei quattro anni di durata minima della procedura e da euro 750,00 corrispondente alla metà del valore ricavabile dalla vendita dell’automezzo Kangoo.

Ciò premesso va subito evidenziato che, ai sensi dell’art. 14 quinquies legge 2/12 il Giudice, nell’ambito delle verifiche necessarie ai fini dell’ammissione del debitore alla procedura di liquidazione, è chiamato anche ad accertare l’assenza di atti in frode ai creditori.

Come condivisibilmente osservato in altre pronunce di merito (Trib. Prato, 28.9.2016, Trib. Milano 18.11.16) si tratta di requisito di ammissibilità della procedura, che il Giudice è chiamato a verificare anche d’ufficio.

Invero, lo scopo finale perseguito dal debitore è evidentemente quello di ottenere la successiva esdebitazione rispetto ai debiti non soddisfatti mediante la liquidazione del patrimonio, per poter poi intraprendere nuove iniziative di natura patrimoniale (cd. fresh start). Scopo che non potrebbe essere perseguito nel caso in cui la soddisfazione dei creditori sul patrimonio fosse lasciata alla iniziativa esecutiva individuale dei medesimi, atteso che per la parte in tal modo non soddisfatta il debito continuerebbe a gravare sul debitore, al quale sino alla completa estinzione sarebbe di fatto inibita la possibilità di intraprendere nuove iniziative commerciali e, comunque, genericamente produttive di reddito.

E poiché l’effetto di esdebitazione comporta al contempo un rilevante sacrificio per il ceto creditorio e, più in generale, può comportate effetti distorsivi per la tenuta del sistema economico in generale, il legislatore ha opportunamente subordinato il suo riconoscimento al positivo vaglio della condotta del debitore, all’esito del quale deve poter espresso a suo favore un giudizio di meritevolezza che giustifichi nel caso concreto il sacrificio dei creditori non soddisfatti.

E detto giudizio di meritevolezza può essere emesso in senso favorevole solo in presenza degli specifici presupposti indicati all’art. 14 terdecies, tra cui figura l’assenza nei cinque anni precedenti all’apertura della procedura di atti volti a frodare le ragioni dei creditori.

E poiché l’assenza di detti comportamenti è all’evidenza essenziale per poter esprimere un positivo giudizio di meritevolezza necessario ai fini della esdebitazione, il legislatore ha opportunamente previsto che la relativa verifica debba essere operata già in fase di ammissione alla procedura, atteso che nel caso in cui già in quel momento dovesse emergere l’impossibilità di ottenere l’effetto finale esdebitatorio non potrebbe più giustificarsi l’instaurazione della procedura liquidatoria, considerato anche il fatto che la pendenza della stessa è di per sé idonea a produrre anche effetti pregiudizievoli per i singoli creditori, connessi all’automatico divieto di prosecuzione o inizio di procedure cautelari e esecutive ed anche al maturare di ulteriori costi (si pensi al compenso del gestore e del liquidatore) che in sede di riparto verrebbero pagati in prededuzione, drenando in tal modo ulteriori risorse che altrimenti, in caso di esecuzione individuale, potrebbero invece andare a vantaggio dei creditori.

E’ quindi necessario verificare se il ricorrente nei cinque anni antecedenti alla proposizione del ricorse abbia compiuto atti in frode alle ragioni dei creditori.

In proposito va subito evidenziato che l’indagine deve essere effettuata avendo riguardo non solo ai creditori personali del debitore, ma considerando anche le ragioni creditorie dei creditori della società LA S. Scala S.n.c., atteso che di detti debiti doveva comunque rispondere illimitatamente anche il socio T. (oltre che l’altra socia).

E, sotto altro profilo, tenuto conto del fatto che LA S. era una S.n.c., quindi un soggetto giuridico privo di autonomia patrimoniale perfetta ed il cui patrimonio, seppur indirettamente, era riferibile ai due soci (tra i quali, in caso di liquidazione con saldo positivo avrebbe dovuto essere ripartito in misura proporzionale alla quota del 50% posseduta), i quali dello stesso potevano peraltro disporre mediante gli atti di gestione della società, devono essere presi in considerazione – al fine di verificare se siano stati posti in essere in frode dei creditori – anche gli atti di disposizione del patrimonio sociale nel quinquennio.

Ciò premesso va evidenziato che, sulla scorta della documentazione acquisita, emerge effettivamente la sussistenza di atti in frode ai creditori.

Invero, sulla scorta delle stesse allegazioni del debitore, risulta che nel 2015 la società era proprietaria di beni strumentali allo svolgimento dell’attività di bar/pasticceria, oltre che di un automezzo Kangoo, il tutto come risultante anche dal registro dei beni ammortizzabili prodotto dal rag. CAIA il 7.5.18 (doc. 1).

La società, inoltre, aveva in essere dal 2008 un contratto di leasing immobiliare con la Ubi leasing spa, contratto risolto dalla concedente nel giugno 2014 a seguito di inadempimento nel pagamento dei canoni per l’importo di euro 30.135,59. Tenuto conto del fatto che ad inizio rapporto era stata pagata un rata di euro 14.798,40 e che il piano di ammortamento prevedeva il pagamento di ulteriori 215 canoni di euro 2.074,82 ognuno, nonché considerata l’entità della morosità, deve quindi ritenersi che sino alla risoluzione la società avesse corrisposto canoni per circa euro 134.000,00 (rata iniziale di euro 14.798,40 + canoni da giugno 2008 a giugno 2014 per euro 149.387,00 – la morosità di euro 30.135,59 esistente al momento della risoluzione).

Ebbene nell’anno 2015 erano state poste in essere le seguenti operazioni:

1.      stipulazione di transazione tra Ubi Leasing spa, LA S. S.n.c. e TIZIA S.r.l. in forza della quale la TIZIA S.r.l. aveva acquistato l’immobile oggetto di leasing (il cui valore ad inizio contratto, nel 2008, era stato considerato pari ad euro 460.884,70) per il corrispettivo di euro 215.000,00 (inferiore al valore capitale residuo ancora da restituire, pari ad euro 236.665,55). Al contempo Ubi leasing aveva rinunciato ad ogni pretesa economica nei confronti de LA S. S.n.c. e dei due soci e la società si era obbligata, per sé ed aventi causa, a consegnare il bene alla TIZIA S.r.l., senza previsione a suo favore di alcun corrispettivo da parte di quest’ultima società;

2.     accordo in data 15.12.15 tra la S. S.n.c. e la K.B S.r.l. (la quale era medio tempore divenuta proprietaria dell’immobile già oggetto di leasing: non è noto secondo quale combinazione negoziale la stessa lo avesse acquisito direttamente da UBI leasing ovvero da TIZIA) in forza del quale la seconda aveva riconosciuto a favore della prima un corrispettivo di euro 40.000,00 a titolo di “indennità per il rilascio dell’immobile”, comprensivo “dell’arredamento completo, le attrezzature e gli impianti” e con esclusione solo del laboratorio di pasticceria e dei banchi vetrina frigoriferi;

3.     questi ultimi beni, infatti, erano stati oggetto di altro contratto di affitto di ramo d’azienda stipulato in data 15.9.15 tra LA S. S.n.c. e la B.B S.r.l., della quale è legale rappresentante T.NA, madre del debitore.

Ebbene già l’operazione sub. 1 desta perplessità. La stessa infatti, era stata indubbiamente vantaggiosa per la Ubi Leasing1 e per la TIZIA S.r.l.2, mentre lo stesso non può affermarsi con certezza per quanto attiene a LA S. S.n.c.

Invero trattandosi con tutta evidenza di leasing traslativo (tenuto conto del considerevole valore che il bene avrebbe conservato al termine della locazione finanziaria con acquisto della proprietà da parte de LA S. S.n.c.) è noto che, secondo il pacifico orientamento della Suprema Corte, in ipotesi di risoluzione del contratto avrebbe dovuto trovare applicazione in via analogica il disposto dell’art 1526 cc e, quindi, a fronte della restituzione dell’immobile, Ubi leasing avrebbe dovuto restituire a LA S. S.n.c. le rate ricevute, al netto di un’indennità per il godimento dell’immobile, oltre al risarcimento del danno.

Pertanto, solo nel caso in cui l’importo di euro 134.000,00 circa versato da La S. S.n.c. nel corso del rapporto fosse risultato di valore corrispondente al controvalore del godimento dell’immobile dal 2008 sino alla data di stipula della transazione, Ubi leasing avrebbe avuto diritto a trattenere l’intero importo (e, quindi, non si configurerebbe nessun pregiudizio per LA S. e per i suoi creditori per effetto della stipula della transazione), mentre lo stesso non potrebbe affermarsi nel caso contrario (atteso che in questa diversa ipotesi LA S. avrebbe avuto diritto alla restituzione di almeno parte della somma di euro 134.000,00 già versata, sicché la transazione di cui sopra non potrebbe ritenersi per lei favorevole).

Sulla scorta della documentazione in atti non è possibile accertare se la transazione di cui sopra fosse stata effettivamente favorevole per LA S. S.n.c. (e, quindi, per i suoi creditori), posto che a tal fine sarebbe necessario accertare il valore locativo dell’immobile dal 2008 sino alla stipula della transazione.

Al contempo, però, non è possibile neppure affermare con certezza che l’operazione sia stata favorevole (come sostiene il ricorrente ed attesta il rag. CAIA, senza indagare in merito ai profili critici sopra evidenziati).

In relazione all’operazione in questione, pur sospetta, non è quindi possibile affermare che la stessa sia stata senz’altro pregiudizievole per i creditori.

A diversa conclusione, invece, deve giungersi in relazione alle ulteriori due operazioni sopra indicate.

Quanto all’operazione sub. 2, va evidenziato che - come indicato nella nota del rag. CAIA del 7.5.18 e come risulta dagli estratti conto in atti - l’importo di euro 40.000,00 è stato corrisposto dalla K.B S.r.l. solo limitatamente alla somma complessiva di euro 27.365,00 a mezzo di plurimi versamenti a mezzo di assegni (versati sul conto corrente della società), mentre per l’importo residuo il debito sarebbe stato estinto mediante accollo da parte della stessa K.B S.r.l. di un debito di analoga entità gravante su LA S. S.n.c. ed a favore dello studio di commercialisti Mi.

Ebbene, come risulta dagli estratti conto e come è stato riferito dal debitore al rag. CAIA (che ne dà atto nella nota del 7.5.18), il suddetto importo di euro 27.365,00, anziché essere utilizzato per il pagamento di debiti ovvero essere lasciato in giacenza sul conto corrente, a mezzo di plurimi bonifici era stato trasferito a favore dei genitori del T., i quali non avevano titolo alcuno per pretendere somme dalla società.

E, peraltro, non vi è alcun riscontro in merito al fatto che, come pure riferito dal T. al rag. CAIA, almeno parte di dette somme siano state impiegate per pagare cambiali emesse a favore della ditta Segafredo.

Del tutto evidente è quindi in questo caso l’attività distrattiva di risorse della società, a danno dei creditori e quindi in frode alle ragioni degli stessi.

Peraltro anche per quanto riguarda l’ulteriore importo di circa 14000,00 euro non versato da K.B S.r.l., non vi è alcun riscontro della sussistenza di un debito de LA S. S.n.c. nei confronti dello studio MI., non essendo stato in alcun modo specificato in cosa sia consistita detta attività, né fornito alcun documento fiscale a comprova.

Anche mediante detta operazione, quindi, deve ritenersi che siano state infine distratte somme che avrebbero invece dovuto essere corrisposte a LA S. S.n.c. e messe quindi a disposizione dei creditori.

Quanto all’operazione sub. 3, nella nota del 7.5.17 il rag. CAIA afferma che il contratto di affitto di azienda deve considerarsi risolto, senza che – tuttavia – risulti che i beni che ne costituivano l’oggetto (beni strumentali all’esercizio di attività di pasticceria, come detto espressamente esclusi da quelli oggetto di cessione a favore di K.B con l’accordo del 15.12.15) siano stati restituiti alla S. S.n.c. E detti beni non vengono neppure considerati nell’attivo all’esito della liquidazione (cfr autodichiarazione dei soci in data 27.10.17, nella quale si dà atto dell’assenza di attivo da liquidare) né il ricorrente ne fa cenno alcuno nel proprio ricorso.

Anche detti beni, di cui non è nota la sorte, debbono quindi ritenersi sottratti ai creditori.

Come può notarsi, quindi, per effetto delle operazioni di cui sopra il patrimonio della società LA S. S.n.c. - che avrebbe dovuto comprendere almeno la somma di euro 40.000,00 dovuta da K.B S.r.l. oltre ai beni strumentali oggetto del contratto di affitto con B.B – era stato di fatto svuotato (rimaneva solo l’automezzo Kangoo), distraendo e dirottando senza alcuna giustificazione quelle risorse a favore di familiari del debitore (i genitori).

Condotte che, per quanto sopra osservato, integrano all’evidenza atti in frode alle ragioni di creditori , che precludono l’accesso del debitore alla procedura di liquidazione.

Il ricorso, quindi, va rigettato

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso

Si comunichi al ricorrente, all’OCC ed al rag. CAIA

Verona, 9.5.18

Il giudice

Dott. Luigi Pagliuca

 

 

 

1 La quale aveva trattenuto per intero i canoni già pagati da LA S. snc per euro 134.000,00 ed aveva ottenuto da TIZIA srl l’ulteriore importo di euro 215.000,00, di poco inferiore al capitale residuo ancora da restituire in forza del piano di ammortamento pari ad euro 236.665,00;

2 La quale aveva acquistato ad euro 215.000,00 un immobile che, pur considerando la crisi del mercato immobiliare post 2018, aveva con altissima probabilità un valore ben superiore, tenuto conto che lo stesso era stato stimato in euro 460.884,00 nel contratto di leasing;